La quarta edizione del Festival del cinema di Roma, offre, tra le molte cose, anche un’ampia restrospettiva sul cinema di Luigi Zampa. Un autore importantissimo nel panorama cinematografico italiano del dopoguerra. Regista di grandi commedie (Anni facili, Il Vigile, Bello Onesto immigrato italiano Australia sposerebbe compaesana illibata, Anni Ruggenti, Ladro Lui Ladra Lei) e di opere straordinarie come Processo Alla città. Cogliamo l’occasione offerta dalla kermesse romana, per rivedere e ripensare il cinema di questo maestro scomparso quasi venti anni fa, ed attivo, come regista, già dalla prima metà degli anni quaranta.
Un americano in Vacanza è uno dei primi film di Luigi Zampa, il quarto per l’esattezza. Siamo nel 1945 e la storia del cinema (non solo) italiano sta per essere sconvolta dal Neorealismo. Eppure la lezione dei telefoni bianchi è ancora là ad indicare canoni e modelli. Zampa gira questa commedia d’impianto classico (alla telefoni bianchi, appunto) contestualizzandola nel suolo drammatico della guerra. E’ un film di macerie e di strade, oltre che di sentimenti, di spazi all’aperto e di tanta Roma, oltre che di giovani educati e intelligenti. Ed è un film di comicità forte quando Paolo Stoppa racconta, nei panni di un indolente vetturino romano, la capitale a modo suo. Ci sono tre quattro gag niente male che è bene ricordare: una sul Colosseo, (“‘na vorta li leoni se magnavano li cristiani, oggi li cristiani se magnerebbero li leoni, co la fame che c’hanno..”); un’altra su San Pietro, anche questa deliziosa, un’altra sulla bocca della Verità, ed una, infine, sul Tempio delle Vestali. C’è una Roma già splendida, quindi, da Vacanze Romane ante litteram, piena di sole e finalmente di paesaggio reale. La storia: due soldati americani sono in viaggio verso Roma per godersi una breve licenza; uno di loro è interpretato da un giovane Adolfo Celi (doppiato) e l’altro da Leo Dale. A proposito, nel film c’è anche un cameo di Luciano Salce (amico di Celi già da allora) nei panni di un ufficiale americano. Uno dei due soldati (Dale) è di origini italiane e parla benissimo la nostra lingua. Quasi subito si innamora di una graziosa maestrina che si sta recando nella capitale per cercare i fondi necessari alla ricostruzione del suo paese distrutto dalla guerra. Accade tutto durante il viaggio verso Roma, quando i due yankee, allegri e speranzosi in una settimana romana di monumenti, certo, ma soprattutto di ragazze, si imbattono in un camioncino contadino su cui viaggia, in mezzo a scatoloni e ad altre robe, una giovane ragazza bionda. Scopriamo che si tratta di una poco poco più che ventenne Valentina Cortese, a quei tempi semi sconosciuta, ed ammettiamo senza dubbio che nel corso del film mostri un talento vistosissimo, con mimica contenuta in un personaggio triste e sensibilissimo. Dopo una serie di simpatici sorpassi, il fatiscente veicolo che ospita la ragazza buca una ruota ed ella si trova costretta, suo malgrado, ad accettare il passaggio prontamente offerto dagli stranieri pacifici occupanti. Dopo alcuni equivoci e parecchie difficoltà, l’americano riesce finalmente a dichiararsi, ed il finale aperto si carica di drammaticità nuova, contestualizzabile in un desiderio di fare cinema che poco dopo sarebbe sfociato in capolavori ormai universali. Il film stende una garbata cronaca sentimentale sullo sfondo drammatico della grande Storia contemporanea e sono stati gli stessi americani (leggendo i titoli del film) a determinare la realizzazione di questo semplice ed oggi prezioso documento: “Realizzato con il cordiale interessamento delle Autorità Militari Alleate”.
Un Americano in Vacanza è un certificato di valore storico, fluido nella narrazione e forte di aperture spaziali e di costume, con i locali in cui si ballano ritmi americani. La pellicola dipinge un personaggio femminile fragile e al tempo stesso determinato. Fa la maestra elementare e il suo piccolo borgo contadino, lo stesso ambiente in cui Zampa tornerà due anni più tardi con Vivere in pace, (commedia contadina del ’47 che segna, in qualche modo, l’inizio del cosiddetto Neorealismo Rosa) è stato raso al suolo dalle bombe. La chiesa e la scuola dove la ragazza insegna sono crollate e la missione della giovane è quella di recarsi nella capitale con due scopi: raccogliere aiuti dal Vaticano per la ricostruzione, e convincere il figlio dell’uomo più facoltoso del paese a ritornare a casa, dopo che questi ha abbandonato la campagna per seguire un amore cittadino foriero di pericoli e svantaggi. Il padre del ragazzo ha promesso alla bella protagonista che se riuscirà a riportare il giovane sulla corretta via, sarà egli stesso a stanziare i fondi per la ricostruzione della chiesa e della scuola. La maestra è tanto fragile e inesperta quanto saggia e determinata, e la sua riservata timidezza si scontra sin da principio con la grande energia del soldato americano, talmente innamorato di quella bionda e trattenuta grazia, da accantonare tutto il resto per dedicarsi esclusivamente alla coltura di quel giovane e profondo amore. Tutto il film, rivelatore di una sincera partecipazione del regista ai fatti narrati (e di una nascente visione critica della realta), è giocato sull’impedimento di questo amore, e se per tutta la durata della pellicola la guerra sembra essere lontana, ecco che nel finale, dopo che la ragazza sarà riuscita a portare a termine il suo compito, la guerra si riaffaccia prepotentemente dentro al film. Torniamo al paese e rivediamo macerie, povertà e desolazione. La ricostruzione è appena cominciata e nelle facce e nel paesaggio si può osservare la realtà del tempo. Per tutto il periodo romano la ragazza non ha ceduto alle educate lusinghe del soldato, ma col passare dei giorni si è accorta della sua serietà e delle sue qualità umane. Ora è tornata al suo borgo ed ha già ripreso ad insegnare ai bambini, in mezzo a sassi e travi penzolanti. E’ malinconica, tuttavia, perchè nella testa gli ronza la figura di quell’americano buono, e quando questo compare, le parole che i due scambiano combinano patetismo accettabile a considerazioni valide e credibili sul dramma della guerra. Il finale aperto (ma non troppo) vede la jeep americana sparire in campo lungo verso altro dolore.
La commedia è ricca di notazioni di costume, e già rivela gran parte delle capacità registiche del romano Luigi Zampa, qui ancora garbato, ma già fluido e coinvolgente, anche se ancora non rivelatore della sua propensione per la satira pungente. La vedremo nei lavori successivi.
Il Suo articolo lascia trasparire un autentico amore per la città di Roma e per l’assetto cinematografico che ne ha raccontato le sorti. Condivido pienamente lo splendido quadro da Lei proposto.
E condivido anche le considerazioni sul regista Zampa. Molto simpatico e importante l’abbinamento con il video allegato. Grazie!