Abbiamo incontrato François Ozon nel bellissimo scenario dell’ambasciata di Francia (a Piazza Farnese a Roma). Un bel giardino rilassante, sole primaverile, due chiacchiere coi giornalisti italiani. François Ozon, si trovava infatti in questi giorni a Roma per presentare il suo ultimo film Ricky – Una storia d’amore e libertà in uscita da ieri in sala (40 copie), distribuito dall’eroica Teodora Film di Cesare Petrillo e Vieri Razzini.
Qual è il limite nel film tra realismo e immaginario?
E’ strano e un po’ bizzarro che ogni qualvolta si parla di un'ambientazione proletaria si parli subito di realismo. Volevo mostrare delle vite difficili che vengono sconvolte dall’arrivo inatteso di un bebè e volevo far vedere come le loro vite vengono trasformate da questo evento inatteso.
Questo film può essere considerato una favola: anche nella tradizione dei fratelli Grimm, per esempio si parte da un contesto ordinario, realistico per rendere più credibile l’elemento magico che subentra successivamente. Voglio sapere se nello strutturare il racconto ha pensato a qualcosa del genere.
Anche nelle favole dei fratelli Grimm si presentano problematiche simili. Troviamo spesso genitori senza soldi che non possono sfamare i figli e che ad un certo punto decidono di portarli nella foresta per abbandonarli, ed è a questo punto che irrompe l’elemento magico che porta alla trasformazione in favola. Scrivendo questo film ho ragionato seguendo principi simili.
E’ una famiglia in difficoltà con una madre senza una figura maschile accanto e una bambina che trova difficoltà a trovare un ruolo nel nucleo familiare e l’uomo che poi arriva avrà lo stesso problema, forse è perché la donna non è più abituata ad un rapporto di coppia, che tende ad escluderlo. L’arrivo di questo bambino straordinario porta ad un cambiamento generale dei personaggi che imparano a ridefinire il proprio ruolo. Ho letto La psicanalisi delle favole di Bettelheim da ragazzo e mi è servita molto negli anni a venire…
Nonostante un bambino con le ali sia un archetipo molto comune, pensiamo a Eros, agli angeli, ho trovato questo bambino molto inquietante. Qualcuno le ha già detto una cosa simile e cosa ne pensa?
La nascita di un bambino non è sempre e soltanto un avvenimento che porta felicità, può portare con sé anche un lato mostruoso come si vede nel film e nel racconto breve al quale è ispirato (ndr: Moth di Rose Tremain). Lì compariva come un angelo, ma scrivendo la sceneggiatura abbiamo pensato di iniziare con Ricky come fosse un brutto anattrocolo. Ricky infatti, viene presentato con delle ali disgustose, delle alette di pollo, perde continuamente sangue, ha delle escrescenze. Perciò non ha proprio niente di bello. Inoltre ho fatto vedere come una madre veda sempre il proprio figlio come il più bello di tutti, nonostante abbia un aspetto disgustoso. Mi piaceva anche dare l’idea di come con gli occhi dell’amore le cose si vedano in maniera diversa.
Il rapporto tra padre e figlio sembra qualcosa di soprannaturale nel film. Lei l’ha tracciato con grandissima sensibilità: ha figli?
Per il momento non ho figli e non so se ne avrò mai. Ho già fatto tanti film e molti dicono che per un regista i propri film sono i suoi figli. La cosa che mi interessava di più era mostrare le difficoltà che hanno i padri a trovare il loro posto all’interno del nucleo familiare. L’attaccamento tra madre e figlio nel mio film è quasi simbiotico e Paco ha difficoltà ad inserirsi. Si vede quanto è morboso il rapporto quando lei arriva ad accusare Paco di aver procurato al bambino quei lividi che porta sulla schiena mentre sono i segni delle ali che stanno per spuntare.
Pare che anche il rapporto materno non sia un rapporto equilibrato e che questa donna non sappia mantenere l’armonia fra i componenti della famiglia.
Io credo che la nostra società idealizzi un po’ troppo la maternità. Volevo mostrare nel film che avere un figlio per una donna comporta delle difficoltà. Una madre deve accettare tante cose: il corpo e la sessualità che cambiano, un nuovo arrivo in famiglia. Deve inoltre imparare a lasciare libero il proprio figlio. Volevo mostrare tutte le emozioni sia positive che negative che circondano un evento così importante come la maternità e parlare delle difficoltà dell’istinto materno a lasciarsi andare ad un rapporto libero con il mondo esterno. Anche il mio ultimo film Refuge mostra come la maternità sia un evento molto bello ma anche molto difficile.
Il modo in cui l’elemento fantastico viene introdotto nella storia l’ho trovato molto vicino al romanzo “Vertigo” di Paul Aster con cui ha in comune l’elemento del volo. L’ha letto o ne è stato influenzato?
Non ho letto questo testo ma il tema del volo è universale ed è facile incorrere in esso.
Il racconto da cui è tratto il film è molto più cupo di come l’ha poi realizzato. Anche il personaggio maschile è molto peggiore di come è stato tracciato nel film. Perchè ha scelto di ammorbidire scelte caratteriali riguardo ai personaggi?
Sicuramente il racconto era molto triste e corrispondeva alla mia visione delle cose: l’elemento fantastico deve per portare felicità all’interno della coppia. In effetti la prima cosa che colpisce quando si legge il racconto è l’idea del bambino che vola. Quando ho scritto la sceneggiatura ho voluto invece concentrarmi totalmente sul tema della famiglia che è un tema a me caro, che ho trattato sempre nei film precedenti. Con questo film ho voluto mostrare che la famiglia può anche servire a qualcosa. E’ un male necessario che ha dei lati positivi.
Come ha impostato il lavoro con gli attori e soprattutto come è riuscito a lavorare con un bambino così piccolo?
Beh… durante il film è anche cresciuto…(ride). Abbiamo dovuto aspettare alcuni mesi per girare le ultime scena, finché non camminava. Con questo film ho imparato a fare il casting dei bambini e ho capito che è importante scegliere bene la madre del bambino. Nello scegliere i bambini quando ne vedevo uno che mi piaceva, lo prendevo in braccio e subito vedevo la reazione preoccupata delle madri che sicuramente non mi avrebbero permesso di girare alcune scene più audaci con i loro figli. La fortuna è stata che la mamma di Arthur fa la hostess e quindi non può aver paura di un bambino che vola. La vera star sul set è stato lui ed il piano di lavorazione del film è stato adattato per assecondare le sue esigenze. La mamma ci aveva detto che per esempio quando mangiava e dormiva nel pomeriggio, dopo le quattro diventava molto attivo ed è stato in quei momenti che abbiamo deciso di girare quelle scene in cui agitava le gambe così energicamente. Oppure che doveva mangiare alla tale ora altrimenti avrebbe urlato come un’aquila. Ritardavamo con il biberon così da girare le scene di pianto. Lui era felicissimo perché era al centro delle attenzioni di tutti, gli altri attori invece erano irritati perché dovevano sempre aspettare che lui fosse pronto.
L
'intervento dei media nel racconto è fondamentale. Sembra che per molte persone siano l’unico strumento per cambiare condizione sociale ed economica. Credo che il modo in cui li ha rappresentati dica molto anche sui nostri talk show e dell’influenza massiccia che hanno sul pubblico oggi.
Quando ho iniziato a scrivere Ricky avevo una grande voglia di denunciare i mass media, ma ho capito ben presto che questo non era l’interesse principale del film. Il ruolo della stampa all’interno del film era di rappresentare il mondo esterno.
La donna non vuole condividere il bambino con nessuno, se lo vuole tenere sempre dentro casa come se fosse ancora nel suo ventre, ma ad un certo punto è obbligata a cambiare idea, ad uscire ed è in questo momento che i media rappresentano il mondo esterno e di conseguenza la minaccia. Comunque non volevo troppo insistere con questo clichè che i mass media siano solo un pericolo. Molti psicanalisti sostengono giustamente che queste trasmissioni per certe persone abbiano un effetto terapeutico perché parlano delle proprie cose per liberarsene. Per la famiglia di Katie, per il contesto in cui vivono, raccontare la storia ai giornalisti potrebbe essere l’unico modo per cambiare la situazione, facendosi pagare e garantire così un avvenire diverso al bambino, affinché ad esempio possa studiare o fare altre cose che gli sarebbero altrimenti negate. Insomma, volevo anche mostrare che demonizzare totalmente questi reality show a volte pare ingiustificato.
In questi giorni a Roma si è tenuta una retrospettiva su di Lei. A quale dei suoi precedenti film legherebbe Ricky?
Credo di poter dire che ci siano legami forti tra questo film e il personaggio di Sotto la sabbia: infatti in questo film il personaggio di Charlotte Rampling immagina che suo marito sia ancora là mentre lui è morto. Si comporta in questo modo per accettare la realtà. Nel caso di Ricky si potrebbe dire che i genitori abbiano bisogno di immaginare che il loro figlio sia davvero speciale per poter accettare la quotidianità difficile nella quale sono inseriti. Ma non voglio andare oltre perché come dicevo non voglio dare risposte, ma preferisco lasciare liberi gli spettatori d'interpretare. Forse posso solo dire che in tutti i miei film torna sempre il tema dell’immaginazione degli uomini utilizzata per poter accettare la realtà. E posso aggiungere che il cinema serve questo: accettare una realtà che non ci piace e immaginarne un’altra parallela.
Ci dica qualcosa sul suo nuovo film…
Il film si chiama Le refuge. E’stato al festival di Toronto e a quello di San Sebastian, uscirà in Francia il gennaio del 2010 e in Italia a marzo.