C’era una volta un piccolo gioiellino di produzione irlandese, la storia dell’incontro, per le vie di Dublino, tra un musicista di strada che sogna di sfondare e una ragazza-madre dell’Est, talentuosa pianista con passato difficile alle spalle. La delicatezza della narrazione, l’amore platonico e sincero tra i due, la felicità sempre soltanto sfiorata, hanno fatto di Once (titolo rubato al più noto degli incipit favolistici) del dublinese John Carney un piccolo cult per cinefili e musicofili.
Il film e i suoi protagonisti hanno poi preso a camminare sulle proprie gambe: Glen Hansard ha continuato a incidere dischi e a esibirsi dal vivo, duettando con personaggi del calibro di Eddie Vedder e Bruce Springsteen; dalla pellicola è stato tratto un musical, di scena proprio in queste settimane a Londra, con Ronan Keating (Boyzone) nel ruolo del protagonista. Il regista, invece, continua a perseguire la sua poetica, fatta di musica e realismo (un po’) magico, mettendosi stavolta alla prova in un contesto più grande e impegnativo.
Per Tutto può cambiare(titolo senz’altro più stucchevole e superficiale dell’originale ma tant’è) John Carney ha voluto fare le cose in grande: la scelta dell’elegante Keira Knightley e della simpatica “faccia da schiaffi” di Mark Ruffalo, la presenza di un divo come Adam Levine dei Maroon 5, l’ambientazione newyorkese sembrano finalizzate alla conquista del grande pubblico. Per le musiche, il regista si è affidato al pop d’autore di Gregg Alexander, che fu leader dei sottovalutati New Radicals e poi autore e produttore. L’inglesina Gretta (Knightley) è giunta nella Grande Mela al seguito del fidanzato musicista (Levine), pronto a spiccare il grande salto nell’industria discografica. Anche la ragazza ha talento e velleità artistiche, ma si accontenta per amore di portare il caffè in sala di registrazione, finché non viene tradita e decide di troncare la relazione. In un locale dove, qualche tempo dopo, si ritrova per caso ad esibirsi, avviene l’incontro con Dan (Ruffalo), altra anima inquieta: produttore musicale appena licenziato in tronco, divorziato, un rapporto a pezzi con la figlia adolescente. Insieme, i due proveranno a incidere un disco a bassissimo budget, proporlo alla casa discografica di Dan, guarire dalle rispettive ferite. L’dea della musica come filo conduttore e come ancora di salvezza per i protagonisti, l’incontro salvifico tra due “disperati”, possono in effetti far pensare, al primo impatto, di essere davanti a una sorta di Once a stelle e strisce. Tutto può cambiare non è soltanto questo, pur non riuscendo a soppiantare l’originale nel cuore di chi scrive. Il salto da Dublino a New York è assorbito senza traumi, l’atmosfera sembra genuinamente indie e non di maniera, non ci sono grosse concessioni al botteghino né derive sentimentalistiche. Anche in una megalopoli già declinata in tutte le salse possibili, Carney è a suo agio nel dar vita al suo mondo fatto di musica di strada, romanticismo non smielato, redenzione e voglia di ricominciare. C’è tempo addirittura per una (blanda, ma a suo modo coraggiosa) polemica con l’industria del disco, nel finale e soprattutto nei titoli di coda. Per le strade di New York, nei suoi fumosi locali e nelle improbabili case dove trova ospitalità, Gretta/Keira si muove come una Llewyn Davis del Duemila, malinconica e con la corazza da “dura” che però, come in molti casi, cela a malapena il suo bluff. Mark Ruffalo, dal canto suo, si cala perfettamente nei panni di quello che è ormai diventato un po’ il “suo” personaggio, riuscendo comunque a non caricarlo mai più del dovuto.
La magia di Once in conclusione, per fortuna non si è persa. La legittima ambizione, da parte di Carney, di andare oltre non gli ha bruciato le ali. E non possiamo che rallegrarcene, lasciando la sala felici e contenti.