Il giovane regista Pablo Larraín, qui alla seconda opera dopo Fuga, costruisce un personaggio, quello di Raul/Tony Manero, estremo nella sua alienazione, nel suo essere ostinatamente proiettato verso un altro da sé.

Santiago del Cile, 1978. Raúl Peralta, un uomo non più giovane, è ossessionato dall’idea di impersonare il protagonista di un recente film americano che sta spopolando nelle sale. Si tratta del Tony Manero di Saturday Night Fever (1977). Raúl, assieme ad un piccolo gruppo di ballerini, sul retro di un bar di periferia, si esercita sui passi da discomusic del suo idolo. Quando un famoso programma televisivo annuncia un concorso per trovare dei Tony Manero cileni, il suo sogno sembra a portata di mano. La febbrile corsa verso il suo mito non si ferma davanti a niente e a nessuno.

Un’esistenza alla deriva che diventa specchio ed emblema di un’intera nazione in uno dei suoi più controversi periodi storici: quello del Cile di Pinochet. Una pellicola difficilmente collocabile in quanto a stile: macchina da presa incollata al protagonista, scene con montaggio ridotto, obiettivo spesso fuori fuoco; tutto concorre a creare un’atmosfera estraniante e cupa, rimando di un’esistenza in bilico tra sanità e squilibrio. Raul forse tra questi due estremi vive troppo nel mezzo e allora, proprio per questo, diventa personaggio maggiormente dissociante e delirante nella sua degenerazione esistenziale.

La tenacia con cui Raul persegue il suo obiettivo però, paradossalmente, crea e contrappone, al suo essere in bilico, un’esistenza peculiare e ben definita, qualcosa simile ad un archetipo dell’alienazione. Emblema di un estraniarsi dal contingente, Raul opera con tanto zelo da perdere ogni riferimento su ciò che è giusto o sbagliato, bene o male. Ammazza senza remore chi si frappone al suo intento. Esiste solo il suo alter Tony Manero, non ci sono altre impellenze al di fuori della zelante costruzione del suo mito e ricostruzione dell’ambiente in cui l’idolo dà sfogo alle sue danze. Ha perso e voltato le spalle ad ogni elemento del contesto storico in cui è collocato, accentuando invece l’identificazione e la ricettività verso gli stimoli dell’immaginario cinematografico e mediale da cui è nato il divo verso cui protende, via di fuga e palliativo dall’irresistibile appeal.

Sono i suoi compagni di danza,  la sua “famiglia” non ben definita, anomala, anch’essa concorrente a quel senso di disagio ed estraniazione, ad evidenziare qua e là, con piccoli sprazzi e accadimenti, ciò che  storicamente lo circonda, lo spirito del suo tempo: la giovane coppia milita clandestinamente nell’opposizione, la giovane compagna propone una fuga “lontani”, anche l’ex anziana amante sogna una nuova vita insieme. Anche se flebilmente, tutti manifestano un desiderio di allontanamento, uno sconvolgimento del precario vivere, Raul no, o quantomeno non nel qui ed ora. Lui è/vuole essere Tony Manero. Il resto conta davvero poco. Persino una tra le pulsioni più istintive e primordiali come il sesso è vissuta con estremo distacco: non c’è bestialità, ma neanche fronzoli e abbellimenti sensuali. La sua è una frenetica ricerca di un’identità perduta, o forse la sua identità sta proprio nell’emulazione e nella proiezione verso l’italoamericano di celluloide: mentre balla e veste i panni di Tony Manero, a chi gli chiede cosa fa nella vita lui risponde “faccio questo”.

Una fuga cieca dalla realtà, nulla conta, o meglio, semplicemente nulla viene vagliato: affetti, sacralità della vita, coscienza sociale o politica che sia. Raul non è un deviante perché la devianza presuppone una violazione delle norme sociali e culturali. Ma in una realtà sociopolitica in cui queste sembrano sfaldarsi, Raul incarna allora la tipicità del soggetto anomico per eccellenza, di chi vive in mancanza di normative morali poiché immerso in un contesto socioculturale disgregato e disgregante. Non c’è alcun saldo quadro di riferimento a generare quel vivere comunitario che rende l’esistenza definita da regole e valori condivisi, e tutto ciò non pone alcun freno ai suoi desideri.

Il giovane Larraín riesce a guardare con perfetta lucidità alla recente storia del suo Cile: una preoccupata ricognizione del passato dei suoi padri a monito del presente.

One Reply to “Tony Manero – Cronaca di un personaggio anomico”

  1. Il film mi fa pensare con amarezza all’odierna realtà italiana. Ragazzi che si affannano a coltivare un effimero culto del sé non accorgendosi che la realtà gli si sgretola loro intorno..

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