In occasione della proiezione di Zemanlandia di Giuseppe Sansonna che si terrà lunedì 16 luglio alle ore 21 presso l’arena Detour di Pigneto Spazio Aperto, Schermaglie vuole riproporre ai suoi lettori l’articolo del misterioso Duccio Brevi apparso in occasione della prima proiezione del film al Pigneto.

Posso dire di odiare il Pigneto. Si odia quello che non si conosce. Anche ciò che si invidia. Il mio lato piccolo-borghese difende se stesso da quel microcosmo fatto di segni che rimandano a una vita ideale perciò irreale. Le barbe incolte e gli occhiali dalle montature nere e spesse. Il luogo delle iniziative interessanti, delle librerie-vinerie. Vi convivono nette tipologie umane.  Virtuosi operatori delle ong: “Sono appena tornato dall’Equador, lavoro nell’ambito di un progetto per i bambini nei paesi a economia emergente” quelli che una volta si chiamavano “in via di sviluppo”, prima ancora “terzo mondo”. Borgatari residuali neo-pasoliniani e nuovi guru dei nuovi linguaggi delle nuove multimedialità. Un pò di mesi fa Pino me lo chiese. Al ritorno dalla California, dove si è sposato e vi si è stabilito, mi chiese se sapevo qualcosa di un documentario in uscita su Zdenek Zeman. L’aveva letto di sfuggita su un giornale. Pino tifa Roma. E’ uno di quelli che potrebbe dirti impunemente “Zeman è filosofia”, accompagnando l’aforisma con il sorriso colpevole di chi ha già calcolato alte probabilità di velleitarismo di certe sue uscite. Ero entrato in un negozio di dischi, di quelli specializzati in controculture e movimentismi vari e avevo intercettato lo sguardo stilizzato di un volantino che chiamava a raccolta gli adepti del 4-3-3. “Zemanlandia. Presentazione del dvd e incontro col regista. Il 7 marzo al pigneto“. E dove sennò? Il mio cellulare informa l’amico con un sms. La sua risposta giunge in tre minuti. Andiamo. Il flyer, completando l’invito, informava dell’ingresso gratuito facendo richiesta di presentarsi provvisti di bevande alcoliche.

Percorrendo l’amata tangenziale io e Pino discettiamo un pò su quell’uomo che proveniva da Praga. Rilanciando a turno aneddoti calcistici zemaniani, lasciamo scorrere i nostri ricordi in un unico flusso di coscienza che si riempiva fino a  esondare di dolci memorie. Curve opposte, colori opposti, stesso mister. Due anni ciascuno. Risultati da torneo aziendale (8 a 2, 7 a 3), squadroni stracciati da un gioco forsennato e avvolgente. Poesia e spettacolo insieme. Risarcimento provvidenziale di quella cosa inutile che è la fede calcistica. Indirizzo alla mano arriviamo in una specie di garage riqualificato, uno spazio abbastanza grande, bianco e disadorno. Un paio di divani ne spezzavano l’asetticità, su un tavolo un numero sufficiente di bottiglie di vino garantivano la riuscita della serata. Di fronte a noi uno schermo sembrava pronto per il calcio d’inizio. Una trentina di persone aspettavano il fischio. Giuseppe Sansonna, il regista, siede al centro sul comodo sofà, ai lati due tipi che da qualche parte si proclamavano scrittori-giornalisti.

L’introduzione è affidata a loro. Il primo decide di esordire vomitando invettive contro Ascanio Celestini perchè “Zemanlandia è scevro di quei toni retorici alla Ascanio Celestini”. Voce morbida, lessico sinuoso, affermazioni sospette: “Beppe Signori è un fico!”. Il microfono passa all’altro. “Zeman è stato il primo allenatore punk della storia del calcio”. Boom! La spara così, senza preavviso. Poi, generoso, tenta una spiegazione: “Anche chi come me non sa niente di calcio può vedere nell’allenatore boemo il simbolo di una rottura come fu quella del punk in un contesto nel quale il prog-rock…” eccetera eccetera. Di colpo Sansonna si impossessa del microfono e ci dice come è nato questo folle documentario. E sono risate. Perchè ci racconta ciò che poi in effetti vedremo. Non una biografia sportiva ma una storia collettiva di una piccola provincia che sale inopinatamente alla ribalta del calcio italiano. Storia di un messianico approdo e di un duo. Zeman e Casillo, allenatore e presidente del Foggia calcio. Il levriero e l’orca, capace quest’ultimo di planare sul campo in elicottero per festeggiare il passaggio dalla serie C1 alla B. Il Clint Eastwood del calcio l’uno, uomo dalle due espressioni, con e senza sigaretta, sguardo raggelante e silenzi penetranti; l’Al Capone del tavoliere l’altro. Coppia comica perfetta. Ma Zemanlandia è anche la storia di un piccolo stadio trasformato in un inferno e di un gruppo di giocatori semisconosciuti che saettavano indemoniati per un’ora e mezzo segnando e incassando valanghe di gol. Tenevano ritmi da incubo i satanelli, troppo alti per campioni blasonati come Baggio e Vialli. Nomi sconosciuti come Codispoti, terzino-proiettile che, ricorda Don Pasquale Casillo, “Non era proprio un fuoriclasse, vero Zdenek, tu che dici?” Zdenek risponde laconico “Era l’unico giocatore capace di lanciarsi da solo”, il portiere Mancini con le sue spericolate uscite fuori area. Ma anche improbabili cronisti locali, tifosi dagli occhi strabuzzanti di incredulità, magazzinieri pancioni. Il dilettantismo approda in serie A, come raccontano Di Biagio, Beppe Signori e Rambaudi, tra i pochi che conobbero gloria anche dopo aver giocato con quel Foggia lì. Le loro testimonianze impreziosiscono il lavoro con aneddoti gustosi: gli allenamenti massacranti (“spesso qualcuno vomitava”), tutte le città d’Italia raggiunte in pullman, anche a mille km di distanza. Una società e una squadra rabberciata sfiorarono la coppa Uefa. Chi vuole vedere lo Zeman mediatico, il simbolo antisistema costruito suo malgrado da certa informazione sportiva non sempre in buona fede, rimarrà deluso. Aggira il rischio agiografico “Zemanlandia” e non eroifica nessuno, ma ripercorre senza nostalgia una vicenda d’inizio anni novanta che molti ricordano come un miracolo sportivo, racchiudendo in un’ora di immagini di repertorio e di interviste quell’ irripetibile paradosso. Importante vederlo per chi crede ancora nell’autenticità del calcio, necessario perchè parla di Zeman, il migliore allenatore di sempre.

3 Replies to “SISMOGRAFO/ Zemanlandia a Pigneto Spazio Aperto”

  1. Codisposti oltre a essere l’unico terzino in grado di lanciarsi da solo era anche “calabrese”.
    Complimenti, gran bell’articolo.

  2. Codispoti ha giocato anche nell’Atalanta.
    A Bergamo lo ricordiamo tutti, soprattutto perché non sapevamo dove mettere l’accento sul cognome:
    Codìspoti o Codispòti?
    Indimenticabile.

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