Jason Reitman è riuscito a mantenersi sempre a debita distanza dalle scelte registiche del padre Ivan che ricordiamo per Ghostbusters, Meatballs, La mia super ex-ragazza. Chissà da bambino quanto si sarà divertito su quei set goliardici in cui qualche volta ha recitato piccole parti. Da grande però Jason decide che il suo cinema non seguirà l’esempio paterno. Così trova la sua strada dimostrando di riuscire a rendere nuova e unica la commedia, proprio quello stesso genere che ha reso tanto celebre il padre in chiave più leggera e demenziale. In questi sei anni ha calibrato accuratamente ogni suo film con minuzia e intelligenza non sbagliando nemmeno una virgola in questo risoluto percorso “in divenire” che sta costruendo.
E’ un regista a sangue freddo, ama comporre e soffermarsi sui dettagli visivi che riprende da piaceri e gusti personali, ma soprattutto il suo lavoro è di sceneggiatura con un’attenzione mirata sui dialoghi. Quindi importante il suo sodalizio con la sceneggiatrice Diablo Cody. Gli impudenti, sinceri, esaustivi dialoghi a dibattito esistenziale e furori ideologici sono il cuore pulsante dei suoi film. Queste commedie dal sapore amaro e dal tocco ruvido guardano con occhio critico la società americana odierna affrontando tematiche e personaggi scomodi. Anzi i suoi personaggi sono scandalosi e stridenti. La quindicenne incinta, il promoter dell’industria del tabacco, il tagliatore di teste aziendale, la scrittrice egoista e rovina famiglie rimasta allo stadio adolescenziale. Soggetti votati all’antipatia, incompresi sia dentro l’universo sociale descritto nel film sia fuori dagli spettatori in sala. Non hanno scampo, solo brevi cenni di redenzioni che rimarranno sospese o disilluse sul finale.
Tutto ruota intorno a questo sgradito protagonista caratterizzato fortemente con tratti pesanti, quasi caricaturali. Intorno si muovono gli altri personaggi che minano il suo invalicabile regno psicologico fino a far saltare il guscio, far precipitare quell’identità fasulla e svelarne l’insicurezza, l’umanità. Poggiano in un acre limbo disciolti nel sarcasmo in cui la disperazione viene sempre bloccata ad un certo livello affinchè non diventi altro che la formula della commedia, a quel punto, non potrebbe reggere. Quando le maschere cadono i finti cattivi sono richiamati alla realtà: ma il difetto è in loro o nelle ipocrisie della società? Ed ecco che inevitabilmente gli interrogativi, i problemi o le risoluzioni convertono nei legami di sangue. In Juno si affollano vari esempi di famiglia ovvero quella desiderata, quella fallita, quella di cui ci si deve per forza accontentare. In Thank you for smoking l’unico confortante, fedele ed autentico riferimento affettivo per Nick Naylor è suo figlio. In Up in the air la famiglia per Ryan Bingham non esiste, è un concetto completamente respinto e quando esiste è quel luogo che si nega e da cui si scappa come fa la sua amante Alex. In Young adult la trentasettenne Mavis Gary è convinta che tutti i mali siano concentrati non solo nella sua parentela, ma dilaghino nella comunità della piccola cittadina in cui è cresciuta e che si è lasciata alle spalle per non sprofondare in una vita mediocre e banale. Peccato che in città, l’ex ragazza più popolare del liceo, sia diventata una specie di nerd alcolizzata e depressa affogata nell’anacronismo. Anche i più belli, popolari e vincenti s’incasinano e diventano dei falliti. Per uscire da questo tunnel Mavis parte per un’ improbabile crociata alla riconquista del suo fidanzato del liceo oramai sposato e con prole. Dovrà rimettere piede nell’odiato paesello per riprendersi quello che nella sua testa è l’unico uomo che potrà renderla finalmente felice. Quest’idea tra il romantico e il patetico sembra rubata alla Meg Magrath di Crimes of the heart e vi sono moltissime altre affinità con lei anche se Mavis non è così melodrammatica, ma irosa e sarcastica. E’ una donna dall’identità disfatta e vuota. Per riuscire a piacere punta superficialmente sulla sua bellezza. Non riesce a provare nessun sentimento autentico. E’ gelida e indifferente verso il resto del mondo. Quando dichiara il suo amore redivivo, a quell’uomo su cui ha tanto fantasticato, usa parole rubate a conversazioni di adolescenti in fast food. Anche quando arriva il momento di sottoporsi ad un brusco risveglio alla realtà Mavis decide di non uscire dal suo reame. Stabilisce che sono gli altri i malati di conformismo, i rassegnati ad una vita ordinaria. Lascia le ultime riflessioni al suo alter-ego letterario che continuerà nel virtuale le azioni interrotte e impedite nel reale. Un film visivamente pieno di sfumature, rimandi e dettagli che conducono lo spettatore ad immergersi pienamente nella psicologia dei personaggi.
Reitman crea la versione antitetica di Il matrimonio del mio miglior amico in cui il sorriso di Julia Roberts è sostituito dal broncio ringhioso di Charlize Theron e invece dell’affascinante gay interpretato da Rupert Everett c’è il goffo e menomato amico/consolatore interpretato da un tenero Patton Oswalt. Il caustico Reitman demolitore delle filmografie di Garry Marshall, P. J. Hogan, Nora Ephron ama evidenziare i difetti, le brutture e le debolezze attraverso anomali commedie che invece di rassicurare gli animi e ricomporre un ordine benefico nelle cose ci trascinano dentro un itinerario americano malefico, caotico e disincantato lasciandoci vacillare verso un futuro incerto tra l’orrendo e il radioso.