Di seguito cercheremo di riportare fedelmente ampi stralci della tavola rotonda che si è svolta alla Casa del Cinema di Roma, in occasione dell’anteprima stampa di Religiolus, liberatorio e libertario manifesto antireligioso di Larry Charles (già regista di Borat), con protagonista il comico statunitense Bill Maher, già irrispettoso animatore del venerdì sera televisivo con lo show Real Time with Bill Maher.

Distribuito in questi giorni in 30 copie dalla Eagle Pictures, il film, prima ancora della sua uscita in sala, è stato oggetto di ritorsioni da parte delle schiere di papa-boys e miliziani di Cristo, se è vero che su molte delle locandine in giro per la città è stata apposta una  striscetta con la scritta: “Ateo No!”. Sperando che la contestazione rimanga confinata alle laconiche affiches e che ci venga risparmiato di assistere a picchetti e ai roghi delle sale – si pensi alla sorte già toccata a L’ultima tentazione di Cristo – abbiamo pensato di offrirvi la trascrizione di un momento di confronto tra esponenti di diverse culture, religiose e non, che reagiscono con sfumature certo diverse, ma senza astio e con indubbio spirito critico e autocritico, alle provocazioni lanciate dal film.

 Intervengono: Victor Magiar, consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e scrittore; Khalid Chaouki, fondatore dell’associazione Giovani Musulmani d’Italia e giornalista; Paolo Naso, giornalista, direttore del mensile “Confronti” e docente di Scienza Politica all'Università La Sapienza di Roma; Raffaele Carcano, segretario dell’UAAR, Unione Atei e Agnostici Razionalisti e scrittore.

Con uno spessore del dibattito fissato su standard cui purtroppo non siamo ormai più abituati, causa decenni d’idiozia catodica, lo scadimento generale delle classi dirigenti e la scomparsa di ogni intellettualità scomoda dal panorama dell’informazione nel nostro Paese, ci avviamo a lasciare la parola a queste belle voci fuori dal coro con una sola precisazione. Come vi sarete accorti mancano all'appello esponenti di Santa Romana Chiesa. Pur invitati a partecipare dall’ufficio stampa Eagle, hanno preferito declinare per impegni concomitanti. Tanto li vedremo tutti stasera a Porta a Porta, maligna qualcuno…


VICTOR MAGIAR (Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, scrittore)
È evidente che questo film non sia né un trattato di filosofia, né di storia delle religioni, né un documento scientifico, quindi va preso per quello che è: uno strumento semplice e simpatico di porre delle questioni.
Religiolus mi è sembrata una provocazione culturale importante che evidenzia il legame tra la religione, le concezioni fondamentali delle varie religioni, e la vita che viviamo oggi, la dimensione politica; un film che fa pensare e che ci pone in maniera molto disincantata rispetto a questioni che sono tutte da affrontare in maniera approfondita, anche perché alcuni concetti dottrinali vengono rappresentati qui in maniera molto tranchant, non corretta.
La questione centrale secondo me è che la religione, come qualsiasi altro sistema di pensiero, dottrina o ideologia, è uno strumento che può essere utilizzato per annichilire l’umanità, per rendere gli esseri umani asserviti a un meccanismo di potere. Secondo me o le religioni recuperano il movente profondo per cui sono sorte nella storia della nostra umanità, cioè il fatto di mettere al centro dell’attenzione la dignità umana e costruire delle società fondate su concetti di responsabilità, di rispetto per l’individuo e di dialogo tra le persone e tra le culture, oppure le religioni diventano degli strumenti di potere e di oppressione degli esseri umani.
Certo si vede molto estremismo religioso in questo film, ed è evidente che non rappresenta il sentimento, il modo di vedere delle figure più autorevoli delle varie confessioni.
Non a caso, forse il ragionamento più assennato che ci viene fatto è quello di un professore vaticanista che ci spiega la differenza tra la scienza moderna e il modo di scrivere, la forma delle scritture 2000 anni fa, e quindi ci aiuta a capire che sono categorie di pensiero diverse.


KHALID CHAOUKI (Fondatore dell’associazione Giovani Musulmani d’Italia, giornalista)
Mentre vedevo il film pensavo alle reazioni che altri spettatori di fede musulmana avrebbero potuto manifestare.
Personalmente ritengo che, grazie al suo approccio intelligente possiamo considerare Religiolus davvero un film di stimolo, interessante per porsi delle questioni, soprattutto sul fatto di accettare un modo diverso di esporre alcuni temi che sono molto sentiti, che vanno a toccare dei principi.
Non posso negare che in alcuni casi il film usi un linguaggio forte, irriverente, ma è uno stile che io non ho problemi ad accettare, anzi penso sia un’occasione di confronto e di stimolo alla nostra creatività, una sfida per riuscire a comunicare meglio il nostro pensiero, per inventarsi procedimenti simili per spiegare meglio quelli che sono i valori e i principi della nostra religione.
C’è però un secondo aspetto, e mi ricollego a quello che diceva prima Magiar, e cioè che nel film sono state scelte figure estreme, in alcuni casi eccentriche, e per questo il film non ha colto sicuramente quello che è lo spirito più profondo delle religioni, e nel caso dell’Islam in particolare. Tuttavia si tratta di un film che connota bene alcuni estremismi, quindi semmai ci fa un favore.
Il film mostra bene quelle che sono le devianze e le manipolazioni; si parla di violenza, di guerre sante. Dall’altra parte c’è la dimensione del credere a qualcosa di invisibile, del come credere a un testo sacro, alle scritture, e qui ovviamente ognuno ha il diritto di credere in quel che vuole. Semmai sarà nostra responsabilità spiegare, farci capire meglio.


PAOLO NASO (Giornalista, direttore del mensile “Confronti” e docente di scienza politica all'Università La Sapienza di Roma):
Io sono figlio di un pastore protestante, sono cresciuto in una famiglia protestante, quando ero giovane sono stato segretario della federazione dei giovani evangelici in Italia, ho diretto per alcuni anni una rubrica religiosa su Rai due, Protestantesimo, insegno in una Pontificia Università, insomma è chiaro, sono un credente convinto, praticante. Chi di voi ama i Simpson sappia che il mio personaggio è Ned Flanders, religioso e un po’ fanatico ma che se avete bisogno della chiave del 12 per riparare un tubo lui è l’unico che ve la presta. E con questo spirito ho guardato il film, che ho vissuto come un’intelligente provocazione e che mi sembra ci dica tre o quattro cose. La prima: ci dice che esiste una dogmatica che va sempre spiegata. Queste frasi fatte, la Trinità e così via, è evidente che appaiono come le invenzioni di qualcuno che ha fumato un po’ troppo. Il problema è che dietro ci deve essere uno studio, una conoscenza, una pa
rtecipazione, e invece le comunità di fede non dicono queste cose, le vendono come verità chiuse, preconcette… chi è dentro e chi è fuori. Quindi nel film c’è una denuncia del dogmatismo che mi sembra assolutamente salutare. Un secondo elemento che a me è piaciuto molto è quello del pluralismo religioso, nel senso che qui trovate credenti di ogni colore e non a caso notate che i casi di studio più interessanti sono negli Stati Uniti e in Olanda, guarda caso due paesi che vivono un pluralismo religioso che a noi italiani, e questo forse spiega alcune assenze, è del tutto sconosciuto. Per cui in Italia il confronto è tra “i cattolici” e “i laici”, fino a ieri notte (fa riferimento al caso Englaro, ndr). E i diversamente credenti, e i non credenti dove stanno? E quei credenti che si dicono laici come me dove stanno? Nel film noi vediamo invece un pluralismo compiuto, articolato, tipico del mondo anglosassone, che mi sembra una bella rappresentazione della ricchezza che le religioni possono esprimere nel confronto pubblico. Il terzo elemento del film, il più importante, è la denuncia, non del fondamentalismo, ma dei fondamentalismi, nell’assunto che lo scontro non è tra le religioni, io sono qui al mio tavolo con amici che conosco da anni e non abbiamo mai litigato per la religione, casomai abbiamo discusso vivacemente di politica. Perché il confronto non é tra religioni, ma nelle religioni. E’ all’interno della mia comunità di fede che io colgo uno scontro tra una visione ottusa, dogmatica, esclusiva, fondamentalista, e un’altra visione che invece è dialogica, moderata. Questa mi sembra la lezione più importante del film. Da questo punto di vista però non capisco molto bene il senso dell’omelia finale del film, che vuole per forza far quadrare il cerchio e rischia di proporre un sistema chiuso, mentre la ricchezza maggiore di questa provocazione è di suscitare dubbi. E quando questi dubbi sono posti in un ambiente ostile come quello italiano, mi sembra che siano dubbi particolarmente benefici.


RAFFAELE CARCANO (Segretario UAAR, Unione Atei e Agnostici Razionalisti, scrittore):
A mio modo di vedere è un film che ha un doppio livello di lettura. C’è il livello della critica semplice, divertente, al fondamentalismo religioso. E direi che nel film talvolta si tratta ancora più che di fondamentalismo, di folklore religioso, cioè è stato fatto un lavoro di scouting per andare a scovare certi personaggi di cui non supponevo neanche l’esistenza. Questa è la parte più semplice, in cui il protagonista di fatto si limita a fare da spalla al personaggio presente, tant’è che quando invece si imbatte in personaggi più qualificati come per esempio Padre Foster (Padre Reginal Foster, studioso del Vaticano e principale Latinista del Papa, ndr) o il Direttore della Specola Vaticana, la resa umoristica del film scende un po’, perché più difficile mettere in mostra il lato più negativo delle religioni. Quello che invece è il secondo livello del film per me è assolutamente degno di attenzione. Nell’arco di tutto il film troviamo dei temi che sono all’ordine del giorno, attualissimi. Pensiamo alla possibilità di poter criticare le religioni. È un tema su cui proprio in Italia si hanno delle difficoltà incredibili. Per esempio laddove ci chiamano per partecipare a un dibattito, comunemente si pretende di far intervenire un credente, perché ci sia la possibilità di replica. Possibilità che nel caso contrario non c’è. Quante volte assistiamo a programmi di informazione in cui manca la presenza non religiosa con cui confrontarsi? Questo è un tema su cui si dilunga molto sotto traccia, come quando per esempio il protagonista si rivolge al rapper islamico e lo accusa di utilizzare la libertà d'espressione di cui si gode in una società laica, per usufruirne, quando poi a parti invertite lui non lascerebbe altrettanta libertà d’espressione a chi dissente dalle sue posizioni. Questo è un tema all’ordine del giorno. Proprio nelle scorse settimane, quando abbiamo avviato, anche se non è ancora partita, la campagna degli “ateo-bus”, in cui la possibilità di dire che Dio non esiste è stata vista come un qualcosa che avrebbe potuto offendere alcuni credenti. Noi abbiamo chiesto di pubblicizzare, attraverso una campagna di affissioni a pagamento su gli autobus di Genova, il fatto che ci siano persone che pensano che Dio non esista, con lo slogan: “La cattiva notizia è che Dio non esiste; la buona è che non ne hai bisogno”. Ebbene, si è inalberata la Curia di Genova, impedendo di fatto l’avvio della campagna, mentre a Roma sono già stati affissi dei manifesti dove potete leggere “Dio c’è, e anche gli atei lo sanno”. Noi però non ci siamo mica offesi, evidentemente siamo molto meno permalosi. Però il problema è: c’è parità? E il film torna più volte su questo tema sul quale, in società sempre più secolarizzate come le nostre, fatalmente si finisce per andare a parare. Il problema è che spesso chi non crede, o chi fa parte di religioni che non siano quella predominante, non ha gli spazi di libertà di parola all’interno di una società come quella italiana, perché si è stabilito che debba essere improntata secondo una certa morale. Un altro tema importante con cui si conclude il film, e qui non sono d’accordo con il Professor Naso, è l’invito ai moderati di tutte le confessioni religiose, a esporsi maggiormente. Credo che sia interessante, trattandosi di un film che come linguaggio è orientato a un pubblico giovane: proprio perché le grandi scelte fondamentali dell’esistenza si compiono spesso nell’adolescenza, sono curioso di vedere quale impatto possa avere questo film sui giovani.

KHALID CHAOUKI: E’ importante riconoscere la funzione delle persone che vogliono il dialogo, che fanno uno sforzo, un vero e proprio Jahad della comprensione, per cercare di costruire un terreno per un linguaggio condiviso. I musulmani spesso reagiscono male; in passato hanno reagito male alle vignette e potrebbero reagire male anche a scene di questo film, ma bisogna capire il contesto, cioè la realtà di una minoranza, quella musulmana, che vive spesso nelle periferie, che a volte come nel caso dell’Italia non ha neanche un riconoscimento istituzionale e che, al pari dell’amico ateo, non vede riconosciuti dei propri spazi pubblici, di comunicazione se non di culto. Questo è un tema fondamentale di cui ahimè si parla poco. E in un’Italia che fa fatica a riconoscere il pluralismo religioso, la minoranza musulmana che è la seconda minoranza religiosa italiana, ha difficoltà a trovare diritto di cittadinanza. In questo contesto in cui la società europea non ci accetta e ci offende e in cui manca lo spazio per poter replicare, le frange più estreme hanno buon gioco, nel senso che diventano strumenti di aggregazione e di protesta. Questo non giustifica le azioni di violenza, io e tanti giovani musulmani facciamo un enorme sforzo all’interno della nostra comunità per cercare di far passare un nuovo modo di approcciarsi anche all’arte, alla cultura, alla creatività, però bisogna anche capire che la nostr
a è una realtà che oggi vive una situazione geopolitica particolare, che soprattutto dopo l’11 settembre vede un’opinione pubblica sottoposta a una pressione mediatica e a volte a delle provocazioni che vanno oltre la creatività, si pensi al film Fitna (cortometraggio del 2008 del parlamentare olandese Geert Wilders, intervistato in Religiolus, che pretende di dimostrare che la cultura islamica sia intrinsecamente votata all’odio e alla violenza verso le altre culture religiose, ndr) e altri esempi che negano all’Islam il diritto di essere una religione di pace, si nega al profeta Muhammad la possibilità di rappresentare un modello di convivenza, si nega che il Corano sia un libro di pace. A questo gioco noi non ci stiamo e anche noi che veniamo definiti “moderati” diciamo: stiamo attenti, perché in questo modo si fa il gioco degli estremisti, presentando l’altra faccia della stessa medaglia. Io invece vorrei che si investisse di più in quella che è la conoscenza. Sarebbe bello unirsi agli amici atei e investire tutti insieme in una campagna pubblicitaria, assieme a ebrei e cristiani, buddisti e tanti altri e insieme lavorare per una società diversa.

VICTOR MAGIAR: Un fatto storico: quando è stato fondato lo stato di Israele e si doveva scrivere la costituzione, Ben Gurion, il cosiddetto padre della patria, suggerì di aspettare un po’ di tempo prima di vararla, perché se si fosse fatta una costituzione veramente laica come era lo stato di Israele alla sua nascita, improntato su vie democratiche e progressiste, poi si sarebbe dovuto litigare con i rabbini e con i religiosi fanatici. Gurion suggerì di aspettare venti o trent’anni, immaginando che questi problemi non ci sarebbero stati più. Invece è avvenuto il contrario. Penso che gli uomini hanno modo di organizzare il loro pensiero, filosofico, politico, religioso, e tendono a darsi delle risposte che spesso pretendono di spiegare tutto. Anche chi non ha religione, e alla fine anche l’autore del film ci ha fatto il suo predicozzo finale offrendoci una formula. L’umanità ha passato diverse stagioni. Ci sono stagioni in cui gli uomini riescono a ragionare e stagioni in cui non ragionano. A me hanno insegnato che l’ebraismo è fondato su tre parole: “Perché”, “ma” e “se”, anche se non tutti lo insegnano e propongono insegnamenti più ottusi. Senza “se” e senza “ma” non c’è il pensiero e tutta la Bibbia e tutti gli insegnamenti ebraici dovrebbero essere letti con il “se” e con il “ma”. Non c’è una parola che non possa essere smontata, spostata, criticata. Se l’ebraismo è questo allora è un’ottima dottrina per raccontare le cose della vita, ragionare e crescere. Se l’ebraismo o qualsiasi altra dottrina perde i “se” e i “ma” diventa una dottrina di fanatismo. c’è una parola che non sopporto più che è la parola “moderati”. Moderato non significa niente. Io non amo i moderatamente onesti, i moderatamente intelligenti… il moderatismo è una categoria della politica che è entrata a definire anche altre discipline come quella religiosa. Lo scontro invece credo sia tra chi ha un approccio ragionevole e chi un approccio fanatico. […] In una fase di crisi globale, in assenza di altri sistemi di pensiero che danno risposte, le persone si rifugiano cercando certezze, e le più antiche sono quelle religiose. Ma se le religioni diventano un rifugio, un bunker, non si potrà costruire niente di buono. Le religioni, come la filosofia e il pensiero umano dovrebbe essere sempre critico e aperto.

PAOLO NASO: Tutti ci ricordiamo la battuta di Woody Allen “Marx è morto, Dio è morto, e neanche io mi sento tanto bene”… beh non fa più ridere! Perché Marx senz’altro è morto (e qui Carcano scuote la testa e sorride come a dire “io non ne sarei così sicuro” ndr), noi continuiamo a stare abbastanza male, ma è evidente che Dio é vivissimo, sennò film come questi non si farebbero. Cioè c’è stato un momento nell’età della modernità, della prima globalizzazione, nella quale l’orizzonte religioso che sembrava ormai tramontato, è tornato invece ad essere attualissimo. Certo, c’è stata la caduta delle ideologie, vero, ma io vorrei aggiungere un’altra ipotesi, è cioè che mentre si rideva sulla battuta di Woody Allen, in realtà si liquidava con troppa leggerezza l’esperienza della spiritualità e della fede. Era una forzatura, una secolarizzazione superficiale. Oggi si parla di società post-secolarizzata, perché ci si rende conto che negli anni ’70 e ’80, quando si parlava di secolarizzazione, si dimenticavano le risposte, le grandi risposte agli interrogativi dell’umanità, ma al tempo stesso si dimenticava l’importanza delle domande. Senza queste domande fondamentali, l’umanità antropologicamente non vive, è ferma. Proprio perché la secolarizzazione è stata troppo enfatizzata a scapito di esperienze sotterranee di religiosità comunitaria. Ecco che poi queste aggregazioni religiose sono esplose in assenza di contesti ideologici forti e hanno acquisito uno spazio eccessivo, dominante. Quindi anziché essere delle proposte di fede, sono diventate delle ideologie di fede, delle bandiere ideologiche totalitarie, come abbiamo visto anche in diversi momenti del film, e questa è la patologia delle religioni. Qualcuno dice: colpa della politica, ma io, come credente penso che il problema sia più complesso. Certo è ovvio che quando la politica individua un segmento forte e compatto, lo cavalca. George W. Bush ha vinto due fantastiche elezioni pur essendo il peggiore dei candidati, proprio perché ha individuato un segmento politico e l’ha saputo egregiamente utilizzare per i suoi scopi. Tuttavia anche nei paesi che hanno scelto la via del fondamentalismo, i grandi temi politici sono rimasti inevasi. Da questo punto di vista credo che il tema bello di questo film, più che la critica alle religioni, sia la critica a questa occupazione delle religioni di uno spazio pubblico che davvero diventa dannosa per la vita civile.

RAFFAELE CARCANO: L’inversione a mio modo di vedere c’è stata proprio trent’anni fa, quando nel breve giro di pochi mesi c’è stata l’elezione prima di Giovanni Paolo II, un papa di sicuro più tradizionalista dei suoi predecessori, c’è stata la rivoluzione islamica, c’è stata l’elezione di Reagan a presidente degli Stati Uniti. In questo senso il rapporto tra religione e politica non è nulla di nuovo: sfido l’uditorio a trovare una nazione su questo pianeta in cui la concezione del mondo predominante, sia essa religiosa o no, sia stata scelta dalla popolazione e non sia stata invece imposta da una guerra o dalla decisione di un sovrano. Allora io vedo che quello che vediamo denunciato nel film è la risposta data dalle religioni a tre problemi fondamentali, la secolarizzazione dilagante, il pluralismo religioso che una volta non c’era, e la crescita esponenziale degli spazi di libertà d’espressione perché se è vero che Dio non è morto e per questo fanno questo film, è anche vero che trent’ann
i, cinquant’anni fa questo film non si sarebbe potuto fare. Questo significa che il mondo è cambiato profondamente e tutte le religioni hanno potuto rispondere in due modi: o serrare le fila ritornando ai fondamenti della propria religione, oppure confrontarsi argomentando con le sfide che vengono poste loro. La risposta fondamentalista è una risposta difensiva, l’agitarsi del pesce catturato nella rete. Alcuni leader religiosi sperano che qualcuno verrà ad aprire quella rete, e quel qualcuno è il potere politico, e di questo abbiamo degli ottimi esempi in casa nostra. La politica ha ereditato il potere dalla religione, per cui pensano che la politica glielo possa restituire in una situazione di difficoltà come questa.

ANTONIO VALENZI (Giornalista, dal pubblico): Il film secondo me non nega Dio, ma nega tutto il resto, cioè l’amministrazione del culto, mandando un segnale, e cioè che le tre grandi fedi monoteistiche sono superate. L’informazione circola, siamo nel 2000, anche se la religione torna prepotentemente al centro del dibattito…[…] si capisce che c’è una contaminazione continua nei cicli storici, il film non dice nulla di nuovo quando spiega che la religione ha mutuato i suoi archetipi da fedi religiose preesistenti. Allora, non c’è bisogno di fare un salto in avanti per quanto riguarda il superamento degli steccati e uno indietro per quanto riguarda la politica? Io penso che il merito del film, aldilà delle molte approssimazioni che si concede, sia uno: è una boccata d’aria fresca.

PAOLO NASO: Sono d’accordo. E aggiungo che alcune tradizioni religiose hanno inteso mettere da parte i clerici, valorizzando il principio del rapporto individuale con il Signore. Quindi pratiche come la confessione, il ruolo di mediazione sacerdotale, sono saltate. Teniamo presente che ci sono religioni che maggiormente enfatizzano questo ruolo di apparato che deve mediare il rapporto tra il credente e Dio, e ci sono altre tradizioni teologiche che hanno relativizzato. Un protestante del ‘600 non avrebbe mai accettato una fraternità teologica come quella che io vivo da decenni con i miei amici ebrei, musulmani, o con i miei colleghi e studenti non credenti, perché credo che l’ascolto sia una cifra fondamentale della dimensione della fede. E questo non lo dico soltanto pro domo mea: il Concilio Vaticano II, dichiarazione Nostra aetate (dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, ndr), 1965, coglie “il raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini” e che c’è anche nelle altre religioni religiose. Ma ci rendiamo conto della potenza di questa piccola frase che appartiene, eccezion fatta per qualche Lefevriano, al magistero della Chiesa Cattolica? Certo, non c’è la contaminazione, ma c’è l’idea che, anche per il magistero cattolico, il mio amico Khalid Chaouki, qualche speranza di salvezza ce l’ha… (risate dei presenti, ndr)

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