di Federico Vignali/ Non conosciamo da dentro i retroscena o le leggi del mercato che regolano la domanda e l’offerta degli interpreti maschili del cinema italiano. In verità siamo all’oscuro anche delle norme di buona convivenza più basilari nel nostro, di lavoro. Tutte le volte che Mastandrea viene scritturato per qualche parte da protagonista comunque pensiamo che il Laissez Faire a Cinecittà funzioni e sia giusto. Abbiamo una certa predilezione anche per Kim Rossi Stuart. La cosa non si fonda su dati certi, ma coltiviamo da anni l’impressione che le sue scelte artistiche si siano fondate su una specie di nobiltà d’animo non comune a molti colleghi. Visti i successi degli esordi e il fascino sul pubblico femminile, il Freddo di Romanzo Criminale infatti avrebbe potuto contare su una carriera molto più in discesa e una filmografia televisiva più ricca. Ora non diciamo che alla lunga abbia finito per scegliere i copioni come avrebbe fatto Volontè o che abbia puntato su produzioni d’avanguardia. Va riconosciuto all’attore romano però la tendenza ad aver ponderato sempre con molta attenzione e parsimonia i ruoli che ha deciso di interpretare.

Dopo aver visto Tommaso ammettiamo che non siamo disposti a difendere in maniera del tutto convinta anche il suo cammino da regista. Il titolo che ha presentato all’ultima mostra di Venezia gioca molto sull’insicurezza e l’inconsistenza del film nel film a cui si lavora nella storia. Detto questo però l’opera mostra delle fragilità più o meno involontarie che non sempre vengono compensate dalla sincerità di fondo che comunque va riconosciuta a tutto il progetto. Per il tema trattato, le ossessioni erotiche o l’insostenibilità della solitudine sessuale di un maschio quarantenne, forse sarebbe servita una leggerezza ancora più coraggiosa e un vuoto pneumatico sullo sfondo ancora più sfacciato. L’autore invece riempie tutto di troppi tic, nevrosi e sedute dallo psicologo che imprigionano in un registro comico che paradossalmente avrebbe potuto benissimo funzionare meglio con meno appigli e sostegni di comodo. Il rapporto con l’inconscio e l’infanzia sono il nodo della pellicola e sicuramente nel finale sono gestiti con un’autenticità che ci ha molto coinvolto. Più che le scelte di cinema, oneste e non discutibili, ci ha lasciato qualche perplessità la visione generale del rapporto con le donne che cerca il protagonista. Il fatto che professionalmente Tommaso riesca ad essere produttivo solo quando si sente al sicuro di qualche relazione è emblematico delle insicurezze e le priorità che si vogliono filmare. Legittime e oneste, ma forse destinate a bagnarsi in fondali con l’acqua bassina. In Domani nella battaglia pensa a me, Marias partiva dagli inconvenienti della scena di un’adulterio funebre per perdersi in un flusso di pensieri e gesti laceranti. Al contraio, qui in Tommaso a tratti l’aspirazione sembra solo quella di fermarsi ai preliminari e poi basta. Detto questo però troviamo che il film abbia un senso di incompiutezza che paradossalmente funziona e che voglia confrontarsi con un’idea di cinema che va assolutamente incoraggiata e apprezzata. Nel finale, con lo slippino nero tra gli ombrelloni gialli, Kim Rossi Stuart sembra davvero voler omaggiare Moretti in Bianca. Le qualità su cui il regista potrà lavorare in futuro non sono solo caricaturali e pensiamo che il meglio debba ancora venire.

3 Replies to “Tommaso di Kim Rossi Stuart”

  1. Dev’essere difficile per un decisamente belloccio fare l’antieroe, e infatti nonostante gli sforzi (al di la del narcisismo) apprezzabili non è credibile fino in fondo. Però una certa riflessione maschile sull’incomunicabilità dei proprio sentire e qualora risultasse, sull’incapacità di trovare un linguaggio (adieu!) adatto ad esprimerlo, forse non è prerogativa di molti. Speriamo che al prossimo tentativo decida di fare solo il regista e non l’attore di sé stesso.

  2. Strano che per certi versi il film sembra atemporale e non calato in una fase temporale precisa se non nelle ossessioni del protagonista. Quando invece certi malesseri legati alla solitudine sentimentale e bulimica sono espressione tipica di questi tempi. Forse non l’ho detto bene nella recensione, ma certe incongruenze sembrano anche dare una particolarità apprezzabile al film. Peccato solo per gli olivi, vittime della sega di scena

  3. Visto l’altra sera in una grande sala di Roma, una delle poche rimaste sala unica… Pochi spettatori, anche se di mercoledì a prezzo scontato, ma il film è uscito da un pò… Poche aspettative… Io e due amiche: donne che guardavano un uomo. E’ stato piacevole, divertente (direi per tutti noi spettatori presenti) seguire per un’ora e mezza le paure, le insicurezze più comuni di quanto s’immagini di un uomo. Coetaneo, molto bello (e quindi anche per questo meno perdonato nella sua goffaggine), attore e pur insicuro nell’esporsi, nonostante un lavoro che dovrebbe averlo abituato a esporsi. Ma forse la differenza tra arte, palcoscenico e vita è tutta qui. Le emozioni frenate, le paure frenanti.
    Kim Rossi Stuart bravo!

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