Chi oggi si interessa a ciò che accade nel mondo avrà sicuramente sentito parlare della Corea Del Nord, della sua sfrenata corsa al riarmo nucleare, delle conseguenti sanzioni internazionali, delle promesse, puntualmente smentite di abbandonare il programma nucleare. Se ne è sentito parlare fino alla nausea, ma pochi però hanno “ascoltato” le voci che si levavano a denunciare un altro orribile aspetto della Corea del Nord: esiste il rispetto per i diritti umani in questo Paese?
Il 2009 si è aperto con prospettive sempre più preoccupanti per il rispetto dei diritti umani nei Paesi dell’Estremo Oriente, dove stiamo assistendo ad una recrudescenza da parte dei regimi dittatoriali nell’attività di repressione nei confronti delle minoranza etniche, religiose ed in generale nei confronti di chi osa lottare per la libertà e l’affermazione dei diritti. I casi più eclatanti sono stati la Birmania, Il Tibet, L’Iran, poco si è sentito parlare di Corea del Nord.
Eppure la Corea del Nord è uno dei più efferati stati totalitari del mondo, il culto della personalità del “leader maximo” di turno non conosce limiti; dopo la morte di Kim -il – Sung, il posto di dittatore – persecutore è stato preso da suo figlio Kim Jong.
Yodok Stories, film – documentario presentato al Tribeca Film Festival e proiettato nei giorni scorsi al Senza Frontiere Film Festival di Roma – parla di un aspetto molto poco conosciuto del regime nord coreano, isolato per decenni dal resto del mondo, e cioè delle atrocità disumane che regolarmente, ancora oggi, accadono nei campi di concentramento allestiti all’interno del Paese. Yodok è un campo di concentramento che ospita circa duecentomila uomini, donne e bambini, considerati “nemici di classe” dello Stato; intere famiglie, con nessuna probabilità di sopravvivere, vengono inviate nei campi anche solo al minimo sospetto di sedizione di qualcuno degli appartenenti al nucleo familiare.
Il regista Andrzej Fidyk era venuto a conoscenza di ciò che accadeva in questo Paese già nel lontano 1988, quando aveva girato un altro film – documentario, The Parade, che racconta le grandi celebrazioni e parate avvenute per il quarantesimo anniversario della Repubblica Democratica Nordcoreana; da allora Fidyk si è chiesto come poter parlare in un film – documentario di ciò che accadeva nei campi di concentramento nord coreani, in quanto, per ovvi motivi, è impossibile andare lì con una macchina da presa. Da qui l’idea di creare una rappresentazione teatrale, un musical che mostrasse la quotidianità e le atrocità commesse all’interno dei campi.
Yodok Stories è diviso in diverse sezioni, dove si alternano le interviste ai pochi sopravvissuti riusciti a fuggire dal campo e la preparazione di questo musical da parte degli stessi. Ogni sezione si concentra sulla storia della propria vita nel campo di concentramento di uno degli ex detenuti; si scopre, con orrore, che queste, prima di essere deportate, erano “persone comuni” e i loro crimini più gravi vanno dal lavoro irregolare per sostentre la famiglia, all’essere legati a qualcuno che aveva espresso un pensiero “sbagliato” sul regime. Rinchiusi per un niente insomma, condannati a morte certa attraverso lavori forzati, tortura, stupri, freddo, atti di cannibalismo per tentare di sopravvivere il più possibile, esecuzioni casuali… Un orrore, un qualcosa di inenarrabile che invece cerca la forza della narrazione attraverso un musical, per arrivare alle orecchie del mondo; chiaramente c’è voluto molto coraggio da parte dei sopravvissuti coinvolti nella produzione, a parlare… Molti di loro, infatti, sono stati minacciati di morte ma il risultato, nonostante tutto ciò, è stato sorprendente: le parti del musical sono molto efficaci nel raccontare le storie a cui sono ispirate, e le interviste, danno con prepotenza e semplicità l’dea di cosa accade in quel posto chiamato Yodok, e rievoca in noi occidentali memorie mai sopite…
Yodok Stories ha dunque un incredibile valore documentario e costringe lo spettatore a confrontarsi con le “forze del male” del regime comunista nord coreano e scoprire, banalmente, che sono solo dei ricorsi storici, cose già accadute in altri luoghi della Terra, che si presentano in una forma sempre uguale a se stessa. Questo film è un grido universale insomma, un grido che si leva ovunque è esistita o esiste una situazione di negazione dei diritti fondamentali dell’umanità. Il problema che potrebbe sorgere, a mio avviso, per un pubblico occidentale abituato a vedere proiettate sullo schermo le atrocità della Storia (si pensi allo shock iniziale, ma subito dopo al silenzio e all’indifferenza, che a dramma già consumato, ebbe il documentario di Alain Resnais sui campi di sterminio nazisti Notti e nebbie) è che poi tutto si riduca ad una breve riflessione, ma non ad una vera e propria presa di coscienza.
Primo Levi parlava dell’importanza di conservare memoria, attraverso i racconti, attraverso un libro perchè solo così la Storia poteva non ripetersi ancora e ancora.
Il cinema è uno strumento eccezionale per fare questo e Fidyk l’ha ampiamente dimostrato.