Perchè sì

Perchè no

 di Giovanna Quercia

Non si può parlare dell’ultimo film di Oliver Stone, W., senza riflettere prima sulla dissennata sorte che ha avuto nei circuiti distributivi italiani. Annunciato da sempre come “uno dei film più attesi dell’anno”, essendo nientepopodimeno che un biopic sul presidente uscente George W. Bush, dunque chiaramente qualcosa di molto interessante e coraggioso, il film è stato pressoché ignorato sia dai grandi festival (con l’eccezione di Torino) che dalla grande distribuzione italiane, trasformandosi qui in Italia – e solo qui in Italia – in una sorta di piccolo film indipendente che bisogna andarsi a cercare in rete, nelle videoteche, o in sparute sale dov’è uscito senza doppiaggio e senza nessuna promozione precedente. Se l’è aggiudicato la Dall’angelo pictures, ovvero una società sconosciuta che, per quanto seria e professionale, finora si è sempre occupata solamente di acquistare e distribuire prodotti televisivi. Ed infatti W. è stato trasformato in un prodotto televisivo la cui vera occasione di essere visto da un pubblico numeroso sarà lunedì 19 gennaio alle 21.00, quando sarà trasmesso da la7.

Come mai una sorte così bizzarra per un film che aveva tutti i numeri per essere un evento cinematografico, suscitare dibattito, attirare grande pubblico? La verità nessuno la dice apertamente, e naturalmente non si saprà mai chi è stato esattamente a pronunciare il grande niet! ma l’evidenza dei fatti dice che né i responsabili del Festival di Roma, né Raicinema, né la Fandango, né la Mikado, né naturalmente Medusa, se la sono sentita di fare cosa sgradita al nostro presidente del consiglio distribuendo un film da cui il suo grande amico americano esce piuttosto malconcio. Piaggeria, pura piaggeria, non sapremmo quale altra parola usare.

Perché probabilmente non si tratta di vera e propria censura, nel senso che non c’è stata un’autorità che ha vietato la distribuzione del film. No, no… probabilmente è bastato far sapere che qualcuno non gradiva, che magari sarebbe saltato qualche accordo, che toccava entrare in un velato conflitto con certi colossi mediatici, e tutto si è risolto da solo… A Roma, ad esempio, W. doveva aprire il festival, poi è saltato tutto: “Eravamo in trattativa con la manifestazione di Roma, ma la cosa è stata un po’ strana – è la ricostruzione che fa Cristelle Dupont, dell’agenzia inglese Dda che si occupa della promozione del film di Stone – A un certo punto gli organizzatori ci hanno detto che il primo ministro italiano, Silvio Berlusconi è un gran sostenitore del Presidente Bush e quindi non avrebbe gradito che un film come quello di Stone aprisse il festival“. Gianluigi Rondi, direttore del festival, ha poi negato tutto, affermando semplicemente che i produttori hanno preferito il festival di Londra, ma si tratta chiaramente di una versione ufficiale di comodo. Che tristezza. 

W. sorprende perché, lungi dall’essere semplicemente un pamphlet politico sulle malefatte della presidenza Bush –  sul genere di Fahrenheit 9/11 di Michael Moore per intenderci – è invece una sorta di scavo psicanalitico sulla persona George W. Bush che, a partire dalla costruzione temporale del film, mette costantemente in relazione le scelte politiche con i moventi personali, quasi quasi privilegiando questi ultimi ed appassionandosi alla sorte di questo primogenito negletto dal padre, che gli avrebbe sempre preferito il fratello minore Jeb. Dopo aver dissipato la giovinezza con alcool, bravate ed imprese lavorative fallimentari, George Junior si converte improvvisamente a Dio, smette di bere e passa la seconda parte della vita a cercare di conquistarsi l’approvazione del padre sfidandolo sul suo stesso terreno: la guerra in Iraq. E così, in un film quasi privo di riferimenti all’11 settembre, la decisione di attaccare l’Iraq e di defenestrare a tutti i costi Saddam Hussein appare più come una conseguenza del compleso di Edipo non risolto di Bush, combinato con i sogni imperiali megalomani di Cheney e Rumsfeld, piuttosto che una strategia dell’America per combattere il terrorismo. Una tesi non completamente nuova e forse tagliata in maniera un po’ grossolana, ma che sicuramente contiene un suo nucleo di verità e fa riflettere sull’importanza degli individui nei processi storici.

In questo film, che sorvola completamente sull’attività petrolifera della famiglia Bush e sugli interessi economici in gioco, sembra davvero che la differenza la facciano i singoli caratteri, con i loro traumi, le loro debolezze, la loro storia. W. è in fondo una tragedia dell’inadeguatezza, che racconta le conseguenze terribili che comporta mettere un potere enorme nelle mani di una persona debole, frustrata, che si sente vittima della vita. Non c’è dubbio che George W. Bush sia stato l’uomo sbagliato al posto sbagliato nel momento sbagliato. Se fosse rimasto nel suo ranch in Texas sarebbe stato solo un simpatico cowboy sbruffoncello un po’ ribelle e figlio di papà.

Ora un enigma però rimane: come ha fatto quest’individuo a diventare presidente? Com’è potuto succedere? Il film di Oliver Stone, che d’altronde è un instant movie su avvenimenti storici accaduti appena qualche anno fa (anche se sembra passata un’infinità di tempo tanto il mondo è cambiato), non dà risposte soddisfacenti. Speriamo che presto altri cineasti si incarichino di sciogliere la matassa. E che quel giorno i distributori italiani abbiano riguadagnato un po’ di coraggio…

 di Marco Catola

Ospitiamo la recensione di MARCO CATOLA uscita sulla rivista zabriskiepoint

Accompagnato da infinite polemiche (prima il presunto rifiuto della Festa di Roma perché il film era inviso a Berlusconi, poi i problemi distributivi che ne hanno impedito un’uscita adeguata e dignitosa) finalmente arriva anche in Italia, grazie alla Dall’Angelo Pictures, che si è assicurata i diritti per tutti i canali di distribuzione (cinema, homevideo e tv), W. di Oliver Stone, il tanto discusso biopic del presidente degli Stati Uniti George W. Bush.
Dopo aver inaugurato il festival di Torino è uscito prima in una sola sala (il Metropolitan di Roma) e in versione originale sottotitolata poi in tutta Italia ma solo in formato digitale (Digima, grazie all’esclusiva partnership con Dall’Angelo Pictures, distribuisce il film in esclusiva per il canale Sale Cinematografiche Digitali). C’è chi ha parlato di strumentalizzazione politica (il film sarebbe poco gradito a Berlusconi e questo spiegherebbe l’uscita problematica), c’è chi invece considera in maniera più concreta i limiti del film (non si tratta di un capolavoro e il presidente uscente Bush non ha più molto appeal sul pubblico). Fatto sta che in ogni caso il film di Stone, che non è proprio un esordiente, viene decisamente penalizzato da una distribuzione così limitata e lascia comunque aperti i dubbi sulle motivazioni plausibili di un simile trattamento. Certo se si pensa anche a film di altri maestri del cinema (Palermo Shooting di Wenders docet) forse non c’è poi da stupirsi più di tanto…
È innegabile che a Stone le cinebiografie dei presidenti degli Stati Uniti vadano molto a genio (questo W. è la terza dopo JFK e Nixon). Ora il problema non è tanto la fedeltà alla storia (sebbene la sceneggiatura si sia basata su due libri State of Denial di Bob Woodward e The Faith of George W. Bush di Stephen Mansfield e non su vere ricerche di repertorio) ma la scelta di cosa raccontare o meno. Se si paragona W. a film come Il Divo (il primo che viene in mente in ordine di tempo) salta subito agli occhi una certa superficialità paradossalmente tutta americana (e per una volta non italiana). Stone preferisce soffermarsi sull’ingenuità quasi infantile e sull’emotività umanizzante di Bush (un bovaro texano che per poco ci resta secco a causa di un salatino che gli va di traverso, rinuncia al suo dessert preferito in onore dei caduti in Iraq, mangia solo sandwich e hamburger, parla sempre con la bocca piena, ha una passione sfrenata per il baseball). Ma così facendo ne omette inevitabilmente la metà oscura (la formazione politica, i presunti complotti, le discutibili relazioni). Nessun accenno né all’11 settembre né tanto meno alle elezioni con cui George jr è diventato presidente, in maniera diametralmente opposta a Sorrentino che invece andava a scandagliare il fondale torbido di una personalità ambigua e controversa come quella di Andreotti senza preoccuparsi di cosa poteva scatenare sia nell’opinione pubblica che nel diretto interessato. Ma anche a Michael Moore che nel suo, forse sopravvalutato, Farenheit 9/11 ci andava giù pesante su Bush e la cerchia vampiresca dei suoi consiglieri. Se da una parte la ricostruzione dell’habitat politico della Casa Bianca è impeccabile (a tratti forse un po’caricaturale), dall’altra la completa assenza di un punto di vista morale e di uno spessore politico di Bush non può che deludere. 
Sfugge insomma il senso dell’operazione. Si tratta di un omaggio all’uomo più potente del mondo ma meno forte della specie umana? O semplicemente di una giustificazione al suo sciaguratissimo ed imperdonabile operato? Il processo di immedesimazione diventa quasi inevitabile. Questo Bush inetto e irresponsabile ma caparbio e molto umano fa quasi tenerezza…Non che Bush sia da linciare ma è semplicemente l’uomo sbagliato al momento sbagliato nel contesto sbagliato. Perché costruirgli un alibi? Può darsi sia un idealista convinto, può darsi che l’alcolismo l’abbia penalizzato e la fede cristiana salvato ma questo cosa c’entra con le dinamiche oscene e violente che si celano dietro la politica? Senza contare poi che anche l’aspetto satirico è di una povertà disarmante. Tutti in parte gli attori, non c’è che dire (da Josh Brolin nel ruolo di Bush junior a James Cromwell in quello di Bush senior, da Thandie Newton che fa Condoleezza Rice a Jeffrey Wright che fa Colin Powell, da Richard Dreyfuss che fa Cheney a Scott Glenn che fa Rumsfeld), ma nessuno che vada oltre una mera emulazione mimesica. Manca l’anima e paradossalmente una verosimiglianza. Sì, è vero, Stone per bocca di Cheney/Dreyfuss espone i veri motivi della Guerra in Iraq (che hanno poco a che vedere con la tanto osannata democrazia occidentale da esportazione) e lascia a Powell/Wright un’arringa antimilitarista (peraltro davvero poco plausibile), ma oltre questo non resta granché.
Tra repentini salti temporali (dalle goliardie di gioventù all’amore da fiaba per la sua Laura) e uno snervante complesso edipico nei confronti dell’integerrimo padre scivola via il biopic meno pregnante della stagione. E forse senza scomodare complotti politici, le ragioni che stanno alla base di un insuccesso annunciato (negli Stati Uniti è uscito appena prima delle elezioni presidenziali e ha incassato poco più di 20 milioni di dollari) sono squisitamente cinematografiche. Checché ne dica Berlusconi (“La storia dirà che George W. Bush è stato un grandissimo presidente degli Stati Uniti. Bush è un uomo di grandi principi, grandi ideali, grande visione, ma soprattutto uno che ha il coraggio di perseguire questa visione. In lui non ho mai visto il calcolo del politico, ma la spontaneità e la sincerità di colui che crede in quello che fa. Mi è stato facile condividere le decisioni di Bush fondate sull’amore della libertà, la democrazia e il rispetto per gli altri”) un film su Bush (o meglio questo film su Bush) non funziona…
Una curiosità: W. sarà disponibile a partire da martedì 13 gennaio 2009 in video on demand su Alice Home Tv e lunedì 19 gennaio alle ore 21:10, alla vigilia dell’insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca, La7 ha trasmesso il film in esclusiva tv (preceduto da una puntata speciale di Otto e mezzo che ospiterà in esclusiva il regista Oliver Stone in collegamento via satellite da Los Angeles). Una sorte simile (addirittura senza uscita in sala) era toccata a Redacted di Brian De Palma che è approdato direttamente su Sky cinema circa un anno fa. Misteri della distribuzione italiana.

5 Replies to “W.”

  1. Complimenti Giovanna, sei riuscita a descrivere perfettamente le stesse sensazioni che ho provato vedendo il film, che per la sua interpretazione “privatistica” e intima può risultare affascinante da un lato, ma anche parziale e deludente dall’altro.

  2. non rimane quasi nulla, dopo la visione del film. Il grottesco non diventa mai veramente feroce, e il tragico è assente. Alla fine Bush nella sua mediocrità a tinte rosa (a volte nel suo essere così narcisisticamente infantile suscita infatti tenerezza) risulta anche un po’ simpatico. E dunque, mi dico, ma ce ne era davvero bisogno di questa microvisione zuccherata? Vergognoso che nell’intervista di Otto e mezzo a Stone non si sia fatto alcun riferimento alla censura subita dal film in italia.

  3. Butto lì una provocazione, ma se non si fosse trattato di censura, e W. fosse stato trattato invece come un qualunque altro film e non fosse piaciuto veramente a nessun distributore? Come film, al di là del nome del regista e dell’argomento?

  4. Sono d’accordo con voi sui limiti del film, non è certo un capolavoro e racconta solo una verità molto parziale sull’aspetto umano di Bush. E’ vero che in certi momenti suscita perfino simpatia per la sua debolezza e i suoi complessi, tuttavia la cosa interessante è proprio questa: che un uomo ingenuo e naif, dunque umanamente degno di compassione, messo a comando di un impero mondiale possa compiere azioni criminali senza neanche rendersene conto più di tanto(impressionante è il modo in cui Cheney fa passare l’autorizzazione ad usare le torture mentre Bush è impegnato con i sandweech!). Ora può essere che sia una scena caricaturale e non esattamente realistica, però secondo me è vero che i demoni personali producono effetti catastrofici in un uomo di potere, tant‘è che bisognerebbe eleggere solo persone consapevoli e risolte… su questo il film fa riflettere…
    Chiara, con tutti i brutti film che ci sono in circolazione – e che abbondavano nel concorso del festival di Roma – secondo te è credibile che W. (che ha pur sempre una sua necessità) sia stato ignorato solo per non essere un film riuscitissimo? Comunque è probabile che i distributori e i selezionatori, se intervistati, risponderebbero esattamente con questo argomento della qualità, etc. etc…

  5. Capisco alcune delle motivazioni di Giovanna ma, a furia di sorvolare su questo e su quello, il film appare sconclusionato, inadeguato all’importanza che l’argomento rivestirebbe, insieme astorico e antistorico. Gioca con i tempi del racconto per puro sfizio senza una vera tessitura narrativa. Regia e recitazione paiono degni al più di una mediocre fiction televisiva.
    Non so se ci sia stata censura eterodiretta (autocensura molto probabilmente sì) ma è verosimile, come suggerisce Chiara, che anche per un distributore liberal nostrano potrebbe essersi trattato di un prodotto imbarazzante, impresentabile perché malfatto, ingenuo, noioso.
    Talmente brutto, a mio avviso, che rende un ottimo servizio alla famiglia Bush. Stone si riguardasse 100 volte il MILK di Van Sant per imparare come si gira un grande biopic politico.

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