Il Concorso della IV edizione del Festival di Roma ha riservato ampio spazio ad uno dei temi che più ha alimentato il cinema di tutti i tempi: l’amore. Il regista argentino (di padre e formazione norvegesi) Marco Berger racconta l’amore come esperienza totalizzante, l’unica che dia senso, malgrado ogni mancanza di senso, al proprio vivere, da cui, nonostante ogni reticenza o appello al buon senso, non si può sfuggire, che non lascia tregua né scampo.

Bruno lascia la fidanzata anticonformista e open mind (con la quale continua periodicamente ad andare a letto), e che, neanche a dirlo, vuole a tutti costi riconquistare non appena lei inizia una storia con un altro ragazzo, Pablo. Bruno li segue, li spia, e, dietro un’apparente indifferenza, progetta un piano per metterli in crisi. Scatta così il piano B, che arriva immediatamente dopo un piano A, che in realtà non vediamo e che ipotizziamo (il regista non ci lascia altra scelta) fosse quello di riconquistarla in modo tradizionale. Il piano alternativo prevede che Bruno diventi amico di Pablo, dopo aver saputo che aveva in passato vissuto un’esperienza omosessuale; mettendone così in crisi l’identità, e facendolo innamorare di lui, Bruno spera in questo modo di allontanare Pablo dalla ex in modo da avere totale campo libero. Un piano quasi sadico, che in realtà il protagonista non dichiara apertamente all’inizio del film, quando confida ad un amico la volontà di metterlo in atto, probabilmente perché lui stesso non la ritiene una strada realmente praticabile, e che rimane volutamente ambiguo fino alla metà del film.

Una volta che Bruno e Pablo diventano amici, il film si concentra sostanzialmente sul rapporto tra loro, che cresce giorno per giorno, fino ad aprire possibilità fino ad allora imprevedibili. Quando il piano sembra essere andato a buon fine, Bruno si rende conto di essere diventato vittima della sua stessa trappola e che ogni piano è saltato. Pablo e Bruno si ritrovano profondamente e irresistibilmente innamorati l’uno dell’altro. Il piano B è così diventato un piano C, che nessuno dei due poteva, né voleva, ipotizzare.

Il regista mostra di essere alla sua prima prova registica mettendo su un film che non presenta la solidità e la compattezza di altri autori sia dal punto di vista formale che della struttura drammaturgica. Tuttavia, nonostante diversi vuoti logici nella sceneggiatura e alcuni passaggi un po’ forzati (l’esistenza ad esempio di un’amica in comune così importante per entrambi senza che Pablo venga mai a sapere chi è Bruno, oppure il fatto che sempre Pablo guardi una fotografia dell’altro a casa della fidanzata senza riconoscerlo etc.), il film porta in sé una naturalezza, una spontaneità e, si direbbe, quasi un’urgenza che ne riscattano il valore e lo fanno apprezzare per una certa genuinità che, talvolta, negli autori più navigati, si disperde sotto il peso di pensieri mediati da un eccessivo intellettualismo. Anche da un punto di vista formale il film presenta immagini livide, asciutte, essenziali; la macchina da presa non mira a creare immagini lambiccate da gustare visivamente, ma penetra nei corpi e nei pensieri dei protagonisti scrutandone ogni dettaglio, ogni movimento, ogni cambiamento d’espressione.

PLAN B Al regista non sembra importare null’altro se non quello che si crea all’interno del rapporto tra Bruno e Pablo, di cui non sappiamo nulla, né cosa fanno nella vita, né quali sono le loro aspirazioni, perché al regista interessano solo nella dimensione in cui diventano gradualmente pronti a scoprire un sé diverso da quello che immaginavano: esemplare in tal senso sono le riprese degli esterni senza attori scandite da un rumore quasi metallico, freddo, che si contrappone al calore degli interni dove si svolge la loro “storia”. Anche gli altri personaggi appaiono “muti”, senza autonomia drammaturgica; essi sembrano esistere solo in funzione del rapporto principale, in particolare la fidanzata, brutta (non a caso) e completamente evanescente. Tutto ha senso solo all’interno della camera dove i due spesso dormono insieme, una situazione che rievoca quell’età dei dodici anni in cui, come dice Pablo a Bruno, inviti l’amichetto a dormire da te e passi la notte a parlare per ore e ore, e l’eccitazione si traduce in conti
nua scoperta di sé attraverso l’altro.

È proprio questo quello che avviene: Pablo e Bruno recuperano la loro dimensione pre-adolescenziale scoprendo se stessi (o almeno una parte, fondamentale) attraverso l’altro; una scoperta che non è facile, né rapida, e che comporta dubbi e perplessità. Il regista materializza queste esitazioni e tutto il tormento interiore che ne scaturisce posando a lungo e ripetutamente la macchina da presa sui due protagonisti, quando sono ognuno da solo, fuori sul terrazzo o in riva al mare, in silenzio, a riflettere. Il regista racconta l’amore che nasce tra i due seguendone l’evoluzione in tutti i suoi stadi finendo inevitabilmente per dilatare i tempi del film che fatica a giungere alla sua naturale conclusione, ma quello che potrebbe apparire un limite, in realtà concorre a rendere ancora più spontanea e naturale la storia e il modo in cui essa nasce nell’incredulità degli stessi protagonisti.

Un’ultima annotazione: nonostante la sua apparente importanza, la dimensione omosessuale non è mai esasperata; l’amore (travolgente e totale) che il film racconta supera le identità di genere, i confini che spesso la società pone di fronte a questo tipo di situazioni, tanto che nessuno all’interno del film sembra sconvolgersi più di tanto della possibilità che i due si scoprino gay e amarsi risulterà così la via più naturale e ovvia.

Insomma quella di Marco Berger è una buona opera prima, originale e accattivante, ingenua in qualche suo passaggio, ma che appassiona senza mai rinunciare alla riflessione.

One Reply to “Roma ’09: L’amore sconvolgente di Plan B di Marco Berger”

  1. Guarda che il “piano A” lo vediamo: è quando Bruno le propone di rimettersi con lei e lei gli risponde “Mai conosci il significato della parola mai?”

    <i>Un piano quasi sadico, che in realtà il protagonista non dichiara apertamente all’inizio del film, quando confida ad un amico la volontà di metterlo in atto, probabilmente perché lui stesso non la ritiene una strada realmente praticabile, e che rimane volutamente ambiguo fino alla metà del film.</i>
    Di nuovo ti sbagli, non viene detto esplicitamente ma che l’intenzione di Bruno è di sedurre Pablo è chiara tant‘è che l’amico di Bruno incredulo gli dice “no, non dirmi che…” e poi compare il titolo del film su schermo…
    Anzi la struttura narrativa del film si basa proprio sull’attesa di una seduzione che non avviene mai almeno non come previsto dal piano b di Bruno…

    Bella la lettura che fai.

    <i>Un’ultima annotazione: nonostante la sua apparente importanza, la dimensione omosessuale non è mai esasperata; l’amore (travolgente e totale) che il film racconta supera le identità di genere, i confini che spesso la società pone di fronte a questo tipo di situazioni, tanto che nessuno all’interno del film sembra sconvolgersi più di tanto della possibilità che i due si scoprino gay e amarsi risulterà così la via più naturale e ovvia.

    </i>

    Bruno e Pablo non si scoprono gay nel senso che non sono attratti fisicamente da corpi maschili. Al limite sono bsx, ma comunque si sono innamorati l’uno dell’altro non tramite un’attrazione fisica ma grazie un sentimento interiore.
    Attenzione l’omosessualità non è una identità di genere ma un orientamento sessuale…

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