Donne. Donne fragili, donne coraggiose, donne determinate, donne sole. Ma anche donne forti e vigorose, custodi e testimoni di un potere che nasce dalla consapevolezza della loro forza sentimentale e psicologica. Ancora una volta Almodóvar, con un film intenso e delicato, omaggia il mondo femminile, un mondo in cui l’amore dà senso ai morti che “tornano” e mette da parte il giudizio verso i vivi che uccidono. L’amore è qui la risposta dell’ego alla coscienza della fine, l’unico mezzo con cui si ha la forza di sorreggere lo spirito di fronte alla paura della morte. E’ l’antidoto contro la solitudine prodotta da un’individualità che si allarga e si espande fino a diventare un “noi”.  Solo in questo modo è possibile per Almodóvar tornare a un tema tanto delicato che aveva affrontato per la prima volta in modo diretto ne Il fiore del mio segreto. Lì Leo, una scrittrice di romanzi rosa, non riesce ad accettare una verità dolorosa: suo marito non solo non l’ama più ma la ha una relazione con la sua migliore amica. La sua presa di contatto con la realtà passa per una profonda e sofferta crisi che culmina con la “morte” di una sua parte. Leo decide di rompere con il mondo dei romanzi rosa per dedicarsi alla scrittura di una storia che parli di vita reale. E la trama di questo suo primo romanzo-noir immediatamente rifiutato dal suo editore (“la realtà è per i giornali, per la televisione. La realtà andrebbe proibita”) è proprio quella di Volvér.
Il film si apre con la dichiarazione sulla tollerabilità dell’idea della morte laddove appare ancora un fenomeno naturale, dove i legami e i ruoli familiari (nel bene e male) hanno un’identità riconoscibile: un cimitero di un piccolo paese della Mancha (come quello da cui viene Almodóvar). Qui un gruppo di donne si incontra,  pulisce e sistema con disinvoltura e allegria tombe e lapidi. Tra di loro c’è Raimunda (Penelope Cruz), una giovane madre attraente e volitiva con una figlia in piena adolescenza e un marito disoccupato e inutile. La commedia prende subito tinte drammatiche: una sera Raimunda (che vive a Madrid) torna a casa e trova il marito accoltellato e la figlia che, in uno stato semiconfusionale, le racconta del suo tentativo di stupro. L’orrore e la straordinarietà dell’evento, in perfetto stile almodovariano, non faranno perdere d’animo la protagonista che prenderà risoluta la decisione di nascondere il cadavere dell’uomo nel frigorifero del ristorante di un vicino. Intorno a loro altre donne, la sorella Sole, la zia Paula, Augustina, la vicina del paese, e la misteriosa “presenza” di una madre morta a causa di un incendio, mentre dormiva abbracciata al proprio marito. Questo è solo l’inizio di una storia complicata e semplice, paradossale e toccante durante la quale Raimunda-Penelope farà tutto quello che una madre può e deve fare per proteggere la propria figlia, cosa che, invece, in un passato remoto e drammatico, non fece la sua.  Ed è per questo che il fantasma della madre Carmen Maura (ma è davvero un fantasma?) torna per chiederle perdono. Nell’incontro tra le due donne il film raggiunge il culmine della sua intensità: la madre, ottenendo il perdono della propria figlia, riesce a perdonare se stessa e quindi a trovare pace; Penelope-Raimunda, perdonando la madre, ricompone la frattura dell’abbandono subìto e ri-trova la madre che non ha avuto. Così ogni tassello va al suo posto. Carmen continuerà a esercitare la sua missione di cura accudendo Augustina – che  davvero non ha più una madre – e lasciando alle due figlie una presenza fatta di commozione, di sguardi, di ciambelle croccanti, di silenzi accoglienti.
Le donne di Volvér sono irrimediabilmente sole nel loro viaggio, segnate da dolori piccoli e grandi che affrontano e superano perché hanno imparato a sostenerli amando. Solo così riescono a coltivare il ricordo (o chissà la presenza reale) di una madre che, anche nell’assenza, gioca un ruolo positivo: alla fine può anche non esserci più perché vive in loro come una parte di se stesse, che le accompagnerà sempre, nutrendo quell’amore fattivo, l’unico in grado di dissolvere l’angoscia della solitudine.

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