CONVERSAZIONE CON EVA SANGIORGI, DIRETTRICE DEL FESTIVAL

La Viennale 2020 sarà ricordata da tutti come un’edizione memorabile. Dal 22 ottobre al 1 novembre le sale cinematografiche della città hanno coraggiosamente aperto le loro porte al pubblico per festeggiare dal vivo e su grande schermo il cinema che è, per definizione, un’arte collettiva. Credere in un evento in presenza e portarlo a termine difronte all’incertezza e alla paura creata dal Covid è un atto militante.  Eva Sangiorgi, direttrice della Viennale e il suo team si sono lanciati in quest’avventura con grande determinazione e con una strategia ben precisa. Una serie di cambiamenti sono stati necessari per adattare lo svolgimento della manifestazione alla situazione d’urgenza sanitaria nella quale ci troviamo. Al fine di creare lo spazio necessario alle misure di distanziazione sociale la direzione del festival ha optato per un programma più snello con un numero minore di film -87 lunghi e 27 cortometraggi- una durata leggermente più breve e un numero maggiore di cinema. Per la prima volta l’Admiralkino, il Blickle Kino, il Filmcasino, Le Studio Film e il Votiv Kino si sono aggiunti ai cinema tradizionali del festival portando il programma della Viennale in vari quartieri della citta non erano stati coinvolti fin ora nell’universo festoso della manifestazione. Posti a sedere alternati, entrate ed uscite separate e l’uso della maschera in sala hanno creato una sensazione di sicurezza nel pubblico che è accorso numeroso alle proiezioni. La Viennale 2020, vera celebrazione del cinema, è stata una riuscita.

Eva Sangiorgi ci ha parlato della sua visione del festival e dell’impegno organizzativo particolare che le ha permesso di dargli vita quest’anno.

La decisione di organizzare quest’edizione della Viennale in presenza nonostante la precarietà e il pericolo potenziale rappresentato dalla pandemia è stata molto coraggiosa. Quali sono i motivi che ti hanno spinta a programmare un festival dal vivo senza prevedere nessuna opzione on line, come hanno fatto molte altre manifestazioni nel corso di questi ultimi mesi?

Trovo che sia importante iniziare la nostra conversazione partendo proprio da questa domanda: la mia decisione di fare un festival in presenza oltre ad avere un valore simbolico molto forte è infatti anche una decisione politica nel senso più ampio del termine.

Quando la pandemia era ormai una realtà, la prima cosa che ho fatto è stata di domandarmi quale fosse il senso di un festival come la Viennale che è, in primo luogo, un evento organizzato per il pubblico di questa città.

La Viennale è, da sempre, una manifestazione che si sviluppa, s’immagina e si organizza, anche economicamente, a partire dall’esperienza vissuta dei cinema. Le proiezioni in sala sono un punto di riferimento fondamentale non solo simbolicamente ma anche economicamente parlando. Una parte importante del nostro budget viene infatti spesa nel settore tecnico del festival per garantire il massimo della qualità cinematografica delle proiezioni in sala. L’importanza e la cura accordata alla qualità delle nostre proiezioni non si rifà solo alla tradizione e alla storia della Viennale stessa ma anche ad una chiara volontà di politica culturale del governo locale che ha sempre sostenuto le sale con delle sovvenzioni, battendosi per mantenere in vita i cinema storici di Vienna.Tutti questi aspetti mi hanno fatto immediatamente pensare che, nel nostro caso, un festival on-line non avrebbe avuto senso perché non corrisponde alla vocazione di questo evento. Con questo non voglio dire che gli altri festival sbaglino a proporre una versione digitale, ma nel caso della Viennale era assolutamente chiaro che un’edizione on-line non sarebbe mai stata un’opzione per noi.

Come dicevo prima questa decisione ha per me una valenza politica. Nella mia professione è importante non confondere l’identità e il senso di quello che stiamo facendo; la cultura cinematografica si conserva e si coltiva solo se s’insiste sul fatto che le proiezioni devono avere luogo nello spazio di una sala oscura.

 Ho preso la decisione di organizzare la Viennale in presenza per non creare confusioni sull’identità di questo festival. D’altra parte, proprio in questo contesto, fare il festival mi sembrava anche un gesto forte per insistere sull’ importanza di mantenere in vita gli eventi culturali. Ogni manifestazione è differente dalle altre e ha le proprie necessità. Capisco bene l’intenzione di andare on-line che è, molto spesso, anche legata al fatto che gli eventi devono succedere per giustificare i finanziamenti e gli appoggi che ricevono. Se l’evento non ha luogo, come si fa per garantirgli un’esistenza economica? Un evento è fatto di gente che lavora e che deve venire pagata, comporta tanti costi di varia natura e se non ha luogo tutti questi costi non possono più venire giustificati e non è più possibile mantenerlo in vita nel futuro. Questo è stato il rischio. Considerando tutti questi fattori abbiamo di conseguenza preso delle decisioni e adottato delle strategie per rendere la Viennale un po’ più agile e economicamente sostenibile per quest’edizione.

Ad agosto eravamo ancora tutti molto ottimisti, nessuno pensava che la situazione in Europa sarebbe precipitata di nuovo. Proprio pensando all’evoluzione imprevedibile della pandemia, cosa sarebbe successo se un giorno prima dell’apertura della Viennale fosse arrivato un decreto di chiusura per tutti gli eventi.  Un piano B ci sarebbe stato?

Sì, ma non sarebbe stato una risposta immediata. Il piano B l’ho dovuto prendere ovviamente molto presto in considerazione per la responsabilità che rivesto ma l’ho sempre considerato come un’opzione di emergenza. In realtà sono sempre stata ferma sulle mie posizioni, cioè sulla mia idea di fare un festival in presenza, mentre tutti mi chiedevano se avrei fatto un on-line o un ibrido. A maggio, quando la situazione era ancora critica, ho dovuto pensare e progettare un piano B.  Se la Viennale avesse dovuto chiudere, il piano B sarebbe stato di riorganizzarla, sempre in presenza, in un altro momento. Direi che questa è stata la decisione più importante che abbiamo preso, perché alla fine ha contribuito a fare chiarezza sulla nostra scelta di mantenere lo svolgimento del festival in presenza nelle date di sempre. Questa è una scelta che, in fin dei conti, vuole essere anche una dichiarazione di principi, uno statement!

Quanto sono state influenzate le scelte di programmazione dalla mancanza dei grandi festival (Cannes, Locarno) e dalla necessità di ridurre il numero dei film in programma?

Certamente quest’anno quella del festival è stata tutta un’altra dinamica ma a me è piaciuta perché ci ha stimolato e ci ha messo alla prova tanto tanto nella riorganizzazione del contenuto quanto della logistica. Alla fine non è stato poi cosi difficile. Abbiamo pensato: non sappiamo cosa succede, dobbiamo mantenere il festival qualsiasi cosa accada, anche se non si svolgerà, così – per risparmiare e limitare i rischi – abbiamo ridotto il festival di tre giorni, 11 invece di 14. Da maggio in poi, quando è stato chiaro che le sale avrebbero avuto una capacità ridotta, abbiamo immaginato una situazione in cui ci sarebbero dovute essere più riprese per ogni singolo film, quindi meno film per tre giorni di festival in meno. Poi abbiamo aumentato il numero di sale a nostra disposizione. Tutto questo ci ha permesso di calcolare, a parte le retrospettive, un programma di 130 lungometraggi per la parte contemporanea invece di 180. Questo dato di fatto ha creato una prospettiva più compatta: meno film certo, ma al passo con la minore disponibilità di film circolanti. Ho cercato di trovare un equilibrio, tipico della ricetta della “Viennale”, fra film di autori noti e film di altri meno noti da sostenere e da fare conoscere al pubblico.  Non è stato facile. L’assenza dei titoli di Netflix, che quest’anno ha deciso di non partecipare ai festival, ha messo in avanti delle produzioni nazionali molto significative che in passato potevano venire oscurate da film più di tendenza.  Alla fine tutto questo scompiglio ha portato un impulso positivo e ci ha permesso di accogliere un maggior numero di cinematografie diverse. Ho dovuto ovviamente lasciare fuori dal programma dei film che mi sarebbe piaciuto inserire ma alla fine, purtroppo, la selezione è sempre una sofferenza!

Qual’è il tuo bilancio sull’edizione di quest’anno?

 C’era molta incertezza e preoccupazione, anche perché giorno dopo giorno la situazione si è andata complicando ovunque. Da un lato ci siamo sentiti un po’ come stretti in una morsa di pericolo imminente però, allo stesso tempo, abbiamo vissuto una sorta di un miracolo perché il festival ha avuto luogo e perché, giorno dopo giorno, la gente è venuta numerosa e la risposta del pubblico è stata molto più positiva di quello che ci saremmo potuti aspettare in questa situazione. Ovviamente, data la riduzione obbligatoria del numero dei posti in sala, il numero dei biglietti venduti sarà certamente inferiore rispetto alle annate precedenti però, visto in proporzione alla disponibilità dei posti, il bilancio è molto più positivo di quello che ci saremmo potuti immaginare.

La Viennale dipende molto dal box office e siamo molto sorpresi: le sale si sono riempite, la gente non ci ha abbandonato, anzi si è mostrata molto disponibile e comprensiva per la situazione in cui ci troviamo con tutti gli inevitabili disagi che comporta. Inoltre tutti si sono mostrati molto rispettosi dei protocolli sanitari. Anche i registi sono venuti a Vienna per presentare i propri film di persona e abbiamo accolto più di una quarantina di ospiti internazionali!

Un numero enorme, data la situazione!

Sì, tanta gente e tanta energia alla quale ha contribuito un’importante presenza austriaca, che ho sentito di dover includere quest’anno nel festival dando una Carte blanche alla Diagonale… L’energia in sala è stata pazzesca!

Certo le dinamiche sociali degli incontri pomeridiani e serali, i talk e via dicendo sono stati ovviamente cancellati, anche la riunione dei direttori di festival che avevo organizzato non si è potuta tenere ma, alla fine, le opportunità di chiacchierare si sono date, certo non si sono più formati dei grandi gruppi di gente prima e dopo il film nei foyer dei cinema, ma la gente in strada ci poteva stare e il tempo, per fortuna, è stato clemente. Abbiamo organizzato anche delle piccole cene per i registi ospiti in diversi ristoranti durante le quali si sono sorte delle bellissime esperienze di conversazioni molto personali.

Fra i film in programma quest’anno potresti citarne alcuni che ti stanno particolarmente a cuore?

Per me i grandi film di quest’anno sono First Cow di Kelly Reichardt, presentato l’anno scorso alla Berlinale e sicuramente Rizi (Days), l’ultima opera di Tsai Ming-Liang, un regista importante, che esplora sempre cammini nuovi e il cui cinema spirituale e contemplativo ci trasporta in un’altra dimensione.  Anche El año del descubrimiento di Luis Lopez Carrasco per me appartiene ai film notevoli di quest’ultimo anno. Vorrei citare infine anche il film di chiusura del festival The Truffle Hunters di Gregory Kershaw e Michael Dweck che ha avuto la sua prima a Sundance, lo trovo spiritoso e intelligente.

Fra le monografie e le retrospettive di quest’edizione vorresti citarne una in particolare?

La retrospettiva dedicata a Želimir Žilnik mi sta molto a cuore. Želimir Žilnik è un grande maestro, averlo a Vienna fra di noi è stato un grande regalo. La gente conosce i suoi film  però la sua presenza in sala ha generato un dialogo straordinario con il pubblico.  Želimir Žilnik è un pezzo di cinema vivente. In questo momento sta realizzando anche un nuovo progetto a Vienna.

Anche la retrospettiva dedicata al regista tedesco Christoph Schliegensief, prematuramente scomparso, è stata accolta con molto entusiasmo dal pubblico; la sua opera è stata una scoperta per tante persone. Bisogna sapere che il suo cinema non è conosciuto fuori dai territori di lingua tedesca, molti dei suoi film non sono neanche sottotitolati in inglese. Il fatto che Bettina Böhler abbia girato un documentario su di lui, Schlingensief, Shouting into the silence (2020),  ha certamente contribuito molto alla sua riscoperta.

Fra gli ospiti, c’è un incontro col pubblico che ti ha particolarmente toccato?

 Quo vadis Aida? di Jasmila Zbanicera un film molto atteso. La presentazione in sala con Jasmila Zbanic è stata straordinaria e ha risvegliato tanta curiosità non solo a livello storico ma anche cinematografico visto che la regista si è presa molte libertà nel raccontare questa storia. Di Želimir Žilnik ho già parlato, anche lui ha creato una meravigliosa connessione con il pubblico. Infine Heinz Emingholz, che è venuto quest’anno per presentare ben due film, ha creato l’evento e io sono stata particolarmente felice di avere potuto mostrare le sue opere in sala.

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