tff31Si sono appena spenti i riflettori sul Festival di Roma, con inattesa vittoria italiana e pulviscolo di stelle ancora nell’aria, ed eccoci già a Torino, come impone ormai da qualche anno a questa parte il calendario poco accorto dei festival cinematografici italiani. Questa trentunesima sotto la Mole è l’edizione dell’avvicendamento alla direzione, con Gianni Amelio, calabrese silenzioso e un po’ musone, cinefilo doc vantante filmografia rigorosa e austera, sostituito da Paolo Virzì, livornese dalla risata larga e godereccia, autore mainstream nel solco popolarissimo della commedia.

Qualche interrogativo sui possibili rivolgimenti nell’identità di un festival che ha sempre prediletto la ricerca all’entertainment, la scoperta di nuovi talenti e cinematografie più che le passerelle, è dunque lecito porselo; tanto più che lo stesso neodirettore si è speso alla vigilia in dichiarazioni piuttosto nette («la cifra del festival sarà il pop»). Ed è in questa direzione che vanno lette di certo alcune scelte programmatiche, come l’inserimento di una nuova mini-sezione, denominata "Europop", che ospiterà cinque film che hanno sbancato il botteghino nei propri paesi di provenienza ma che altrove sono stati ignorati; o come la neonata vetrina "Big Bang Tv", che proporrà tre produzioni televisive seriali d’eccellenza non ancora giunte in Italia.

Incombe dunque, nell’approcciarsi al programma, lo spauracchio della virata pop, tanto più inquietante se si considera la prossimità con la festa-festival di Roma. Tuttavia, scorrendo i 185 titoli totali (70 i lungometraggi), tra cui 46 anteprime assolute e 62 anteprime italiane, il timore si scioglie progressivamente, lasciando il campo a una generale impressione di ricchezza della proposta e di conseguente curiosità.

A cominciare dal concorso, riservato ad opere prime e seconde e quindi, per sua natura, di difficile lettura preventiva, ma che appare tuttavia, da alcuni indizi, anche più interessante che negli ultimi anni. Tra i 14 titoli che saranno giudicati dalla giuria presieduta dallo sceneggiatore e regista Guillermo Arriaga – e composta dallo scrittore e critico Stephen Amidon, dalla sceneggiatrice Francesca Marciano, dall’attore Jorge Perugorrìa e dalla regista Aida Begic – risaltano Blue Ruin di Jeremy Saulnier, premio Fipresci a Cannes; Pelo malo di Mariana Rondón, vincitore al Festival di San Sebastian; 2 automnes 3 hivers di Sébastien Betbeder e La bataille de Solferino di Justine Triet, entrambi passati a Cannes; Club Sándwich e Le démantèlement, rispettivamente di Fernando Eimbcke e di Sébastien Pilote, autori già molto apprezzati in passato al TFF. Quanto al cinema italiano, curiosità per l’esordio del conduttore e autore televisivo Pif, con La mafia uccide solo d’estate, e per la coppia Ferrone-Manzolini, con Il treno va a Mosca.

"Festa mobile" è il tradizionale contenitore, non competitivo, di opere transitate nel corso dell’anno attraverso i festival mondiali ma ancora inedite in Italia, e vanta per questo nomi più noti al pubblico. Ecco quindi l’ultime fatiche dei fratelli Coen (Inside Llewyn Davis) e di Jim Jarmush (Only Lovers Left Alive); la freschezza di Noah Baumbach e della franco-ivoriana Katell Quillévéré, che portano a Torino due ritratti femminili, dai nomi di Frances Ha e Suzanne; Robert Redford in lotta per la sopravvivenza in mare aperto in All is Lost di J.C. Chandor; il cupo This Is Martin Bonner di Chad Hartigan, premiato dal pubblico al Sundance.

"After Hours2 sostituisce Rapporto confidenziale come sezione di film «bizzarri e fuori di testa» (secondo la definizione del vicedirettore Emanuela Martini), a maggioranza thriller e horror: a parte la segnalazione tarantiniana dell’israeliano Big Bad Wolves – il più bel film dell’anno, a dire del regista di Pulp Fiction –, spiccano qui l’ultimo Jodorowsky, La Danza de la Realidad, il mockumentary premiato al Sundance, Computer Chess e Wrong Cops, del folle Quentin Dupieux.

La sezione "Onde", curata da Massimo Causo con la collaborazione di Roberto Manassero, propone come al solito un set per cinefili duri e puri, senza vincoli di formati né durate, contraddistinto solo dalla vis sperimentale e indipendente dei suoi titoli. Da notare la particolare attenzione verso l’attuale scena portoghese, con una mini-rassegna dedicata di quattro film; la presenza dell’ultimo lavoro di Tonino De Bernardi, Hotel de l’Univers; e del vincitore dello scorso festival di Locarno, Història de la meva mort, diretto dallo spagnolo Albert Serra. Impreziosisce il programma la retrospettiva dedicata al regista di Hong Kong Yu Lik-wai (Plastic City, All Tomorrow’s Parties).

Tra i documentari, selezionati da Davide Oberto, spiccano su tutti i nomi di Claude Lanzmann, che prosegue il suo discorso sulla Shoah con The Last of the Unjust, e della coppia Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, con Pays barbare. Poi il vincitore di Un Certain Regard a Cannes, L’image manquante, in cui il cineasta cambogiano Rithy Panh racconta la sua esperienza di «ospite», dal 1975 al 1979, di uno dei famigerati «campi di riabilitazione» degli Khmer Rossi. Quindi due documentari «cinefili», uno dedicato a Béla Tarr (Tarr Béla, I used to be a Filmmaker, di Jean-Marc Lamoure), l’altro a Franco Piavoli (Habitat [Piavoli], di Claudio Casazza). E ancora, i nuovi lavori di Claudio Giovannesi (Wolf) e di Roberto Minervini (Stop the Pounding Heart).

Last but not least: il restauro digitale di Otto e mezzo nell’anno del cinquantennale, il recupero del Turin Horse (2011) di Béla Tarr ancora inedito in Italia e infine la epica retrospettiva biennale, curata da Emanuela Martini, dedicata alla New Hollywood (Suicide is painless: il nuovo cinema americano 1967-1976): tra quest’anno e il prossimo a Torino si vedranno circa 80 tra i più grandi titoli della storia del cinema statunitense, a cominciare, in queste ore, con capolavori assoluti come Easy Rider, Cinque pezzi facili, Pat Garrett & Billy the Kid, Bonnie & Clyde, Lo spaventapasseri

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