di Fabrizio Croce/”Potrei mangiare la tua faccia

Ti potrei mangiare tutta

Oh questa notte non mi lascerai andare

Affondare lentamente

Non sembra mai troppo tardi”

(The Cure, The caterpillar)

Tra i film belli,  in grado di restituire un piacere del racconto e delle emozioni sottopelle, visti nell’ambito di questo Festival, che probabilmente non vedremo mai in una programmazione regolare in sala, il brasiliano California di Marisa Person ha lasciato sicuramente un segno per la leggerezza e la profondità con cui rappresenta la rivelazione di se stessi, e il turbamento  che ne deriva,  nell’adolescenza, il tempo della vita più esposto al cambiamento repentino eppure più entusiasticamente ricco di possibilità e direzioni.

Si tratta nei fatti di un breve romanzo di formazione, il romanzo di Estela, adolescente della buona borghesia brasiliana che vive nella San Paolo del 1984, il periodo fremente della fine della dittatura militare e il ritorno alla democrazia, un evento che comunque resta sullo sfondo perché  fin dalla primissima, eloquente sequenza della scoperta del ciclo mestruale della nostra protagonista, siamo dentro un corpo e un cuore in tumulto:  subito dopo infatti parte  il racconto in prima persona che Estela fa di se stessa, la scoperta in presa diretta della trasformazione, come se quell’immagine delle mutandine sporche di sangue fosse l’incipit di questa storia, ovvero il  passaggio dentro le strettoie e le gimkane della vita per fare il proprio ingresso nella più livida età adulta.

Questo raccontarsi e scoprirsi si esplica attraverso la forma epistolare nelle lettere allo zio amatissimo e emigrato nell’Eldorado di libertà e desiderio, come appare agli occhi della ragazzina brasiliana, la California, con cui identifica tutto il suo imprecisato sogno americano e che viene preannunciata come la destinazione e la speranza di un viaggio, poi sapientemente declinato in una chiave più interiore e simbolica.

California è questa grande e sconfinata parola che si fa spazio dentro Estela, la terra in procinto di germogliare e fiorire,  e il sesso è ovviamente la spinta principale, ciò che dà l’impulso e l’accelerazione  ad un processo di apertura e contatto, presente fin dalla chiacchiere maliziose e ingenue con le amiche nel cortile della scuola, gli incontri e gli scontri, casuali o voluti, col corpo altro dell’oggetto del desiderio, o almeno quello che si crede essere tale, il muscoloso, biondo e probabilmente un po’ ottuso atleta della scuola, che però fa così tanto ribollire i sensi e il sangue.

Ma la California, alias gli Stati Uniti, alias i paesi anglofoni, a quell’età e in quel periodo storico, per un paese reduce dall’oppressione della censura e dalla privazione della libertà, e in particolare per le generazioni più giovani,  è anche e soprattutto la stagione  anarchica e libera del pop rock,  quello a cavallo tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta, con le ceneri ancora calde della rabbia punk, le pailettes ancora orgogliosamente ed eccessivamente scintillanti del glam rock, i primi rifugi esistenziali e minimalisti della musica dark, il tutto condotto all’estasi e al trionfo dal cavaliere Rebel Rebel David Bowie,  di cui il film è un po’ indirettamente  e involontariamente, visto che è del 2015, uno dei primi omaggi post mortem.

California2

La cornice musicale offre ad Estela un possibilità in più per esprimersi e definirsi, o anche non definirsi, e continuare a esplorare la spazio dentro e fuori di sé, e l’incontro con un altro personaggio che non può mancare in una storia adolescenziale che si rispetti, l’emarginato, incompreso e tenebroso, che per di più sembra la fotocopia brasiliana di Louis Garrell,  rende maggiormente concreta, tattile, sensuale l’esperienza, riempie i vuoti, avvicina per similitudine e affinità laddove il chiacchiericcio adolescenziale a volte un po’ crudele e gratuito poteva  separare e, ai fini del focus su cui questo Festival del cinema pone l’attenzione, scardina, fin dall’insorgere delle prime vibrazioni e attrazioni, la distinzione rigida per categorie di una zona fluttuante come la sessualità e l’affettività.

Portavoce di tale punto di vista ne è proprio JM, l’adolescente disadatto da cui Estela sarà poi naturalmente attratta, sotto l’influsso ipnotico e trascinante dei testi di Robert Smith dei Cure, e che rifiuterà, alla domanda di lei indotta dalla morbosa curiosità dei compagni di scuola, di ammettere o negare la sua omosessualità, lasciando aperta la possibilità ai propri sentimenti di seguire naturalmente e spontaneamente  le proprie traiettorie, con una saggezza e una lucidità, che ne avrebbero fatto sicuramente l’eroe di una canzone di Bowie, o degli Smiths, o di un film di Bertolucci o di Philippe Garell, di cui d’ora in poi, nel mio ricordo, Caio Horowicz, l’attore che interpreta JM, rimarrà il figlio di lingua portoghese.

Anche ciò che resta più in secondo piano, come lo zio sempre amatissimo che, dopo una vita di libertà e desiderio nel nome di Bowie, torna a San Paolo a morire di Aids, lasciando  presagire  il passaggio dall’età dell’acquario a un’epoca più cupa e repressiva, i famigerati, edonisti anni ‘80 ( dal miraggio della libertà esistenziale all’abuso della libertà del consumo), viene raccontato attraverso i grandi occhi neri, colmi di stupore ed emozione, di Estela;  gli stessi occhi che, nell’ultima inquadratura, rimangono aperti, in primissimo piano, famelici di vita, in grado di passare sopra la morte rimanendone segnati, ma scegliendo di continuare la corsa sulle note dei Cure oppure di Modern love, come hanno fatto prima di lei Denis Lavant in  Rosso sangue e Greta Gerwin in Frances Ha,  epigoni cinematografici più grandi e più dolenti di Estela, ma Dreamers anche loro, persi tra l’esistenza e la sua rappresentazione.

4 Replies to “TGLFF 2016: California di Marisa Person, occhi famelici di vita”

  1. I versi all’inizio non sono tratti da The Caterpillar, bensì da Dressing Up sempre dall’album The Top del 1984

    1. Grazie per la segnalazione, ho citato i versi con in mente The Caterpillar che è il brano con cui si chiude il film

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