Parte nella sezione Fast Forward al Festival di Salonicco Destello Bravio di Ainoha Rodriguez,
mostrato in prima mondiale nella Tiger Competition dell’IFFR è, a mio avviso, uno degli esordi
cinematografici più incisivi del 2021.
Con un rigore assoluto ed un tocco personalissimo Ainoha Rodriguez, associando formalismo estetico e sguardo documentario, ci offre l’affresco di una piccola comunità rurale in Estremadura in cui realtà quotidiana e elementi fantastici si fondono in atmosfera singolare tinta di mistero e compassione.
Il film, interpretato esclusivamente da attori non professionisti, si basa su una metodologia di lavoro complessa e rigorosa, la regista che da molto tempo lavora anche come animatrice di corsi di cinema per donne nella provincia spagnola, si è stabilita a Pueblo della Reina, un piccolo paese, per circa due anni. Nel corso dei suoi atelier di recitazione è andata man mano conoscendo le donne del paese e di alcuni paesi limitrofi.
Il progetto è sorto in maniera organica da questo lavoro e si è basato su una serie di improvvisazioni guidate che partono dal tema dei ricordi d’infanzia delle partecipanti. Condizione imprescindibile per la realizzazione di Destello Bravio prodotto in maniera quasi totalmente autonoma con mezzi limitatissimi è stata la costruzione di un rapporto di fiducia fra la regista e le persone del luogo senza lo straordinario aiuto logistico delle quali questo film non si sarebbe potuto fare.
Il film inizia con un piano larghissimo su un lago all’alba; le silhouette di due donne si agitano, ballano e barcollano mentre le loro voci sguaiate echeggiano nel silenzio dello spazio deserto. Ancora ubriache dopo una festa di matrimonio alla quale hanno assistito la veglia, le due amiche ridono, scherzano e sembrano non avere alcun’intenzione di finire di fare baldoria. Questa prima scena c’introduce uno dei caratteri principali della pellicola: Carmen, detta Cita, una donna sulla cinquantina, leggermente obesa. Sposata ad un uomo più anziano che non ama e che sembra avere dovuto subire durante tutta la sua vita. Nonostante le apparenze, Carmen che lavora come infermiera-badante di persone anziane, attraversa una profonda crisi esistenziale. Dietro le sue bravate e il suo comportamento sguaiato e licenzioso, si cela una mestizia indicibile che inonda il volto della donna ogniqualvolta le si offre l’opportunità di chiacchierare con qualcuno che sembra affrontarla con affetto e comprensione.
In una delle scene più toccanti del film Carmen mentre si occupa amorevolmente di un’anziana le racconta della sua infanzia e dell’amore di sua madre che le aveva cucito con infinita cura una bambola di stoffa raccontandole di un meraviglioso paese incantato, l’Alilù, una specie di paradiso perduto.
L’Alilù diventa nel corso del film un simbolo, un’utopia di felicità costruita con la fantasia e la purezza dell’infanzia.
In questo film corale declinato al femminile che esplora le sorti di varie donne di Pueblo della Reina, Ainoha Rodríguez ci offre un affresco intimo ed estremamente incisivo sul cosa significhi crescere ed invecchiare per una donna. Ricordi, speranze, paure, desideri e pulsioni sessuali affiorano di volta in volta dalle immagini senza mai indulgere nei codici di una rappresentazione convenzionale dell’animo femminile scavando dietro le apparenze, liberando pensieri, dolori e gioie.
In alternativa ad un universo femminile rappresentato in circa un secolo di storia del cinema prevalentemente, se non esclusivamente da uomini, Ainoha Rodriguez ci propone uno sguardo dall’interno. Davanti al suo obiettivo le donne si emancipano mostrandoci senza remore e falsi pudori il loro essere.
Una galleria di personaggi reali e quotidiani messi in scena e filmati dalla regista diventano dei caratteri unici estraordinari.
Una traiettoria liberatoria si delinea nel corso della pellicola che segue, accanto a quello di Carmen, anche il destino di varie altre donne come IDA, una ragazzotta leggermente handicappata che registra ed ascolta la sua voce, dice di avere un fantomatico ammiratore e va in giro per il paese vendendo churros a tutte le ore. E poi c’è anche xxx che avendo appena perso suo marito smette di lavorare come domestica nella finca di un grande proprietario terriero della zona. Ritornerà a casa sua e dovrà imparare a vivere da sola. Yyy è un’altra donna anziana, una sorte di saggia veggente del villaggio a cui le donne del paese si rivolgono per ottenere consigli e conforto che vive con la sola compagnia di un uccello in gabbia. C’è poi un gruppo di amiche elegantissime che s’incontrano nelle case dell’una e dell’altra per bere il te e mangiare dei biscotti o in chiesa per occuparsi dei vestiti della statua della vergine. C’è CCC che in una scena di rara intensità ci racconta commossa durante una veglia funebre di un luogo bellissimo e paradisiaco, l’Alilu appunto, dove e già stata nei suoi sogni.
Come un fiume sotterraneo, dietro i volti vissuti di queste donne, scorre possente il fiume di una libido che si scatena gioiosa ed inattesa in una delle più belle scene del film in cui vediamo un gruppo di signore vestite a tutto punto cadere in una sorte di estasi bacchica alla fine di un pranzo.La cinepresa si muove ipnotica fra i corpi delle donne che, come in una danza del desiderio, si muovono lentamente nello spazio toccandosi ed accarezzandosi con voluttuosità ed infinita tenerezza in una messa in scena squisitamente raffinata che non ha nulla di gratuito.
Il secondo protagonista del film e il paese stesso che di notte sembra trasformarsi in uno luogo spettrale, dove non circola nessuno ed ogni suono rinvia potenzialmente ad un pericolo.
Un approccio documentario si fonde nel film con una dimensione quasi magica ed uno stile estremamente raffinato- alla regista piace definire il suo linguaggio estetico come un realismo magico- aprendo il quotidiano di una vita di provincia al mistero dell’universo attraverso un improvviso ed ineffabile splendore notturno – il Destello bravio del titolo- che screzia di tanto in tanto la volta celeste lasciando senza fiato chi la vede.