RETROSPETTIVA VIENNALE E FILMARCHIV AUSTRIA
IL PARADIGMA PRODIGIOSO : REGISTI-AUTORI AUSTRIACI DEGLI ANNI OTTANTA
Parte terza: Schwitzkasten di John Cook
Vienna costituisce il terreno ideale per scrutare l’essere al mondo di un giovane uomo anche in Schwitzkasten, (Clinch) di John Cook (1978). Cronaca sensibile del passaggio dalla giovinezza alla maturità, il film ci offre uno dei ritratti più sottili ed empatici del mondo operaio viennese negli anni 70.
Cooksegue le orme di Hermann Holub, un giovane operaio alla deriva nel corso di una lunga estate viennese. Filmato in 16 millimetri con una stupefacente scioltezza ed uno stile realista di matrice documentaria, Schwitzkasten è una vera gemma, un film assolutamente fuori dai canoni del cinema austriaco dell’epoca, un film culto.
John Cook, artista canadese di nascita (1935-2001), dopo essersi fatto un nome lavorando come fotografo di moda a Parigi, alla fine degli anni sessantadecide di cambiare rotta seguendo la sua compagna dell’epoca, la modella austriaca e oggi fotografa, Elfie Semotan, nel suo paese d’origine. La velocità con la quale Cook assorbe l’atmosfera viennese si traduce in una breve ma non per questo meno importante serie di film che fanno di lui uno dei più importanti registi ‘austriaci’ degli anni settanta. Schwitzkasten è il suo terzo film.
La vicenda, tratta dal romanzo Das Froschfest di Helmut Zenker, si snoda come un diario filmato della vita di Hermann nel corso di un’estate decisiva per la sua vita. Operaio addetto alla manutenzione dei giardini pubblici di Vienna, Hermann sembra intendersi bene con i suoi colleghi fino al giorno in cui scopre che l’elezione del prossimo delegato sindacale del gruppo è manipolata dal loro padrone. Infuriato da questa ingiustizia, su un colpo di testa, il ragazzo molla tutto e se ne va. Questo episodio segna l’inizio delle sue peripezie nel corso delle quali incrocerà varie persone e vivrà esperienze di ogni genere. Vagherà solo e senza meta per le strade di Vienna, andrà a letto con la sua ragazza, visiterà un amico intellettuale, si fermerà a bere in un’osteria, cercherà conforto da una prostituta. Ormai senza lavoro ritornerà a vivere a casa dai suoi, finirà per mettersi nei guai litigando con suo fratello, passerà qualche tempo in prigione e ne uscirà determinato a mettere dell’ordine nel caos della sua vita.
Il canovaccio della trama dice in realtà ben poco sull’essenza di questo film tessuto con una finezza e una sensibilità straordinarie. L’atmosfera unica di Schwitzkasten intrisa di mestizia, humor e delicatezza riposa sulla capacità di Cook a tratteggiare i suoi personaggi con brio e immediatezza, a costruire dei dialoghi autentici, a mettere in scena situazioni e rapporti umani leggendo fra le pieghe dell’anima dei protagonisti, senza mai giudicare nessuno.
Pur basandosi su una sceneggiatura precisa e ben articolata, il film sembra filmato in fieri come un documentario free-style. Realizzato con un’assoluta economia di mezzi, con una cinepresa fluida, un ritmo scorrevole, senza musica e con un suono diretto, Schwitzkasten c’immerge completamente nel mondo del proletariato viennese con le sue preoccupazioni, i suoi sogni, il suo dialetto vivace e inimitabile.
John Cook possiede un talento innegabile nel creare con poche pennellate una serie di personaggi a tutto tondo. Nel film ne affida la rappresentazione ad un cast composto esclusivamente di attori non professionisti con dei risultati sorprendenti.
La scelta di Hermann Jurasek nel ruolo del protagonista Hermann Holuba è cruciale; il film è costruito interamente intorno al suo volto, al suo corpo, al suo modo di essere. Sulla ventina, piccolo di statura ed esile, Hermann ha un fisico da adolescente. La chioma bionda, scapigliata e i grossi baffi campeggiano su una faccia che non cambia spesso d’espressione se non attraverso lo sguardo intenso, a volte smarrito, o immensamente triste che s’illumina raramente con un sorriso. Una mestizia indefinibile, una sorta di nonchalance temperata da un guizzo di autoderisione e il suo fare pacato fanno di Hermann un personaggio accattivante.
Perso nella routine di una quotidianità a cui si piega più per forza d’inerzia che per convinzione, annoiato e disorientato gira senza meta e si lascia portare dal flusso degli eventi. Ad ogni passo sembra vacillare, a volte cade e non è detto che riesca a rialzarsi.
La cinepresa segue agilmente questo percorso che somiglia ad un meandro, alternando dei primi piani intensi sul volto di Hermann a delle viste d’insieme in cui il protagonista si fonde nello scenario grandioso della città. Attraverso un montaggio perfettamente calibrato John Cook sa rendere alla materia narrativa un ritmo scorrevole e al contempo ipnotico, come sospeso nel tempo.
Fra le tante conquiste di Hermann, Vera interpretata con finezza da Christa Schubert, sembra essere un punto di riferimento stabile, il porto al quale il ragazzo ritorna dopo ogni guaio. Gentile e posata, Vera lo ama teneramente, senza chiedergli molto e perdona senza remore tutte le sue sventatezze. Pratica e down to earth Vera sogna di un appartamento più grande, forse di un figlio. Servendosi più di gesti che di dialoghi, John Cook filma con grazia e con pudore questa coppia fuori dagli schemi.
Intorno a Hermann il regista riesce a creare con poche pennellate tutta una galleria di personaggi memorabili: Vera, la sua famiglia, un amico critico letterario, i suoi colleghi di lavoro diventano sullo schermo altrettanti ritratti vibranti di autenticità.
Le sequenze dedicate ai ritrovi di Hermann con Ehrlich, un vecchio compagno diventato poeta ‘engagé’ sono dei veri pezzi d’antologia non solo per i dialoghi smaliziati e pieni di autoderisione ma anche perché ad impersonare Ehrlich è Franz Schuh, oggi uno degli critici letterari più importanti del paese. L’incontro-scontro fra il proletario e l’intellettuale di sinistra raggiunge il suo divertentissimo apogeo quando Hermann scopre di essere registrato a sua insaputa e grida nel microfono di Ehrlich un inequivocabile: Asshole! Asshole!
Cook si avvicina al mondo del proletariato e della piccola borghesia viennese senza moralismi, senza didatticismo, segue ed osserva i suoi personaggi rispettando sempre le distanze anche quando filma dei conflitti o l’intimità famigliare.
Dopo una rissa con suo fratello, Hermann finisce a torto in prigione Questa cesura è un vero punto di volta, sottolineato anche formalmente dall’uso eccezionale di una voce off, quella di Vera, che racconta di non essere mai andata a visitarlo.
Una volta fuori Hermann decide di prendere la sua vita in mano e riesce a farsi assumere da una ditta di trasporti. Anche qui il direttore è scorretto ma questa volta la solidarietà fra colleghi ha la meglio sugli interessi individuali. Placidamente, a piccoli passi, la sua vita prende forma e senso. Un giorno d’estate, come per scherzo, su una barca in mezzo al Danubio Hermann propone a Vera, che aspetta il figlio di un altro, di diventare sua moglie.
Questa conclusione è stata spesso letta come un segno di rassegnazione; di fatto Hermann non abdica, non si piega alle aspettative della società ma trova la sua strada e si ritaglia una felicità su misura negli interstizi delle convenzioni. In questo film etereo e delicato Cook rende tutta la propria dignità ai suoi personaggi che, anche quando le situazioni descritte sono dure e dolorose, non perdono mai la loro umanità.
Forte della sua esperienza come fotografo Cook sa mettere a frutto la sua capacità di osservazione e il suo talento per l’inquadratura dando corpo ad un’opera profondamente personale, intensa ma di breve durata. Al suo esordio con I Just Can’t Go On (1972), un mediometraggio documentario vivido in cui il regista ritrae la sua donna di servizio e il suo compagno pugile, seguirà nel 1976 Langsamer Sommer (Slow sommer) un’opera completamente autoprodotta a metà fra autobiografia e finzione considerata il suo capolavoro. Dopo Schwitzkasten, il film seguente Artischocke (1982) sarà un flop e metterà la fine della carriera cinematografica di Cook in Austria. Come spesso è accaduto con gli autori di questa decade, l’arrivo di un sistema di finanziamenti pubblici sembra avere messo un freno alla sua produzione cinematografica. Cook ritornerà a vivere in Francia dove lavorerà per anni ad un ultimo progetto cinematografico Jose Manrubia Novillero d’Arles (1990) dedicandosi alla scrittura e alla fotografia.