Una grande boccata d’ossigeno è stata offerta quest’anno alla Mostra del cinema di Venezia dal rinnovamento della sezione Orizzonti che ha aperto le sue porte ai formati brevi e ad un modo globale di intendere il cinema come finzione-documentario-videoarte-animazione, abolendo limitazioni di genere e durata per accogliere l’espressione artistica visuale in tutta la sua ricchezza, pluralità e complessità. Opere di giovani artisti esordienti e di grandi maestri del cinema come Manoel de Oliveira hanno trovato nella nuova concezione di Orizzonti un fruttuoso spazio comune di confronto e di dialogo. Difficile tracciare un unico percorso, indicare una sola linea direttiva in una programmazione così ricca e multiforme: ognuno ha seguito all’interno delle proposte un suo personalissimo filo rosso lasciandosi guidare dai propri interessi e dalla propria intuizione, da associazioni inedite e sorprendenti. Forme assai distinte di presa diretta sul reale hanno attirato la nostra attenzione: un film politicamente impegnato come il documentario di Sasha Pirker, The future will not be capitalist – riflessione critica e sottilmente sarcastica sul destino del partito comunista francese attraverso la presentazione dell’edificio ‘futurista’ della sua sede centrale a Parigi disegnato da Oscar Nimeyer – o ancora il documentario intimista Guest di Josè Luis Guerin che, come un diario del quotidiano, parte dal vissuto del regista per trasformarsi in un’indagine sullo stato attuale del mondo. Vi abbiamo ritrovato ugualmente il lavoro di un critico cinematografico e cineasta della taglia di Noël Burch che, in collaborazione con Allan Sekula, ha creato The Forgotten Space, un documentario di stampo più tradizionale, sulle drammatiche conseguenze causate dalla globalizzazione del trasporto marittimo via container. Paul Morissey, figura mitica del cinema underground, per anni collaboratore di Andy Warhol, ha presentato la sua ultima finzione regalandoci, a mio avviso, uno dei film più dolorosamente splendenti di questa selezione: News from nowhere. Meravigliosi saggi visuali su opere artistiche hanno fatto ugualmente parte della programmazione. Citeremo il cortometraggio Painéis de Säo Vicente de Fora, Visäo Poética di Manoel de Oliveira, che ci trasporta, con rigore formale ed un’infinita perizia estetica, nell’universo di un trittico portoghese del IV secolo e l’ammirevole documentario-finzione di Amit Dutta sulla vita del miniaturista indiano Nainsukh, in cui il regista ricrea sullo schermo l’universo delicato e l’atmosfera rarefatta di quest’arte peculiare. Non sono mancati neanche dei film-shock come Tse del cineasta israeliano Roee Rosen uno dei film più radicali, scioccanti e politicamente controversi di questa selezione o El Sicario-Room 164, la straordinaria intervista di Gianfranco Rosi ad un killer pentito del narcotraffico messicano. Da segnalare è inoltre la presenza di due gradi artisti del cinema sperimentale: Ken Jacobs ci ha offerto con A Loft una destrutturazione poetica in 3D, ultimo addio al suo spazio vitale, un loft nel quartiere di Tribeca a NY che sta per essere distrutto dalla speculazione edilizia, l’austriaco Peter Tscherkassky ha presentato Coming Attractions, un magistrale riciclaggio di vecchi film pubblicitari effettuato con soli effetti ottici, onirico e deliziosamente comico. Vi abbiamo trovato ugualmente molti giovani talenti che ci hanno sedotto come Giorgos Zois che nel suo corto Casus Belli ha saputo condensare in maniera pregnante la crisi economica greca trasformandola in una agghiacciante metafora universale o David Oreilly che ci ha presentato The External World, un film di animazione estremamente inventivo, intenso, irriverente e crudele. Questa breve carrellata, strettamente personale, non può in alcun modo riflettere la totalità della programmazione di Orizzonti, ma deve essere letta semplicemente come la testimonianza di uno spettatore entusiasta.
Abbiamo chiesto a Sergio Fant, programmatore della sezione Orizzonti, di parlarci della concezione del programma di quest’anno; nonostante i suoi molteplici impegni nei primi giorni del festival si è simpaticamente prestato ad una lunga conversazione.
Come si è venuto a costituire il rinnovamento di Orizzonti?
Il rinnovamento della sezione Orizzonti non è stato dettato da una scelta strategica, ma da un desiderio vitale di rimettere il festival in gioco presentando cose nuove anche in quei formati che non facevano tradizionalmente parte del suo ambito principale di analisi e di ricerca. I cortometraggi erano presenti, fino all’anno scorso, all’interno di una sezione particolare, Corto-cortissimo, che è stata abolita; migrando all’interno di Orizzonti si sono dovuti avvicinare alla concezione di questa sezione che è principalmente orientata verso la sperimentazione e la scoperta mentre Corto-cortissimo aveva un taglio più narrativo- documentario. L’idea di fondo era quella di svolgere anche nell’ambito delle forme brevi, del cinema sperimentale e del film-saggio lo stesso lavoro di monitoraggio, di contatti e di ricerca che la Mostra del cinema svolge da anni per il lungometraggio in modo da riuscire a completare il panorama dell’offerta del festival.
In che senso sono cambiati i criteri della selezione ?
Quest’anno, ancor più degli anni scorsi, tutto il programma di Orizzonti si è orientato verso una direzione di ricerca, di sperimentazione e di esplorazione di territori, di forme, di formati e di generi nuovi. Tutti i film, dal più breve di tre minuti al più lungo che dura oltre tre ore, sono attraversati da una stessa linea comune di sfida a quelle che potrebbero essere le aspettative e le abitudini degli spettatori odierni del festival di Venezia.
Come avete proceduto per comporre questa selezione?
Dovendo puntare su generi ed ambiti produttivi che tradizionalmente non erano coinvolti nella programmazione del festival di Venezia si è trattato di mettere a punto, attraverso la nostra rete di contatti, un lavoro inedito di dialogo e di comunicazione segnalando agli artisti, ai distributori di cinema sperimentale, alle gallerie d’arte la nuova direzione di Orizzonti. L’idea era che questo tipo di espressione artistica potesse fare parte di un discorso veramente globale a 360 gradi sullo stato del cinema. Trovo affascinante il fatto che un festival come la Mostra del cinema presenti in uno stesso ambito dei film come Machete di Robert Rodriguez e delle opere di cinema puramente performativo come quelle mostrate in Orizzonti. Credo che molti dei registi e dei produttori di questo tipo di cinema più sperimentale abbiano letto questa opportunità; cioè la possibilità di mostrare il loro lavoro tradizionalmente confinato, fosse anche nei più splendidi nei musei d’arte contemporanea, in una normale sala cinematografica davanti ad un pubblico che si confronta con tante cose diverse. Inoltre, molti fra questi artisti contemporanei sono profondamente coscienti della tradizione cinematografica alla quale fanno riferimento e sanno che mostrare i loro film in un festival come Venezia è un gesto molto forte rispetto all’ennesima video-installazione in una galleria. In altre parole; l’opportunità che delle forme artistiche così diverse possano essere incluse in uno stesso programma e che uno stesso pubblico possa navigare attraverso tutte queste proposte ritengo sia una grande scommessa sulla vitalità del cinema come forma di espres
sione tout-court.
Questo tipo di cinema ha senza dubbio un suo pubblico entusiasta, ciononostante rimane pur sempre in una certa misura un cinema d’elite…
Nella selezione di Orizzonti mostriamo un tipo di cinema che comunica molto chiaramente quello che cerca; non abbiamo scelto film astratti, né esperimenti puramente visuali o strutturali. La programmazione è, ovviamente, guidata dagli interessi specifici di ognuno di noi ma anche da dei criteri di leggibilità. Ci troviamo in un momento storico e sociale molto particolare in cui c’è bisogno di cose dette in modo chiaro e forte; abbiamo trovato una serie di artisti che vanno proprio in questa direzione. Per esempio Atom di Markus Löffler e Andrée Lorpys o The future will not be capitalist di Sasha Pirker, come pure l’ultimo splendido film radicale di Jean Gabriel Périot – Les barbares – rivolgono il loro sguardo sul mondo di oggi nella sua complessità politica ed economica. Attraverso l’insieme del programma emerge l’idea che bisogna aggredire la realtà per cercare di raccontarla nella sua durezza.
Quali sono le altre specificità di questa selezione?
Un’altra costante della selezione è la difficoltà che s’incontra ormai a definire il concetto di genere; ci sono dei film che partono da un punto di vista documentario e diventano delle messe in scena, degli altri che fanno il percorso inverso, o ancora dei film fatti con materiali d’archivio che diventano delle immagini del futuro. The futurist di Emily Richardson per esempio è un film che ragiona sullo spazio di una sala cinematografica trasformando lo schermo della proiezione in uno specchio e lo spettatore stesso in una sorta di performer, di protagonista del luogo rappresentato. Tse di Roee Rosen sfida invece lo spettatore ad unire degli elementi talmente distanti sulla carta politica come il bondage e il sadomasochismo, la politica di estrema destra del governo israeliano e le abitudini sessuali di una certa comunità di persone mettendolo di fronte all’evidenza della forza politica del suo film. Credo che la forma ibrida di queste opere sia un modo per coinvolgere più spettatori ed aiutarli a trovare la loro strada, definire la loro posizione rispetto a quello che guardano.
Trovo molto interessante il fatto che autori del calibro di de Oliveira o artisti come Vincent Gallo, quest’anno in competizione con un lungometraggio – siano presenti anche nella programmazione di Orizzonti con dei cortometraggi….
Volevamo finalmente uscire da quella concezione che considera il cortometraggio semplicemente come un preludio al lungometraggio, noi siamo completamente fuori da questo ordine d’idee; ci sono infatti degli artisti che lavorano su questo formato perché per loro è il formato ideale per dire e mostrare certe cose. Ci sono poi dei progetti di cinema così particolari che trovano nella forma breve il modo per essere più fulminanti e più illuminanti che mai. Nel programma non abbiamo mai usato la parola “cortometraggio”; la sto usando adesso ma credo non risulti in alcun luogo nei programmi ufficiali.
Un’altra novità di quest’anno è il “Club Orizzonti”, qual è la sua funzione?
Il Club Orizzonti è nato con l’idea di creare una piccola “casa” per questo tipo di cinema, é uno spazio specifico di comunicazione che abbiamo creato per accompagnare i nostri spettatori: vi si tengono delle discussioni alla fine delle proiezioni, cosa che tradizionalmente non c’era a Venezia, per questo tipo di film. Ci auguriamo che il programma sia sufficientemente stimolante da suscitare delle curiosità ulteriori e che gli spettatori sentano la voglia e la necessità di parlarne e di discuterne con i registi in una maniera più diretta ed informale, magari davanti ad un bicchiere di birra! Vorremmo anche che il Club Orizzonti sia un luogo dove i registi possano incontrarsi fra di loro e scambiare le loro opinioni e le loro esperienze. Nutriamo la piccola ambizione che questo luogo possa diventare un punto d’incontro anche a livello internazionale per una rete, un tessuto di interessi e di forze che già esistono in questo ambito favorendone una più ampia visibilità.
Un primo bilancio?
Noi siamo molto contenti del programma, le persone che sanno di che tipo di cinema si tratta, ci hanno scritto dai quattro angoli del mondo: “Ragazzi vorrei essere lì, il programma ci piace! Andate avanti così!” I registri sono felicissimi di essere qui, la Mostra è soddisfatta di questa programmazione che veramente ha cambiato il profilo della selezione di Orizzonti. Vorrei vedere in Sala Darsena 800 persone di fronte ad un tipo di cinema che molti non hanno ancora avuto l’occasione di conoscere, sono curioso di osservare l’impatto sugli spettatori. Mi aspetto uno shock abbastanza forte per una grande parte del pubblico però mi auguro che sia uno shock capace di aprire anche uno spiraglio di curiosità e di interesse.