Un forte senso di delusione sta seppellendo, giorno dopo giorno, le aspettative con le quali ci si è presentati alla Mostra del cinema di Venezia. Le smorfie di disappunto si sprecano per i film in concorso, e nelle fresche notti del Lido, che avanzano a colpi di spriz, si registrano gli amari giudizi, pressochè condivisi, da parte di quell’ampia costellazione di addetti ai lavori presente al completo. Un esercito di delusi insomma, costretta a rivolgere lo sguardo verso le altre sezioni della Mostra, territorio da esplorare perchè si rivela a volte più fertile del concorso a premi.

Se poi in quel sottobosco di idee filmiche stimolanti, si annida il film di un certo Abbas Kiarostami l’interesse diventa obbligato. Shirin, il film che il maestro iraniano presenta fuori concorso, ha un’ispirazione sperimentale. Può essere definita una riflessione sul cinema e sulle sue potenzialità espressive. Shirin è una  tragedia persiana del XII secolo che racconta l’amore impossibile tra una principessa armena e un re persiano. Un dramma molto popolare in Iran che il regista utilizza come materia filmica per un’operazione estetica e teorica di indubbio fascino. Del dramma in questione ascoltiamo soltanto il sonoro perchè Kiarostami porta alle estreme conseguenze l’utilizzo del fuori-campo, lo spazio invisibile nel quale ha luogo la tragedia. Lo spettatore è costretto a viverne l’evoluzione attraverso i primi piani di centoquattordici attrici. Sono i loro volti bellissimi, inquadrati con impeccabile precisione formale, il vettore delle emozioni che si generano sulla scena occultata. Le loro reazioni sono un’ampia mappa di emozioni differenti che traducono, in un sofisticato gioco di specchi, ciò che accade sulla scena.

Altro film fuori concorso il coraggioso Puccini e la fanciulla dell’italiano Paolo Benvenuti: racconta la storia di Delia, servetta del compositore toscano, che si suicidò perché accusata ingiustamente di aver avuto un rapporto sessuale col musicista. Qui il regista sceglie un episodio della vita di Puccini usandolo per raccontare l’ipocrisia classista della società borghese di inizio secolo. Anche questo film ha una vocazione  sperimentale: i dialoghi sono quasi azzerati per valorizzare i brani del maestro (con uso diegetico della musica), ma soprattutto i rumori ambientali degli animali, del vento, delle foglie degli alberi. Il suono della natura che avvolge Torre del Lago, luogo di villeggiatura di Puccini, è la vera colonna sonora del film, enfatizzato perchè ebbe grande importanza nell’ispirare la musica del compositore toscano, il quale viene rappresentato nel film come un uomo normale che nel tempo libero frequenta le osterie dei contadini nelle quali conoscerà la sua celebre amante Giulia, cugina della povera Delia.

Nella Settimana della critica merita una segnalazione il norvegese, Lonsj (Cold lunch), dramma amaro ma alleggerito con toni da commedia che abilmente il regista dissemina nel film. Tre storie che si intersecano portando avanti i destini di un gruppo personaggi alla deriva che sembrano aver perso la rotta delle loro esistenze. Morti causate da assurdi incidenti, conflitti insanabili, violenza domestica, sensi di colpa, deterioramento morale, e una serie di situazioni surreali che rivelano la fragilità umana di fronte al proprio abisso. Un film che fa riflettere, ma riesce anche a divertire.

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