Peggio che morir di fame c’è solo la morte per affogamento che arriva lentamente, prolungando in modo drammatico la fine, ma dover scegliere tra le due non sarebbe semplice. Chris McCandless, ribattezzatosi con una certa spavalderia adolescenziale Alexander Supertramp, inciampa per inesperienza nel primo tipo di fine. Nessuno però potrebbe mai immaginarsi un distacco dalla vita col sorriso sulle labbra, capita in genere solo a chi termina di vivere in “grazia di Dio”, almeno così racconta la saggezza popolare, altrimenti si usava dire “è morto in santità”. Le ultime immagini del film sovrappongono il suo volto morente al cielo azzurro dell’Alaska, la macchina da presa lo riprende dall’alto in verticale, vediamo un’espressione lieta, come di chi abbia raggiunto una trascendenza, una sorta di estasi. Chris muore in pace, beato come un monaco che va dal Signore. Sconcerta, ma così appare.
Volendo essere scettici – anche se lo scetticismo può indurre ad un’esistenza mediocre, incapace di scommettere e di conseguenza con basse possibilità di raggiungere risultati alti – possiamo con una qualche ragione sostenere che la malnutrizione sviluppa un grave squilibrio chimico tale da provocare convulsioni e allucinazioni. Pare che persone recuperate in queste condizioni raccontino che la fame verso la fine svanisce, i dolori lancinanti si placano e la sofferenza viene rimpiazzata da un’euforia sublime. Al tempo stesso però non possiamo dimenticare che uno degli ultimi atti di Chris è di scattarsi una foto dove si presenta sereno e sorridente col suo biglietto d’addio in mano in cui c’è scritto: “Ho avuto una vita felice e ringrazio il Signore. Addio e che Dio vi benedica!”.
Insomma più che da rivolta e rabbia, sentimenti presenti specie nei confronti della famiglia, il protagonista sembra essere spinto da un desiderio di spiritualità, le sue scelte rassomigliano a quelle dei monaci eremiti. Questi infatti abbandonano il mondo pur facendovi ritorno di tanto in tanto, scelgono di fare una vita povera e casta, aspirano a “toccare” una verità trascendente. Certo, si nutrono della comunione nello Spirito attraverso la preghiera, cosa che non appartiene a Chris. In lui c’è però lo stesso disprezzo del denaro e del potere che genera solo illusioni. Con tutta tranquillità distrugge le carte di credito, brucia i dollari superflui, dona i soldi per cause migliori o a chi pensa ne abbia più bisogno di lui. Comportamento che risponde al precetto evangelico: “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro” (Mt 6, 26 – 29)
La ricerca di verità in lui ha due radici. Da una parte la scoperta che i genitori gli hanno mentito sul loro passato: Walt, il padre di Chris, aveva coltivato in segreto una relazione con la precedente moglie, dividendo il suo tempo fra una famiglia e l’altra. La reazione del figlio, mai espressa direttamente, è di grande delusione. Moralmente non sopporta la menzogna, la finzione in cui lo hanno costretto a vivere e che in qualche modo confermano le tesi delle sue letture. Nel “magic bus”, ultima dimora del ragazzo, una delle parti sottolineate del Dottor Zivago di Pasternak è questa: “…non c’è nessuno intorno, né amici né autorità costituite. Allora ci si vorrebbe affidare all’essenziale, alla forza della vita o alla bellezza o alla verità, perché esse, e non le autorità umane ormai travolte, ti dirigano in modo sicuro e senza riserve più di quanto non avvenisse nella solita vita di sempre, ora tramontata e lontana”. Probabilmente questa intransigenza si è forgiata all’interno dello stesso nucleo famigliare. La narrazione in proposito è reticente ma non è difficile immaginare un padre con delle forti aspettative, per il quale ogni mancata vittoria corrispondeva a una sconfitta, così che quando Chris scopre il lato segreto di Walt gli crolla un mito e non è pronto a perdonarlo. Dall’altra parte ci sono le letture di Thoreau e Tolstoj, scrittori che esprimono una critica della civiltà moderna in nome di un ritorno alla natura intesa come luogo autentico. Chris scrive su un pannello di compensato, sempre nel “magic bus”: “… La battaglia climatica per uccidere l’essere falso dentro di lui e concludere vittoriosamente il pellegrinaggio spirituale. Dieci giorni e dieci notti di treni merci e autostop lo hanno portato fino al grande bianco del Nord. Per non essere mai più avvelenato dalla civiltà, egli fugge, e solo cammina sulla terra per smarrirsi nella foresta” .
Il rifiuto di alcuni valori e di certe strutture sociali ritenute non autentiche spingono questo adolescente a domande impegnative. Non le fa direttamente, almeno non vediamo sullo schermo il momento della riflessione, e invece sentiamo alcune risposte, quando per esempio dice: “Dio ha messo la felicità in tutto”. La domanda fondamentale che si pone Chris è: che cos’è la felicità? Così una volta presi in considerazione i mali non imbocca la strada dell’impegno politico e nemmeno quella della rivolta nichilista, come neanche quella del rifiuto totale della vita in comune pur se vuole “smarrirsi nella foresta”. Opera al contrario una rivoluzione spirituale che va in due direzioni: una verso l’interno e l’altra verso l’esterno ed entrambe per mezzo della natura. La prima lo porta ad avventurarsi nella foresta non tanto per riflettere sugli elementi naturali, quanto per esplorare il paesaggio interiore della propria anima. In un passo sottolineato del Dottor Zivago in cui ci si interroga sul senso dell’esistenza si legge che “per scoperte del genere occorre un’attrezzatura spirituale, e in questo senso, i dati sono già tutti nel Vangelo. Eccoli. In primo luogo, l’amore per il prossimo, questa forma suprema dell’energia vivente, che riempie il cuore dell’uomo ed esige di espandersi e di essere spesa. Poi, i principali elementi costitutivi dell’uomo d’oggi, senza i quali l’uomo non è pensabile, e cioè l’idea della libera individualità e della vita come sacrificio.”
Verso l’esterno cambia il modo di vedere le cose, altrimenti detto lavora sulle relazioni, secondo una logica di “umanizzazione” dei rapporti. Tutti coloro che hanno avuto modo di incontrarlo ne hanno un buon ricordo, ma sarebbe poco confinare a una piacevole memoria l’incontro con Chris. Infatti è come se riuscisse a tirar fuori, dalle persone con cui entra in contatto durante il suo vagabondare, la parte migliore di loro, la loro vera natura, quasi riuscisse a cicatrizzare le loro ferit
e, il loro dolore tanto da trasformarlo in amore. Tuttavia non ha piena consapevolezza di quanto cammino abbia già fatto. Continua a cercare in solitudine sino a quando arriva a una conclusione che può suonare banale se privata dall’esperienza. La risposta che si dà alla sua ricerca arriva troppo tardi ed è questa: “La felicità è reale solo quando è condivisa”