Raccontare la sofferenza per amore, interrogarsi sulla natura di questo sentimento senza essere banali: questo fa di Wong Kar-Wai un maestro del cinema. Attraverso la semplice storia di una ragazza lasciata dal fidanzato per un’altra, che vive la disperazione dell’abbandono, intrecciata al racconto di altri universi umani segnati dal dolore e dall’incomprensione – che la protagonista incontra mentre fugge da se stessa – Wong kar Way mette in scena il dramma umano dei sentimenti.
A differenza dei suoi ultimi lavori (In the mood for love e 2046), My blueberry nights – questo il titolo originale – oltre ad essere la prima prova in inglese del regista ha una struttura più lineare che forse risente della mano di Lawrence Block, noto giallista e cosceneggiatore del film, pur conservando l’intensità visiva e la raffinatezza propria di Wong Kar-Wai. La macchina da presa segue le pulsazioni interiori: si sofferma sui volti, rallenta spesso, come l’anima, quando scatta fotografie eterne o fissa un pensiero. Un dolore. Un viso come un universo, da esplorare, seguire come una mappa alla ricerca di risposte impossibili. Elizabeth (Norah Jones) avvolta nel dolore incomprensibile dell’abbandono, entra in un bar come una falena smarrita: è notte nella città che la fotografia di Darius Khondji contribuisce a rendere archetipo di una sorta di Regno delle Anime Perse. Fantasmi umani lasciano chiavi a Jeremy (Jude Law), il proprietario del bar, come possibilità sospese, che lui non ha il coraggio di buttare. Aspetta, moderno Godot, che qualcuno dei proprietari un giorno torni a cercarle, ad aprire porte che forse non si sono mai chiuse, a cercare un sé dimenticato, a ripercorrere sentieri interrotti e a far scattare serrature di destini mancati. Il bancone di questo bar è un rifugio per Elizabeth che, mangiando ogni sera la stessa torta ai mirtilli – quella che tutti ammirano ma nessuno vuole – consegna il suo dolore, insieme alle chiavi, all’ascolto di Jeremy, all’amicizia che nasce dalla comprensione, dalla condivisione di silenzi e di sguardi più eloquenti delle parole. Jeremy aspetta ogni sera, le prepara il piatto e le toglie i resti di torta dalle labbra con un bacio tenero: una vera e propria creazione filmata dall’occhio sensibile di Wong Kar Way, come fosse una “scultura cinematografica” dal titolo: Il Bacio. Dopo quel bacio Elizabeth parte in una sorta di viaggio iniziatico on the road: prima tappa Memphis dove, lavorando tutto il giorno come cameriera, incontra un poliziotto alcolizzato (David Strathairn), incapace di accettare l’abbandono della moglie (Rachel Weisz). La seconda tappa è il Nevada: qui incontra la giocatrice di pocker impersonata da Nathalie Portman la quale, dietro la maschera scaltra e opportunista, nasconde la sofferenza di un rapporto irrisolto col padre.
Storie di dolore comune. Storie d’amore confuso col possesso, di insicurezze vestite di violenza, di esseri umani disabitati da quel sé che, solo, rende autentico e possibile l’incontro, la comprensione, in una parola l’amore. Elizabeth, come un osservatore esterno, assiste all’incomunicabilità che genera frustrazione, dolore, indifferenza, ricatti e in questo confronto cerca i contorni dei suoi sentimenti, del suo universo interiore. Un film recitato da star che confermano le qualità che li hanno resi tali, dall’andatura sincopata, quasi a cercare la forma impossibile delle cose da dire, piuttosto che trovare una formula che le racconti. Rivoli fluidi di immagini – accompagnate dalle musiche di Ry Cooder – vagoni di treni che sfumano nei colori della notte, nei neon delle vetrine, in chiaroscuri che rendono la complessità dello sguardo di Wong Kar-Wai, dietro l’apparente dejà vu della trama e delle scelte narrative. “Talvolta la distanza tangibile tra due persone può essere minima ma quella emotiva enorme. Il mio film vuole essere uno sguardo rivolto a quelle distanze, sotto varie angolazioni”: questi gli intenti narrativi del regista che, attraverso il sapiente caleidoscopio delle immagini, tornano a quella torta di mirtilli sul cui primissimo piano si era aperto il film, a chiudere il cerchio su quelle qualità che pochi sembrano apprezzare ma alle quali torna chi ne ha compreso il valore.