di Fabrizio Croce/I protagonisti della commedia umana…quante volte è stata fatta questa osservazione rispetto ai personaggi di un romanzo, di un racconto o di un film sapienti nel tratteggiare i difetti e le virtù del’umanità tragica e grottesca; Non a caso sotto quell’espressione, Commedia umana, Honorè de Balzac, acuto e sublime creatore di tipi e caratteri, ha raccolto e messo in comunicazione le figure che hanno popolato il suo mondo letterario, trasfigurazione ora realistica ora poetica dell’umana natura che osservava fluire nella vita comune.
La vita in comune è invece il titolo di questo nuovo capito della personale Commedia umana che Edoardo Winspeare ha cominciato a mettere insieme dal precedente In grazia di Dio, rimanendo in quel solco stilistico e narrativo: c’è il tratto autobiografico nel raccontare la sua terra d’origine, la Puglia, come un luogo che conosce e ama così profondamente da poter permettersi di “giocare” con il nome del paese dov’è nato e cresciuto, Depressa, diventato Disperata nel doppio filmico; La voglia di popolare il suo mondo cinematografico di attori che sfuggono alla definizione di “non professionisti” e sono qualcosa d’altro e di più: amici, complici, compagni di viaggio e anche famigliari come la moglie Celeste Casciaro, protagonista femminile di entrambi i film e rivelatasi interprete dotata di grazia e temperamento.
Non si tratta però di una certa recente tendenza del cinema italiano, in particolare del documentario, di prendere storie e personaggi della realtà(spesso socialmente e geograficamente marginali) e raccontarle in una terra di mezzo tra verità e messa in scena: La vita in comune non è una ripetizione mimetica e letterale di situazioni reali e i suoi attori non si limitano a rifare se stessi ma recitano battute, dialoghi e scene con una sapienza di tempi comici e una prontezza ai cambi di registro in alcuni casi superiore al “professionismo” di tanto cinema medio italiano.
Narrativamente è un film che spiazza, date le premesse di un’ambientazione realista nell’isolato e remoto paese , avvolto dalla bellezza solare,verdeggiante e verginale della natura del Capo di Leuca, con un incipit violento e accelerato, la rapina ,finita male, ai danni di un distributore per opera dei due fratelli Rrunza, Angiolino e Pati. A questo punto, quando Pati finisce in carcere con cane ammazzato sulla coscienza, e Angiolino maledice la sua miseria e medita una nuovo rapina a mano armata, ci si aspetterebbe un’analisi delle cause sociali e del contesto che spingono questi individui verso la disperazione/depressione, ma la direzione che prende Winspeare si fa carico di altre istanze e altri ispirazioni: compone un mosaico di personaggi eterogenei che non temono il rischio della caricatura o del clichè, in quanto filmati con tale affetto e condivisa allegria da trasmettere un contagio e indurre a sospendere il principio di incredulità davanti all’accumulo di avvenimenti paradossali e stralunati eppure, anche se non capiamo bene come, toccati dalla grazia del tocco del regista, prima che da quella divina; C’è la descrizione, anche pungente, della vita politica all’interno di un Comune dell’estrema provinica sudista dove si ripetono, in piccolo e in grottesco, le dinamiche di potere e interesse della politica centrale, ma l’aspetto satirico è veramente ridotto all’osso: Winspeare preferisce identificare il suo sguardo con la faccia soave e fanciullesca del sindaco Filippo Pisanelli che interrompe una riunione di consiglio per annunciare che andrà alla presentazione del libro di Pati, al quale, in carcere, aveva insegnato il valore della poesia. E la sua espressione di garbata gioia, a cui i ghigni sciacalli dei politicanti nostrani ci hanno disabituato, contrapposta alle proteste e agli sghignazzi degli altri consiglieri comunali (loro si, davvero macchiette), ne fanno la sintesi più felice di un approccio semplice e diretto alla Vita e al Cinema.
Nella relazione di empatia tra Pati e Filippo , dove i confini sociali e culturali si annullano in uno scambio senza mediazioni o retecinze, diventa quasi plausibile che l’immagine naif del piccolo deliquente poeta si faccia paradigma, esempio, modello di riscatto e libertà. Ma la vena di ottimismo che corregge le asprezze della realtà non ha nulla di programmatico, non c’è una tesi da dimostrare o una soluzione da offrire: si viene chiamati a compiere un atto di fede verso il miracolo di spontaneità e solidarietà a cui stiamo assistendo e , dopo aver mantenuto un’iniziale resistenza e diffidenza, ce ne sentiamo allegeriti e divertiti.
I desideri, se non proprio i miracoli, possono avverarsi e succede che Angiolino venga folgorato sulla via del crimine da una telefonata di Papa Francesco che lo convince a convertire lo scopo della sua esistenza dal diventare mammasantissima del Capo di Leuca a paladino dei diritti della natura e degli animali: una sequenza dal tono ora favolistico ora parodistico sulla devozione religiosa nel Sud Italia, con il primo aspetto che sembra prevalere sul secondo, in una partecipazione dell’emozione di Angiolino nel suo momento di gloria; E a noi spettatori viene offerta la possibilità di abbandonare le categorie dello sberleffo e dell’insulto ai danni del povero Cristo di turno, il capro espiatorio per l’ incapacità di vedere il mondo con occhi sempre nuovi e stupiti.
Winspeare è così innamorato di ciò che filma che non ha bisogno di caricarci un immaginario altro sopra, il suo è un cinema del presente e della presa diretta, senza la necessità di liricizzare o di astrarre; Ogni personaggio è osservato e accolto con spudarata simpatia , il suo sguardo è calato esplicitamente dentro al processo, ci fa sentire che è vivo e combatte con loro e per loro, mettendo a disposizione le armi della fantasia e dell’immaginazione.
E fra tutte le visioni invocate e auspicate, la visione che lascia il segno, in un finale che non pretendere di spiegare e chiudere , dura appena pochi secondi ed è subacquea: l’incontro tra Filippo e la Foca monaca, finalmente tornata a popolare i mari della Puglia, una possibilità di coreografia in apnea per questo Candido a cui non è stata concessa la virtù della danza sulla terra ferma.
Ci piacebbe andarlo a ritrovare tra un pò, magari quando sarà diventato il direttore dello zoo di Depressa.