Non si può essere seri a diciassette anni, cantavano qualche anno fa, su musica di Leo Ferrè, i Têtes de bois, e queste parole riecheggiano sulla bocca di Clémentine quando nel finale di 17 filles tira le fila della storia che l’ha vista protagonista insieme a un manipolo di adolescenti di un liceo francese.
Lo spunto è una vicenda reale, accaduta tre anni fa negli Stati Uniti: diciassette ragazze della Gloucester High School, in Massachusetts, strinsero un patto perché rimanessero incinte e portassero avanti le rispettive gravidanze tutte insieme, sconvolgendo ovviamente la quieta e religiosissima comunità locale. Le sorelle Delphine e Muriel Coulin riprendono intatto il tronco narrativo, ma traspongono l’azione nella Francia costiera di Lorient, Bretagna, adattando quindi le psicologie delle protagoniste e la “risposta ambientale” a uno scenario del tutto diverso e che conoscono bene: Lorient è la loro città natale.
E in effetti il primo dato caratterizzante che viene fuori dal film è proprio una fotografia molto nitida di questo piccolo centro che affaccia sull’Atlantico, duramente colpito dalla Seconda guerra mondiale, che negli anni Cinquanta, durante la ricostruzione, era stato depositario di grandi aspettative economiche e sociali. Oggi però queste speranze sembrano svanite, lo sviluppo sociale interrottosi, e con la crisi del mercato del pesce Lorient è in difficoltà anche dal punto di vista economico. E così la fiera Camille e le altre sedici ragazze passano le loro giornate dopo la scuola a gironzolare senza scopo tra le rive dell’oceano e le strade di una cittadina grigia e priva di attrattive, apparentemente aliena a qualsiasi chance di socialità, in cui la puzza di pesce non invade il centro solo quando piove. Si realizza qui la frustrazione di una generazione che vede il suo sguardo prospettico limitato se non occluso, e che nel migliore dei casi potrà replicare il destino dei propri genitori: prendere il diploma, sposarsi e andare a lavorare in un ristorante.
È in questo contesto ambientale puntualmente descritto che avviene da parte delle protagoniste del film la scelta di rimanere incinte, tuttavia appare chiaro che la visione delle sorelle Coulin punta a fornire al gesto una dimensione di ribellione collettiva che acquisisce i caratteri dell’universalità. Con la leggerezza (o la non-serietà, come intesa nella canzone di cui sopra) propria della loro età, le ragazze scoprono il proprio corpo e nello stesso istante pensano di usarlo come strumento di emancipazione, l’unico possibile, da un mondo dei grandi lontano anni luce. In fondo, della loro iniziativa, la parte determinante per loro non è tanto il rimanere incinte, ma il portare avanti la gravidanza insieme, tra di loro, senza l’aiuto dei genitori e magari contro di essi. Il massimo della consapevolezza si sposa con il massimo dell’incoscienza, generando un paradosso molto stimolante, che ovviamente la controparte adulta non può capire né tanto meno affrontare.
L’utero è mio!, si urlava negli anni ’60, e quasi fossimo in un sogno/incubo post-post-femminista, questo urlo sembra essere raccolto dalle diciassette ragazze nella maniera più imprevedibile, ma anche più beffardamente fedele. In questo 17 filles, inserito al Torino Film Festival nel concorso principale, c’è molto del cinema francese che quest’anno ha fatto mostra di sé nelle nostre sale. Anche in Tomboy di Céline Sciamma si raccontava la storia di una sessualità ancora acerba eppure similmente piegata – con le debite proporzioni – ai propri voleri. In Tutti per uno Roman Goupil immaginava che la resistenza collettiva, che dovrebbe essere propria degli adulti, contro le ingiuste leggi anti-immigrati, fosse intrapresa da un gruppo di bambini. A Delphine e Muriel Coulin, esordienti nel lungometraggio, manca, rispetto ai propri colleghi, la maturità per risolvere il paradosso di cui sopra e per sciogliere i nodi narrativi essenziali che puntuali si propongono nella seconda parte del film. E manca forse anche lo spessore “politico” per affrontare la questione femminista con la dovuta lucidità (da qui il ricorso un po’ facile alla figura della “leader” all’interno del gruppo delle diciassette). Tuttavia è indubbio che le due sorelle dimostrino uno sguardo molto acuto sull’universo adolescenziale e in particolare sulle dinamiche proprie del femminile, di cui non risparmiano le crudeltà. E 17 filles condivide con le due pellicole citate più su la capacità non da poco, e che è propria del cinema francese, di lavorare con i ragazzi senza svilirne, e anzi valorizzandone, la dote numero uno: la spontaneità.