Con nevrotici spostamenti si passa da una sezione all'altra per non perdersi troppo della ricca programmazione del Festival di Roma che ha nella trasversalità delle proposte il suo tratto più appetibile. L' "occhio sul mondo" quest' anno guarda al Brasile, paese il cui cinema sta vivendo una vera rinascita. La retrospettiva che gli dedica il festival focalizza l'attenzione sulle arti e sulla cultura brasiliana presentando ritratti di artisti, musicisti e uomini di cultura. Proprio la musica è la protagonista di Os Desafinados, film che racconta la parabola di una band di bossanova sullo sfondo dei grandi sconvolgimenti politici che il paese visse tra gli anni Sessanta e Settanta. I componenti del gruppo raccontano la loro storia davanti alla macchina da presa. La nascita della band, le velleità di successo, le delusioni, gli amori, i litigi, la politica assumono, attraverso i loro diversi racconti, una dimensione mitica dentro un linguaggio che sembra essere concepito più per la televisione che per il cinema e che nella sua struttura complessiva aderisce troppo passivamente a schemi e formule narrative convenzionali.
Film francese in concorso (official selection), Un Barrage contre le Pacifique racconta la vita di una famiglia francese (madre e due figli) nella Cambogia degli anni Trenta. Proprietari di una vasta risaia in concessione dal governo coloniale francese si ritrovano in difficoltà economiche a causa di un'inondazione che devasta il raccolto. Il film, per l'evidente debolezza della trama, è più nelle intenzioni che nello sviluppo. Intenzioni che non raggiungono esiti compiuti, come la lotta dei contadini contro i coloni francesi o il rapporto edipico tra la madre e il figlio o quello sottilmente incestuoso tra fratello e sorella trattati in maniera sterile e fine a se stessa. L'atmosfera decadente che avvolge la storia di questa famiglia borghese che si sta progressivamente disgregando sotto i colpi del grave dissesto economico incipiente è ben restituita dallo sguardo enigmatico dell'impeccabile Isabelle Huppert.
Viggo Mortenssen, assoluta star del Festival, è il protagonista di Good, opera ambientata in Germania negli anni del Nazismo che racconta la storia di un'amicizia spezzata dall'avvento del regime. Halder (V. Mortensen) è uno scrittore romanziere assoldato dal Nazismo per dare sostegno teorico alle aberrazioni in atto. Strumentalizzato per i concetti espressi su un suo vecchio romanzo partecipa di fatto all'ascesa del più criminale dei regimi mentre il suo amico Maurice (Jason Isaac), ebreo psicanalista, perde il diritto alla libertà di professione per finire rinchiuso in un campo di concentramento non prima di aver chiesto invano il visto di uscita dal paese al suo amico. La regista Vicente Amorim concentra la sua storia sul rapporto tra i due amici, uno arrendevole verso il regime nazista l'altro vittima della follia umana, ed esplora sottilmente quel confine ancora irrisolto tra la colpa morale dei civili, pavidi e quiescienti verso le atrocità naziste e l'innocenza dolorosa di quanti dicono ancora oggi “noi non sapevamo”. Quando Halder si rende conto di ciò che si stava pianificando si fa dare l'incarico di monitorare i campi di concentramento per tentare segretamente di metterlo in salvo. Bravissimo Viggo Mortenssen (presente a Roma anche nel bellissimo Appaloosa di Ed Herris).