C’è un certo cinema italiano che torna ogni tanto a fare la sua comparsa nei nostri schermi. Quello di registi maturati altrove, ma provenienti da aree e regioni a forte senso comunitario, dove ancora forti restano la tradizione e gli strascichi di un passato che tenacemente conserva alcuni dei suoi lembi dal logorio della contemporaneità. Un cinema fatto di ritorni a un passato, al contempo cinematografico e identitario, che attende di essere (ancora) indagato, di essere strappato dall’oblio della modernità. Una sorta di “doveroso” e urgente bisogno di volgere lo sguardo verso ciò da cui si è partiti, quello che si è lasciato alle spalle. Indagini possibili solo quando si è in possesso di occhi nuovi, regalati dall’esperienza del distacco e del vivere un mondo altro, i soli capaci di dare quel senso di autonomia che rende lo sguardo più lucido e razionale. Crialese, Frammartino, Tommaso Cotronei, tanto altro cinema sardo, qui Salvatore Mereu. Sono solo alcuni esempi di registi che, con stili e intenti diversi, con varie e alterne fortune, portano il cinema a una sorta di ricognizione etnografico/esistenziale.
Ballo a tre passi fu un esordio fortunato per Mereu, vincitore della Settimana della Critica a Venezia nel 2003 e di un David di Donatello come miglior regista esordiente, fortune che indubbiamente avranno reso più facile trovare finanziamenti per questo suo secondo lungometraggio che, come il primo, ha per sfondo (protagonista) la Sardegna.
Adattando l’omonimo romanzo di Giuseppe Fiore, Sonetàula copre un arco temporale che va dal 1937 al 1950 seguendo il protagonista dall’adolescenza all’età adulta. Pastore sin da bambino, Sonetàula vede presto il padre partire in esilio in seguito ad una falsa accusa. Continua a crescere insieme alle figure del nonno e dello zio Giobatta fin quando, in seguito a una mancata risposta dei carabinieri per aver sgozzato il gregge di un provocatore, sceglie la latitanza fino a diventare bandito.
Quasi tre ore di film parlato interamente in dialetto sottotitolato, decisione coraggiosa di chi intraprende con determinazione la propria scelta, convinto e sicuro della propria idea di cinema. Un film asciutto che, attraverso pochi movimenti di macchina e significativi primi piani, scava l’esistenza e la solitudine del protagonista, i grevi e segnati volti degli straordinari attori (quasi tutti non professionisti). Attento e suggestivo nella ricognizione dei costumi, oggetti e mezzi di trasporto dell’epoca, Sonetàula è l’incarnazione ostinata di un mondo arcaico fatto di vie precluse in quanto neppure scorte. Di uomini la cui vita è appena lambita dal progresso e dagli accadimenti della storia, dove la negazione dell’esistenza obbliga l’individuo a proiettarsi unicamente verso se stesso. La guerra o l’arrivo dell’energia elettrica nel paese sono solo vaghi accadimenti che testimoniano l’esistenza di un mondo diverso, ma che nulla mutano nell’intimo di chi non può avere la capacità di commensurarne la portata. Mereu guarda a un cinema che ha fatto la storia della settima arte nel nostro paese: De Seta (evidente il rimando a Banditi a Orgosolo), Olmi, Taviani. Un film rarefatto, senza commenti musicali, che si lascia abbandonare ai ritmi, ai rumori e alle stagioni della ruvida Sardegna.
Un tipo di cinema che ci piacerebbe vedere più spesso, convincente nel taglio e nello stile della messa in scena, nelle sue immagini evocative e nei tempi impalpabili ma realistici. Questo nella speculazione razionale e generica di un modo di fare cinema. Quando si passa invece alle sensazioni più immediate ed emozionali, si ha l’impressione che qualcosa non torni, che non tutto vibri come avrebbe potuto. Certi passaggi di sceneggiatura appaiono inspiegabilmente affrettati e poco chiari, visto un tempo di quasi tre ore a disposizione. Si ha l’idea che Mereu abbia concentrato tutti i suoi sforzi nella coerenza e nella misura della messa in scena. Troppo attento nell’evitare sbavature e virate di stile, ha forse soffocato alcuni lirismi che avrebbero reso un po’ più grande il film.
La Rai in autunno manderà in onda il film in due puntate. Diverso sarà il montaggio, diverse alcune scene che saranno arricchite con l’obiettivo di adattarlo alla fruizione televisiva. E se per una volta, grazie alla snobbata televisione, il film ne guadagnasse?