Gabriele Muccino, alla sua seconda prova americana, non delude e realizza un buon film con un tema di fondo davvero inquietante ed estremo. Ora che il film è da qualche tempo in sala, si può tralasciare la tacita regola giornalistica di non rivelare il colpo di scena finale: è la storia di un uomo che, divorato dai sensi di colpa per aver causato la morte di sette persone in un incidente automobilistico, decide scientemente di sacrificare la sua stessa vita donando i suoi organi ad altre sette persone. Ma sia dell’incidente sia del suo piano inaudito noi spettatori veniamo a conoscenza solo alla fine, mentre assistiamo alla scena, a quel punto decisamente indigeribile, del suicidio che attua per permettere ai medici di prelevare i suoi organi. Dunque tutto l’essenziale è concentrato nei 5 minuti finali.
Nelle restanti due ore vediamo, invece, un uomo angosciato e depresso che, sotto le mentite spoglie di agente del fisco, va alla ricerca di persone che abbiano veramente bisogno di aiuto. L’importante per lui è appurare se queste persone siano moralmente degne di ricevere quest’aiuto. Non sappiamo perché lo fa – anche se intuiamo qualche trauma nel suo passato – né se e con quali mezzi abbia intenzione di aiutarle, notiamo solo che molte di loro sono in attesa di un organo per curare la loro malattia. Tra di esse c’è una donna molto bella (Rosario Dawson) e commovente che è in attesa di un trapianto di cuore: di lei Will Smith non può proprio fare a meno di innamorarsi. Il loro incontro amoroso, che occupa buona parte del secondo tempo, e che è senz’altro la parte in cui la regia di Muccino ha dato il meglio di se’, non impedisce tuttavia al protagonista di continuare a perseguire il suo piano: il film terminerà infatti con una scena in cui la donna, completamente ristabilita dopo il trapianto, guarda negli occhi l’uomo cui Will Smith ha donato le sue cornee (dunque in pratica i suoi occhi e il suo sguardo!!!)
Ora, le implicazioni morali, filosofiche, religiose che una storia estrema come questa solleva sono enormi: si tratta di un supremo atto d’amore o di un modo nobile per risolvere la propria depressione? Si possono amare gli altri senza amare anche se stessi? E la donna beneficiaria del suo cuore (nel senso dell’organo) come potrà vivere sapendo che apparteneva all’amato che si è tolto la vita per donarglielo? E poi: ha senso il ragionamento del protagonista che pensa di “andare in pari” se salverà un numero di persone uguale a quelle che ha ucciso colposamente?
Gli interrogativi potrebbero continuare, ma per tutti questi dubbi nel film non c’è spazio. Anzi, non c’è modo di porseli se non tra sè e se’ dopo la fine dei titoli di coda. Troppo impegnati a cercare di capire quale fosse in effetti la trama non abbiamo potuto percepire la vera portata e il vero significato degli eventi. Così ci si ritrovati alla fine sconcertati, confusi e anche leggermente presi in giro perché abbiamo guardato un film che davvero non lasciava presagire una svolta tanto drammatica e scioccante. Da questo punto di vista viene da concordare con la critica americana che ha accusato il film di essere manipolatorio.
Sicuramente questa struttura narrativa basata sulla suspence e sulla rivelazione finale ha reso digeribile anche ad un pubblico vasto una storia altrimenti davvero difficile. Inoltre ha permesso alla coppia ormai collaudata Smith/Muccino di lavorare su un terreno a loro decisamente più congeniale: quello delle emozioni, degli stati d’animo, delle relazioni, senza avventurarsi in quella dimensione metafisico-religiosa che probabilmente non avrebbero saputo padroneggiare con uguale destrezza. Tuttavia, a nostro parere, il tema richiedeva anche qualche approfondimento e un po’ di coraggio in più nell’accompagnare lo spettatore oltre lo shock e l’emozione: non bastano quando si ha tra le mani una materia tanto delicata.