Quel vecchietto di Chabrol gira ancora che è un amore. Freddo e lucido come l’innovatore che fu, rimette la macchina da presa dentro un nuovo paradigma borghese. E se l’ambientazione, per originale che sia, la potremmo riconoscere anche senza aver visto il film, il linguaggio e la sceneggiatura ci ribadiscono a chi far riferimento se abbiamo voglia di una bella lezione di cinema.
Lione, tre personaggi e tre famiglie. Francesi bianchissimi e abitanti di appartamenti chiari, eleganti e sobri. Alla guida di piccole straordinarie automobili sopra strade lisce e mai affollate. Tanto è che talmente liscio e leggero appare il tutto che quasi sembra di essere (per sbaglio) finiti dentro una commedia. Ma siamo da Chabrol? Poi, però, l’autore, maestro anche lui da almeno quarant’anni, suona la carica come un campione che attende la mezz’ora per piazzare la stoccata. Da lì non retrocede e il suo passo si fa sempre più sicuro col passare dei minuti. L’amore porta all’omicidio e allo smascheramento di tutti i giochi di potere, di classe ma anche di un’universale violenza umana.
La tragedia classica si fonde col dramma di una borghesia colta e raffinata. Difetti profondissimi vengono disegnati con delicatezza e pazienza da grande affabulatore. Tanto talento che il grande cinema si ritrova un altro mattoncino. Chabrol fa sembrare facile e leggero quello che facile non è mantenendo ancora in vita le tecnica rivoluzionaria della vecchia e longeva nouvelle Vague. La donna tagliata in due, titolo del film, è composto da dialoghi di valore e da recitazioni splendide, da personaggi taglienti che all’improvviso sconvolgono, insieme un andamento narrativo rapido e armonico come la sciata di un esperto maestro.
Film che assomiglia a una bella donna truccata per risplendere e non per nascondere. La forza del film è nella grandezza delle sue parti, fuse insieme con semplicità come si fa con una bella ricetta eseguita con ingredienti di qualità. L’applauso finale è deciso, più lungo di altri e compatto. Beh.. è il minimo.