The fighter è l’ultimo di una inesauribile lista di film sulla boxe. In realtà, quasi nessuna delle opere che abbiano lasciato un segno nella memoria degli appassionati di cinema possono essere definiti film “sulla boxe”. Piuttosto, va osservato come la nobile arte sia lo sport più utilizzato dai registi per la sua specifica funzionalità metaforica. Tra un incontro e l’altro si muovono storie di vita, parabole ascendenti, cadute vertiginose e narrazioni che, indipendentemente dal tipo di linea e dal grado di verosimiglianza, condensano all’interno del ring le speranze e le ambizioni dei protagonisti. La vita, allora, diventa un’estensione di quel quadro recintato all’interno del quale si materializza una rappresentazione primigenia, sintetizzata al massimo livello. La boxe è cinegetica e lo è più di ogni altro sport. L’elemento dell’azione corpo a corpo si sposa con le esigenze proprie del linguaggio filmico e lo spazio del combattimento è un set perfetto, nonchè una sfida sulla quale misurare le abilità tecniche di un regista. Primissimi piani, campi e contro campi fulminei, piani-sequenza e mdp addosso alla pelle dei duellanti, rallenty epici e corpi sezionati in frammenti, scomposti come in un’opera cubista. “Gong, si gira”! E le emozioni di noi spettatori sono lì a fiancheggiare il nostro eroe, del quale conosciamo tutti gli affanni che la vita gli ha destinato. Tifiamo per un riscatto che potrà avvenire solo dentro il ring. Gli incontri non sono semplici interpunzioni di un racconto, ma i gradini di una scala che lo porterà sempre più in alto. Per rimanerci o per precipitare.

Se si dovesse raccontare la storia di The fighter scarnificandola al massimo si procederebbe più o meno così: è la storia (vera) di un pugile povero, che vive in una cittadina fumosa e proletaria e che trova il riscatto attraverso la boxe, grazie anche all’aiuto decisivo di una donna appena conosciuta e della quale si innamora. La donna non si chiama Adriana e lui non è Sylvester Stallone. Comunque la si giri, in fondo, le storie dei pugili al cinema si assomigliano un pò tutte. E allora perchè The fighter è un buon film? Intanto perchè conta su un cast di attori in stato di grazia. Una squadra di interpreti eccellenti a cominciare dai due fratelli co-protagonisti (il titolo designa una lotta interiore combattuta sia da Micky che da Dickie). Mark Walhberg e Christian Bale plasmano i propri corpi sui loro personaggi: un buon pugile in attività il primo, un ex pugile scheletrito dal crack, il secondo.

A Mark sono serviti quattro anni di allenamento per interpretare il suo personaggio, si spera che Christian abbia scelto altre strade per dare verità al suo consumatore di crack. In realtà quest’ultimo torna ai tempi de L’uomo senza sonno (2004), spettrale protagonista dell’ottimo thriller psicologico a firma Brad Anderson. Alla loro indubbia bravura va aggiunta quella di Melissa Leo, madre-padrona dei due fratelli, impegnata soprattutto a fare cassa con i pestaggi subiti da Micky in incontri troppo proibitivi per lui. A scompaginare la situazione interviene Charlene, che innamorata del pugile si frapporrà tra lui e la sua famiglia. Un moraleggiante e familistico finale chiude una storia che avrebbe diversi punti di interesse come il rappotro tra i due fratelli, morboso ma necessario per entrambi. Dickie chiuso nella autocelebrazione di un passato che lo ha visto mandare al tappeto Ray Sugar Leonard mentre Micky, spinto da Charline tenterà un faticoso affrancamento dall’avvolgente madre e dal coro di arpie rappresentato dalle sorelle.

Per gli incontri, il regista David O. Russel (pigro regista impegnato fin qui per lo più in commedie bizzarre) punta su una regia quasi televisiva, lontana dalla plasticità artificiosa di molti boxe-movie, questo gli consente di raggiungere un certo livello di autenticità. Evitare di snobbare questo buon film.

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