[*****] “Io so (…) nomi e (…) fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove” scrisse Pier Paolo Pasolini in un articolo apparso su Il Corriere della sera del 14 novembre 1974, intitolato Cos’è questo golpe? Il romanzo delle stragi. Marco Tullio Giordana cita questo articolo parlando del film da lui realizzato, il cui titolo ricorda quello dello scritto di Pasolini. Ma il richiamo è tanto più calzante perché evoca la verità. E il film di Giordana è un’opera nata per amore di quella verità che sempre esiste al fondo di ogni avvenimento; negata, rimossa, frammentato caledoscopio di menzogne, contraddittoria e sfumata ma fedele ricostruzione di fatti. Romanzo di una strage è poi titolo che suggerisce la necessità della struttura romanzesca come solo strumento possibile, di ricostruzione del puzzle strumentalizzato di eventi, polemiche e processi che da anni ruotano attorno alla strage provocata dall’esplosivo che il 12 dicembre 1969 distrusse la sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano, uccidendo 17 persone e ferendone 88.
Sono gli anni in cui in Italia la contestazione studentesca e le agitazioni operaie portano nella penisola il vento di un rinnovamento che agita le società scoppiate del boom post-bellico e che, in un Paese come il nostro, impreparato, dominato dal cattolicesimo e da un tessuto socio-culturale immaturo al cambiamento, preoccupano l’establishment politico. Anche il panorama internazionale dominato dalla guerra fredda muove in direzione della conservazione di un ordine che l’avanzata delle sinistre vuole infrangere. Ciò alimenta un clima di tensione, suffragato da decine di bombe a firma anarchica che, nei mesi precedenti l’attentato di piazza Fontana, infiammano il clima della penisola. Questo stato di cose orienta immediatamente il commissario Luigi Calabresi, incaricato di seguire le indagini, verso la pista anarchica. Vengono fermati e interrogati decine di appartenenti a gruppi anarchici, fra i quali Giuseppe Pinelli, noto al commissario per la sua natura non violenta, e per il rapporto di stima e rispetto reciproco. Per ottenere da Pinelli la conferma della pericolosità di Pietro Valpreda, un ballerino senza scritture, riconosciuto da un tassista che lo ha lasciato alla banca pochi minuti prima della strage e da molti indicato come probabile colpevole, a causa delle sue dichiarazioni violente e dei contrasti che queste gli avevano procurato negli ambienti anarchici, Pinelli viene trattenuto in questura oltre i limiti di legge e lasciato per tre notti senza mangiare né dormire. Il terzo giorno inspiegabilmente muore cadendo dalla finestra dell’ufficio di Calabresi, che in quel momento non era nella stanza ma che, a causa dei maldestri tentativi della Questura di giustificare l’accaduto, finisce per essere indicato come il diretto responsabile dell’incidente.
Intanto mentre le indagini proseguono sulla pista anarchica, a Treviso i giudici Pietro Calogero e Giancarlo Stiz, scoprono una rete di neonazisti pronti a gesti estremi pur di arrestare l’ondata di contestazioni studentesche. Nonostante siano coperti e infiltrati dai servizi segreti, finiscono per essere inchiodati dalle prove che portano all’arresto di Giovanni Ventura e Franco Freda. Il commissario Calabresi ormai non più certo della matrice anarchica dell’attentato, indaga nel traffico internazionale d’armi e ne scopre in Carso un deposito clandestino utilizzato dai neonazisti. Pochi giorno dopo viene assassinato. E’ il 17 maggio 1972 e questa morte determina un nuovo giro di vite sulle indagini e nuove strumentalizzazioni.
Marco Tullio Giordana chiude il film con questa morte e fa di Calabresi il protagonista e attore principale (Valerio Mastrandrea in una grande prova d’attore), insieme a Pinelli (Pierfrancesco Favino), di trame ordite attorno a due uomini insieme protagonisti e vittime di un meccanismo più grande di loro, burattini strumento del potere, di interessi e strategie politico-economiche che hanno cavalcato il cambiamento affinché si stringesse il cordone di sicurezza volto al mantenimento dello status quo.
Non era facile parlare della strage di piazza Fontana e tanto più lo era cercando di essere narratori di anime oltreché cronisti di storia. Marco Tullio Giordana, insieme a Sandro Petraglia e Stefano Rulli, ci è riuscito. Affrontando in veri e propri capitoli titolati, ciascun lato del prisma complesso della cronaca, della Storia, della politica fino a toccare la luce riflessa della verità di una strage. Ma è riuscito a farlo sapendo delineare le ombre di protagonisti e vicende che non hanno etichette di “bene” o di “male” ma che sanno della complessità spesso miserevole della storia umana e sociale di questo mondo. Certe sono le vittime e l’evidenza che non potesse essere un manipolo di anarchici a seminare il terrore e ancora il suggerimento a guardare oltre la storia scritta, alla nudità di prove e testimonianze che lasciano poco spazio ai dubbi. Il film di Giordana è una sceneggiatura e una regia che sa tratteggiare con maestria i chiaroscuri di una vicenda complessa, insieme a un cast d’eccezione che rende l’impegno civile e la passione di raccontare alle vecchie e nuove generazioni una dolorosa pagina di storia che segna il confine di una scelta. Oggi si possono dire e fare i nomi che Pasolini non ha potuto scrivere. Oggi sappiamo e si tratta di scegliere. Il film di Giordana offre un’opportunità imperdibile in tal senso, ricucendo la trama di anni di cronaca, storia, giustizia e politica in un romanzo storico-politico e umano impareggiabile, non sporcato da strumentalizzazioni di parte.