Kitano continua a ironizzare sul cinema e sui generi: il secondo capitolo della sua trilogia autodistruttiva è un assemblaggio di storie che rappresentano un percorso cinematografico e televisivo non solo personale. Accolto tra applausi e perplessità Kantoku banzai! lascia pochi dubbi sul fatto che Kitano sia in crisi e cerchi nuovi significati con cui riempire i suoi prossimi film. Dall’inizio alla fine il film risulta delirante nel suo genere autoironico; la voce narrante è quella del regista che dichiara apertamente, con tanto di citazioni della critica cinematografica che lo riguarda, di essere in crisi e di non voler più girare film sui gangster. La prima parte del film diverte: c’è molta ironia verso il cinema, una panoramica su tutti gli intellettualismi che appartengono al mondo di chi fa il cinema e di chi lo recensisce. La particolarità è nella voce narrante di Kitano che parla di sè e del fatto che non ha più idee. Un pupazzo del tutto identico a lui, suo alter ego, nei momenti difficili lo sostituisce. E’ vestito in uniforme da scolaretto giapponese. Si susseguono molte citazioni, da Matrix ai grandi maestri del cinema, in alcune scene è palese che Kitano o qualcuno dei suoi attori stia per scoppiare a ridere. Il cosidetto “metacinema” viene arricchito di “metaset” e Kitano più di una volta esce dall’inquadratura e allarga il fotogramma fino a riprendere la troupe o i macchinisti che girano intorno alla scena.
Dopo la prima ora Kitano annuncia che la sceneggiatura potrebbe non esisitere ed infatti così avviene: esaurite le caricature iniziali la storia prende una piega delirante, fino a concludersi con un meteorite che spazza via l’intero mondo dei personaggi di Kitano i quali stanno a guardare la propria estinzione, per lasciare emergere dalla terra, in conclusione, un’enorme scritta “viva il regista”.
Così Kitano salva se stesso, ma non le sue creature. Il film si conclude come era cominciato: dopo una lunga visita medica cui si sottopone Kitano, il medico gli comunica che ha il cervello completamente a pezzi. Non siamo d’accordo, anche se ci scappa un sorriso, e aspettiamo l’ultimo capitolo della sua personale saga autodistruttiva che coinciderà – ci auguriamo – con la sua rinascita cinematografica.