E sempre più difficile, per chi ha amato e venerato il cinema di Woody Allen, assistere agli ultimi film del regista newyorkese. Se una innegabile e progressiva crisi di ispirazione è iniziata più o meno col terzo millennio, è con l’abbandono del set di Manhattan che sono arrivati i disastri più fragorosi. Prova ne sia che negli ultimi anni, le cose sono andate meglio soltanto quando Woody ha girato un noir lontanissimo dallo stile alleniano (Match Point, 2005), o quando ha rimesso piede negli States, e mano a un vecchio soggetto risalente al periodo d’oro (Basta che funzioni, 2009). Per il resto, i viaggi in Europa del regista (Parigi, Londra, Barcellona…) hanno prodotto sceneggiature deboli, trame già sentite e già affrontate molte volte – e molto meglio – rappresentazioni da cartolina, da turista superficiale, che non riesce a entrare per davvero nell’anima di un luogo.
È ora la volta della Città Eterna, dove è ambientato To Rome With Love (il titolo è cambiato più volte durante la lavorazione).
Non vale la pena di soffermarsi a lungo sulla trama, composta da quattro episodi intrecciati e paralleli: la storia di una turista americana e del suo fidanzato italiano, con le rispettive famiglie; l’arrivo nella metropoli di una giovane coppia di provinciali; la vita di uno studente di architettura sconvolta dall’incontro con il suo idolo, un famoso architetto, e con la migliore amica della sua ragazza; l’improvvisa ed effimera fama ottenuta senza motivo da un uomo qualunque.
Non vale la pena neanche di analizzare dove e perché il film non funzioni: dall’indisponente narratore esterno (un vigile urbano che funge da raccordo tra i vari episodi) all’adulto (Alec Baldwin) che vorrebbe essere la voce della coscienza del giovane Jesse Eisenberg (The Social Network) e che anticipa ciò che sta per succedere, ma sempre in ritardo sulla percezione dello spettatore; da una potenzialmente interessante critica alla società dello spettacolo (nell’episodio con Roberto Benigni) che si riduce a una battuta di un didascalismo disarmante (“Ma secondo lei, tutti quelli che sono famosi se lo sono meritati?”), ai fin troppo ovvi equivoci a sfondo erotico da commediaccia adolescenziale.
E ancora, la tendenza (ozpetekiana, potremmo definirla) a inserire, in un film corale, le più improbabili facce da televisione e pubblicità, e cammei di attori tra loro diversissimi e incompatibili: la ragazza dei Cesaroni e Ornella Muti, Sergio Solli e Antonio Albanese, mezzo cast di Boris e Scamarcio…
Forse, allora, è meglio sforzarsi di capire, soprattutto per il rispetto e l’affetto verso un regista che ha fatto la storia del cinema. Non è possibile (lo ha scritto anche Curzio Maltese su Repubblica) che uno come Allen creda davvero che Roma, oggi (e prima Parigi, e prima ancora Barcellona), sia come la mette in scena; ha quindi voluto darle un tocco magico e fiabesco, rappresentandola come sospesa nel tempo (con quali risulati, è purtroppo un altro discorso). D’altra parte, anche di New York, ai bei tempi, il nostro offriva una visione parziale, raccontandola soltanto da un punto di vista intellettuale-borghese, l’unico, per sua stessa ammissione, che conoscesse bene.
Non è possibile, inoltre, che il vecchio Woody non si renda conto di quanto sia abissale la distanza tra la sua produzione più recente e il resto della carriera; eppure, continua puntualmente a realizzare un film all’anno (sul mercato italiano, addirittura, gli ultimi due sono usciti a distanza di sei mesi). Viene allora spontaneo scomodare Freud per un parallelo: in To Rome With Love Allen interpreta Jack, un vecchio impresario musicale, che per non arrendersi all’idea della pensione (che associa in cuor suo alla morte) si inventa dei progetti sgangherati, come cercare di trasformare in provetto tenore il suo consuocero, abituato a cantare solo sotto la doccia. Così Woody continua a lavorare, viaggiare, girare, per esorcizzare i fantasmi del tempo che passa. E noi gli vogliamo così bene che siamo contenti di saperlo all’opera, almeno fino all’uscita del film. Per citare una sua celebre battuta, non vuole raggiungere l’immortalità con la sua arte, vorrebbe raggiungerla non morendo. Non sembra avere più molto da dire, ma vuole continuare a dirlo.