Pubblichiamo l’intervento di un lettore “particolare” a commento del pezzo di Annalisa Picardi su Videocracy: Luca Franco. Studioso di cinema documentario, ha fondato e diretto il Roma Doc Fest. Attualmente lavora come consulente a Blu notte e Doc3. Ha collaborato al film Videocracy.
Certo il moralismo è difficile da combattere! Come si può raccontare la Videocrazia senza i suoi protagonisti? Bisognava fare la solita predica antiberlusconiana, il solito reportage che si mette la coscienza a posto per aver denunciato un fenomeno? Invece Gandini ha scelto di andare a vedere da vicino i protagonisti (anche quelli anonimi, che sono la cartina di tornasole del vuoto che crea la videocraziia e la società dello spettacolo al di là della sua immagine), ha intessuto dei rapporti con loro come dovrebbero fare tutti i documentaristi. Non va a cercare lo scoop o una notizia-bomba, ma va a filmare una relazione, racconta qualcosa cercando di trasmettere delle emozioni. Nella foga tutta italiana di enunciare le regolette per il paradiso, di separare il Bene dal Male non ci si accorge neanche come questo documentario rovesci i valori “videocratici”. Le veline e i loro corpi creano angoscia, la musica, il montaggio e le immagini sono al servizio di un ribaltamento completo delle emozioni. Alla fine tutti quei corpi mezzi nudi che si muovono ammiccanti significano soltanto il vuoto, l’alienazione totale tra l’immagine e ciò che l’immagine vorrebbe rappresentare: la giovinezza, la gioia di vivere e il piacere.
Ci sono due scene-chiave secondo me da tenere presente quando si giudica questo film. La prima è la scena in macchina con Corona che con un certo fastidio apostrofa Gandini con un “Mi hai fatto pensare…”, come se quel barlume, quella scintilla di consapevolezza, fosse la cosa più pericolosa al mondo appunto perché non spettacolarizzabile, non ribaltabile. Scena che è comunque indicativa del valore di Gandini come documentarista: non era facile stabilire un rapporto con Corona e regalarci momenti di consapevolezza e di verità da un tipo come lui. Certo, è molto più facile giudicare e giudicare pericolosa la stessa immagine di Corona che conta i soldi invece che essere curiosi e andare a conoscere il proprio soggetto. Molto più semplice identificarlo con il Male che cercare di capire il meccanismo che c‘è dietro.
L’altra scena ci mostra lo spettacolo a luci spente, il pubblico che se ne va dallo studio di Mediaset e il ragazzo mezzo Van Damme e mezzo Ricky Memphis che guarda triste nel vuoto, forse anche lui consapevole in quel momento dello squallore dello spettacolo quando rimane senza luci, senza pubblico, quando svela il nulla che si nasconde dietro il trucco e la cartapesta… Come dire che i sogni muoiono all’alba. Molto più facile giudicare che conoscere. Per fortuna Erik Gandini non ha fatto il solito reportage anti-berlusconiano, non si è mischiato al coro di chi vuol mettersi l’anima in pace ma è entrato in una realtà e con molta fatica e molta bravura ce ne ha regalato alcune piccole verità…
mezzo Van Damme e mezzo Ricky Memphis?
Ho scritto mezzo Van Damme e mezzo Ricky Memphis perché il ragazzo che vuole diventare famoso (mi sembra si chiami Riccardo) imita Van damme – facendo kick boxing – e Ricky Memphis – cantando come lui- e sostiene che il suo punto di forza sia proprio questo “eclettismo spettacolare”.