L’uccisione di Jesse James da parte del codardo Robert Ford, diretto con vigore dal neozelandese Andrew Dominik, non un è film che sfiora la perfezione. E non avrà un futuro da classico della storia del cinema. Lo vedranno in molti, questo sì, e a qualcuno piacerà di più e a qualcuno meno. Però non è neanche un fallimento e nemmeno un film sbagliato. E’ un film con delle scelte precise, con alcuni pregi interessanti e qualche vistosa imperfezione. Che poi, che senso ha parlare al cinema di perfezione? Nessuno. Come nell’arte in generale. La perfezione è la precisa applicazione di una regola stabilita a priori. C’è un problema e un’unica soluzione? Ci sarà di conseguenza un errore o una perfezione. Può essere perfetta una partita a Tetris, la partecipazione a un quiz, la compilazione di una schedina (ora non più, peccato…) da tredici o da dodici. Evidentemente, per il cinema, si parte da precedenti opere assunte a modello e in base al rapporto di distanza o di vicinanza che il film da giudicare stabilisce col modello di riferimento considerato perfetto, si parlerà di errori o di nessun errore. Ma che regole ci sono nell’arte? Forse una serie di buoni consigli, di scelte opinabili. Sarebbe da tornarci su questo punto ma non è il caso ora. E allora, dopo questa spontanea premessa c’è la promessa di chi scrive di non adoperare mai più i concetti di perfezione o errore. Ma il fatto è che davanti a certi film si sente dire: “non è un film perfetto”.
Ragioniamo invece sugli elementi cardine e sulla storia della visione di un film dalla spiccata personalità: c’è la voce narrante, matura e calda, decisamente off. Da pubblicità di un whisky, coniugata con un lento passato remoto che da subito coccola e accarezza il mito. Poi c’è un paesaggio da intensa cartolina che attraversa tutte le stagioni della natura. Grano e neve, boschi, valli e pascoli, qualche cavallo e qualche bovino. Tra Balla coi lupi, Gli spietati, Brokeback Mountain e una lunga tradizione che si perde nella notte dei tempi del cinema. Qualcosina-ina-ina, è presa persino dalle atmosfere e dall’amore per il paesaggio di Malick. Giovani e meno giovani, uomini di una stagione inventata, immaginata, creata dalla finzione, si muovono con una tristezza e una decadenza che è scelta poetica. Da chi scrive assai apprezzata. Il film si muove lentamente, stanco come il protagonista, e sceglie di raccontare l’ultima fase della vita del bandito romantico Jesse James degli Stati appena Uniti di una calda e affascinante America. E’ un rapporto tra uomini quello che si stabilisce, tra intelligenze, caratteri ed esperienze. E’ un film di occhi e di paesaggio. Di umanità che si affanna a sbucare dal mito e che dalla sua dominazione cerca di uscire per esprimersi. L’esistenza umana si confronta col mito e durante la disputa il mito la spunta.
L’ultima mezz’ora di film lo conferma. Gli uomini rimangono a terra come i cadaveri sparsi silenziosamente tra la neve e i torrenti. Il ragionamento, poetico, sul rapporto tra mito e Stati Uniti, rimane in piedi fino all’ultima inquadratura. La vicenda si sviluppa a partire dall’ultima rapina del mitico bandito e si concentra sull’ultima parte della vita del protagonista, come molto spesso accade a grossi personaggi di cui il cinema ha preso a nutrirsi già da molto tempo. James stabilisce un rapporto umano con un ragazzo che sin da piccolo aveva come mito proprio il glorioso e “onesto” bandito. I due si guardano, si parlano, si studiano e alla fine si scontrano. James rimane ucciso e l’assassino incarnerà il mito di chi ha ucciso Jesse James. Ma i miti per sopravvivere nel tempo hanno bisogno di stoffa e di sostanza. James ce l’ha, il vigliacco Bob nemmeno un po’. Film un po’ troppo lungo ma non particolarmente ostico da affrontare. Pieno di bei momenti.
ho trovato questo film veramente interessante e coinvolgente, bella storia e ottima interpretazione da parte degli attori!
concordo con monica: “interessante e coinvolgente”, specie per quel confronto faccia a faccia (james & Bob) fra eroe e antieroe.
Si tratta di un ottima narrazione della vita e della morte di Jesse James, lontana dagli stereotipi cui il genere western ci aveva abituati. Ritmo lento ma descritto con minuzioso realismo e introspezione psicologica, è pure denso di atmosfere e tensioni cui contribuiscono non poco le musiche eccellenti.
Notevoli le interpretazioni da parte di tutti i protagonisti, in particolare quella di C. Affeck nella parte di Robert Ford.
Per me uno dei migliori dell’anno e il migliore su J.J.