Non vorremmo travisare, ma seduti in sala davanti alle prime scene del nuovo e glaciale film della Bier, all’inizio abbiamo pensato ai cagnolini di Striscia la Notizia.
Se Antonio Ricci, infatti, su Canale5 spesso si serve dei nostri amici a quattro zampe per racimolare consensi e ascolti a mani basse, allo stesso modo la regista danese sembra essersi voluta affidare a sequenze crude, con dei neonati di sole sette settimane, per scioccarci platealmente e senza pietà.
Chi conosce e apprezza la filmografia dell’autrice di Non desiderare la donna d’altri, comunque si sarà già reso conto da tempo di come la vincitrice dell’Oscar del 2011 non si tiri mai indietro quando si tratta di adeguare storie asciutte e fredde a lunghe serie di sequenze glaciali e disturbanti.
Per certi versi rimaniamo sempre affascinati da come la Bier riesca a forzare soggetti da tragedia greca – o se vogliamo anche da Un posto al sole tipo lei-ama-lui-eppure-bacia-il-fratello o sono-bambini-diversi-eppure-vengono-scambiati-nella-culla- in film struggenti e senza apparente via d’uscita.
In questo senso, vorremmo essere stati vicino alla Bier quando ha avvistato in lontananza lo script di base di Second Chance per vedere quanto gli si debbano esser illuminati gli occhi. Del resto, la trama di base di questa nuova opera presentata anche al Torino Film Festival è talmente monolitica e ingombrante che avrebbe ucciso ogni voglia di improvvisare anche a Ed Wood o ai Monthy Python tutti insieme. La Bier prima ci butta dentro con tutte le scarpe nel monolite del bene e del male, poi lo divide con altrettanta maniacalità, infine prova a scambiar di posto i due opposti, in tutto ciò riuscendo a mantenere nel fondo una tensione alla speranza e un rigore che lascia ammaliati. Ci ripetiamo su queste pagine per l’ennesima volta, ma pensiamo che Ulrich Thomsen, sia uno dei migliori attori europei di sempre. Qui non riesce a rubargli la scena nemmeno un mostro in ascesa come Nikolaj Coster-Waldau, il celebre Lannister di Game of Thrones.