Da un vecchio filmato Luce del tempo si vede un treno stracarico di bambini in partenza da una stazione del Sud verso il Nord Italia; per qualche istante la macchina da presa si arresta su un manifesto incollato all’esterno di un vagone. Vi è scritto “Abbiamo detto alla mamma che torneremo forti e felici. Il suo cuore ci segue e ci benedice. Non ville abbandonate dei ricchi, ma il cuore e le case dei lavoratori si aprono ai figli”. In un altro fotogramma è messo in bella evidenza un cartellone che apre una manifestazione gremita di umanità festante. “Siamo i bimbi del Mezzogiorno – vi si può leggere – la solidarietà e l’amore degli emiliani dimostra che non esiste nord e sud. Esiste l’Italia”. Sono due brevi, ma significativi passaggi dPasta nera, ultimo (e faticoso) lavoro del regista pugliese Alessandro Piva (La CapaGira, Mio cognato) presentato al festival di Venezia nella sezione tutta Controcampo Italiano. Un documentario che apre una finestra su un’ Italia di ieri che tanto ha da dire (ed ammonire) alla Nazione che è oggi.
Storie dimenticate dentro pagine di Storia a cui non si dà importanza e che, di tanto in tanto, quel miracolo che è il cinema, unito alla sensibilità di un regista, possono riportare alla luce. Pasta nera riconduce all’immediato secondo dopoguerra, quando fra il 1946 e 1952 oltre settantamila bambini del Sud Italia, poveri e affamati, furono accolti ed ospitati per lunghi mesi da famiglie operaie dell’Emilia, delle Marche, della Lombardia, in una vera e propria gara di solidarietà, senza supporto logistico di strutture statali, e tutto grazie al coordinamento dell’Unione Donne Italiane. La dicono lunga nel film le parole della battagliera ed ex-parlamentare napoletana Luciana Viviani che invita a non abbattersi: “Il nostro è un Paese che ogni tanto ha bisogno di ricordarsi che ha fatto delle cose bellissime. Perché noi siamo un po’ contro noi stessi: ci diciamo tutto quello che facciamo di male, ma ci diciamo troppo poco quello che facciamo di buono”.
Alessandro Piva, per riportare le lancette del tempo indietro di oltre sessant’anni e ripristinare la memoria, è andato alla ricerca di chi ha vissuto in prima persona quell’esperienza, ha portato davanti alla macchina da presa componenti delle famiglie ospitanti del Centro-Nord e chi allora minorenne lasciò il Meridione e le proprie disperate famiglie. Ospiti e ospitanti ormai sono anziani (nonni), ma la loro testimonianza è un viaggio nei ricordi, nel recupero di storie, di aneddoti che scandiscono il tempo di una fratellanza, di un sentimento che tenne uniti e non separati figli, famiglie di una stessa Patria. Testimonia Aude Pacchione, un’organizzatrice emiliana: “Le cose che raccontavano questi bambini erano come una lezione di geografia per le famiglie, quindi è stato un rapporto che ha dato, ma ha anche molto ricevuto… Erano due mondi che si incontravano. E quando due mondi si incontrano, crescono tutti e due”.
E’ efficace allo prova dello schermo questo film-documento, anche per come Alessandro Piva ha saputo incastonare, tra una testimonianza e l’altra, filmati d’epoca dell’Istituto Luce, fotografie degli album personali, un coro di voci bianche e, infine, un’originale (e mai invasiva) colonna sonora firmata da Riccardo Giagni. Guarda dietro, al passato, Pasta nera, ma per riflesso ha a che fare con l’oggi, con un Paese fortemente più egoista, che ha paura dell’altro (dello straniero), che non sa e non intende promuovere politiche dell’accoglienza, che di fronte alla povertà oggi alza muri spinati piuttosto che estendere ponti. Un film che tocca le corde emotive dello spettatore e non sarebbe un’idea malvagia se lo si portasse nelle scuole…
E il Pasta nera del titolo cosa centra con l’opera realizzata in collaborazione con Cinecittà Luce, Fondazione Di Vittorio e la consulenza di Giovanni Rinaldi, studioso di memoria orale? Centra eccome: la pasta nera era il simbolo della miseria delle famiglie del Sud, era la minestra fatta da chicchi di grano bruciato che si mangiava quando non c’era più niente da mettere nel piatto. Ed è intensamente straordinario ritrovare nel finale del film la voce del compianto cantore pugliese Matteo Salvatore che strascica con toni duri, appunto, Prima, seconda, terza qualità, pasta nera vuless magnà…
Sapete che tipo di distribuzione avrà il film? Si potrebbe avere un gancio per eventuale proiezione scolastica nelle Marche?