[***] – Una donna in panne, un uomo della provvidenza, un circo in cui poter mettere in scena i meccanismi della rappresentazione: Rivette, con 36 vues du Pic Saint Loup (titolo originale ben più significativo di quello sbarazzino scelto dai distributori italiani, Questione di punti di vista), continua il suo raffinato discorso sul linguaggio cinematografico quale mezzo ideale di rivelazione del reale. E lo fa nel suo stile elegante e rigoroso, lo stesso che spinse Truffaut a dichiarare, a proposito della banda dei fanatici dei “Cahiers du Cinéma”, come Rivette costituisse “l’unità di misura dei nostri tentativi”.
In Rivette, la separazione tra esistenza/immaginazione e vita/teatro (qui rappresentato dal circo), poli abituali del suo ragionare, si illumina dentro il gioco del mascheramento e dello smascheramento, del cambiamento di prospettiva che libera il protagonista rivettiano dall’ossessione, qui offerto dal personaggio interpretato da Castellitto, restituendo bagliori di autentica realtà. In questo senso, la sequenza diurna tra i due protagonisti immersi nella campagna provenzale pregna di una imminente pioggia chiarificante, si può paragonare a quella notturna di Paris nous appartient in cui la realtà è rischiarata dai fari delle luci dei bateaux-mouches che passano sulla Senna. In cui, in altri termini, il cinema riesce a piegare la sua messa in scena alle possibilità fenomeniche della realtà all’interno di una relazione costante che produce costruzione di senso. Tutti i personaggi di Rivette sono sempre in costruzione. Il film stesso è in evidente costruzione, così da appartenere un po’ anche allo spettatore. Dove la libertà della contraddizione è preferita alla pretesa della verità. Attraverso il ritorno al circo e l’incontro con Vittorio, più archetipo che persona reale, una specie di principio ordinatore alter-ego del regista, la funambola Kate, un’intensa Jane Birkin, riuscirà a ridiscendere nell’arena circense, a rivivere il suo passato luttuoso ed erroneamente colpevole e a liberarsene. Come dovrebbe sempre essere l’arte per gli uomini, sembrerebbe suggerire il vecchio Jacques. Questioni di punti di vista è esemplare nel mettere in scena l’agire estemporaneo e lieve del caso con la gravità senza uscita di una fissazione. Senza dimenticare che il “peso” può spostarsi repentinamente da un personaggio all’altro, e che Vittorio nella rappresentazione sul tappeto rosso per poco non ci lasciava la maschera.
Visto a Venezia il bel film di Rivette (condivido quanto scrive Alessia). Vederlo intimidito, di pochissime parole per motivi di salute mi ha fatto tenerezza: si sta spegnendo un grande maestro.
Mi è venuta voglia di rileggere un’intervista che avevo consultato per la mia tesi, contenuta nel libro CINEASTI DEL NOSTRO TEMPO a cura del CSC (edito da Castoro). Rivette dichiarava che avrebbe avuto voglia di fare un film “sull’approccio dei corpi, gli sguardi sui corpi, ma forse non lo farò mai”. Era il 1990. Con questo film secondo me ci riesce. Anche se come sempre in scena c’è tutto il corpo dell’attore. Infatti dichiara: “Io non ho voglia di frammentarlo [il corpo dell’attore]. Ho sempre voglia di vedere il corpo nella sua interezza, e subito dopo quello della persona in rapporto, nell’ambiente, di fronte alle persone in rapporto alle quali il corpo agisce, reagisce, muove, subisce… Credo di non avere il temperamento, il gusto o il talento per fare un cinema di montaggio, il mio è un cinema che, al contrario, funziona sulla continuità degli avvenimenti, presi più o meno nella loro globalità”. Basta pensare alla scena iniziale (piano sequenza? Non giurerei che lo sia ma lo si percepisce così e forse lo è… dovrei verificarlo) di questo ultimo film: un momento di puro cinema, di racconto per immagini. L’incontro (muto) tra Katie ferma su una strada di campagna con la macchina in panne e Vittorio che passa sfrecciante su una macchina sportiva, la supera, ritorna indietro, si ferma e senza dire una parola sistema la macchina e riparte. C’è tutto in questi primi minuti: il mondo dei due personaggi e quello che sarà sviluppato nel seguito del racconto…
A me sinceramente è sembrato un fim crepuscolare. C’era materia per un mediometraggio.