La sezione Orizzonti della sessantottesima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia accoglie un piccolo gioiello di produzione francese, Le Petit Poucet, diretto dalla regista Marina de Van. La favola di Pollicino adattata per il grande schermo segue alla lettera le pagine di Perrault modificando alcuni dettagli poco influenti (i fratelli del protagonista sono quattro e non sette come nel testo originale, ad esempio) per poi stravolgere completamente il finale nella direzione del più cupo e disincantato pessimismo. In realtà tutto il film accentua i contenuti drammatici già presenti nella fiaba e diviene una metafora inquietante e impietosa del nostro presente, attraverso un attentissimo lavoro sulla messa in scena. I grandi temi della malvagità, dell’egoismo, della paura e della sete di vendetta insiti nella natura umana, che si nascondono dietro alle disavventure del mite fanciullo diseredato, filtrano attraverso un linguaggio potente ed espressivo, crudele e diretto. La dimensione fiabesca, densa di significati universali, cui il film rimane fedele fino al geniale raggiro escogitato dal bimbo per scampare alle fauci del suo persecutore pantagruelico, si traduce in una teatralità artigianale fatta di costumi e di interni (la casa dell’Orco) da palcoscenico, stilizzati e artefatti.
Sono molte le immagini raccapriccianti che orientano la visione su particolari tanto macabri quanto sgradevoli: pensiamo all’immagine dei cuccioli di cane bolliti in pentola, agli incubi del mostro che sogna di nutrirsi delle interiora dei bimbi rapiti e al risveglio divora per errore le proprie figlie, oppure al gesto disperato di uno dei fratelli di Pollicino che per saziare la fame si avventa sulle mammelle di una cagna appena partoriente. La carne è anzi il segno figurativo dominante, la congiunzione più immediata con la contemporaneità, allegoria dei limiti e delle debolezze dell’essere umano, simbolo di un potere cannibale che tutt’al più concede le briciole, come si può evincere dalla scena finale in cui Pollicino, dopo aver visto il cadavere della moglie dell’Orco, suicidatasi dopo la tragica morte delle figlie, assume lo scettro del padre e troneggia sui familiari inginocchiati come bestie al suo cospetto, schiavi di un Salò di umiliazioni e di degrado spirituale senza alcuna possibilità di riscatto.
Un epilogo senza luce, dunque, profondamente diverso dalla conclusione moraleggiante della favola seicentesca, in cui la presa di coscienza degli orrori del mondo si risolve in una servile, seppure consapevole, perdita d’innocenza e nel completo asservimento alle leggi di natura.
Splendidi, selezionati a perfezione, tutti gli attori, fra cui spicca Denis Lavant nella parte del Cattivo con la “C” maiuscola, istrionico, esasperato, gigione e spaventoso al pari del Nicholson di Shining, l’orco più famoso della storia del cinema, che sembra un modello di riferimento inequivocabile della sua performance.
La sezione Orizzonti si illumina di un’opera preziosa, compatta, crudele e delicata. Un Pollicino gigantesco.
che bello, grazie. speriamo di poterlo vedere.