Qualche volta nella vita ci vuole un incontro fatale per coniugare capacità e volontà, talento ed espressione. Un caso del genere può perfino salvare la vita a qualcuno…
Chris Kraus nel suo dramma Quattro Minuti (BRD 2007) racconta la storia di due donne incredibilmente diverse che però hanno qualcosa in comune. Non è né l’altruismo né la simpatia, ma il rapporto esistenziale con la musica che fa incontrare nel carcere femminile tedesco di Luckau l’ottantenne ex-pianista Traude Krüger (Monika Bleibtreu) e la ragazza Jenny von Loeben (Hannah Herzsprung). Traude dà lezioni di piano nella prigione già da sessant’anni, ma nella sua vita non ha mai avuto un’allieva come Jenny: chiusa, irresponsabile, distruttiva e in passato una bambina prodigio che s’esibiva nelle sale concerto. È difficile comprendere come questa ragazza dotata di una sensibilità musicale straordinaria da adolescente abbia brutalmente ucciso un uomo. Il rapporto tra la giovane testa-calda e la signora anziana dalla rigidità prussiana è già quasi tutto racchiuso nel loro primo incontro, in cui Jenny durante un eccesso di violenza ferisce crudelmente un custode della prigione e poi si sfoga sul pianoforte battendo le tastiere in un modo da mozzare il fiato. Traude che non solo detesta la violenza, ma anche la “musica negra”, la musica preferita da Jenny, lascia il posto con l’intenzione di non tornare più. In questo primo incontro, che è la scena più ambigua del film sul piano emotivo, sembra che la violenza e la bravura, l’orrore e la bellezza coesistano stranamente. Questa mescolanza viene riconosciuta quasi intuitivamente dalla signora Krüger abituata a vivere la musica al confine tra la vita e la morte perché in passato, durante il periodo nazionalsocialista, ha vissuto passioni e subito gravi lutti. L’esperienza di questa “violenza fisica e musicale” la convince che Jenny abbia bisogno di un insegnamento: non come persona, ma come artista che deve fare “il suo dovere”, ossia deve sviluppare il suo dono e farlo sbocciare. Quindi, nonostante i tanti ostacoli e scrupoli da parte della direzione della prigione, Jenny può iscriversi a un noto concorso di pianoforte. La preparazione al concorso per l’allieva e la maestra diventa un duello di vita e d’amore che penetra nel dolore più profondo delle due donne. Nel finale furioso Jenny ha a disposizione quattro minuti per fare qualcosa che nessuno, neanche la sua maestra, si è mai aspettato da lei…
La musica di Quattro Minuti è la chiave espressiva con cui si riesce a percepire al meglio non solo il carattere di queste donne quasi opposte, ma anche la complessa relazione tra allieva e maestra che inizia e finisce proprio con un momento di una violenza espressiva totale. La musica nel film rispecchia tutti i passaggi e tutte le sfumature di questo rapporto creativo ed intenso: comincia con il potenziale musicale selvatico e non-gestito della testa-calda Jenny, attraversa la sua (auto) disciplina professionale e personale durante le lezioni di pianoforte, fino ad arrivare all’emancipazione dalla sua insegnante. Non è stato facile per i produttori del film trovare una produzione musicale che coniugasse in modo convincente le diverse influenze musicali che fanno parte del personaggio di Jenny: “Volevamo qualcosa di selvaggio ed eccessivo, qualcosa di grande e brutale, qualcosa di commovente e originale che rappresentasse perfettamente il carattere della nostra protagonista Jenny e il punto mostruoso del showdown finale” affermano le produttrici Meike e Alexandra Kordes (Kordes & Kordes Production). La musica della giovane compositrice Annette Focks (musica per Malunde, L’ultimo viaggio di Maria) sintetizza coraggiosamente stili diversi senza eliminare la forza dei singoli elementi ed esprime esattamente la capacità della giovane protagonista Jenny d’integrare le emozioni ambigue: nel finale fulminante del film l’aggressione di Jenny si trasforma in un’ “arte violenta” che incorpora sia l’istruzione che ha appreso che la sua personale espressione originale e individuale. Bisogna però dire che nonostante la messa in scena della musica, il film, concentrandosi per la maggior parte sul rapporto tra Jenny e Traude e la loro alleanza per la libertà d’espressione dentro il carcere, ha qualche difetto. L’incontro del mondo tra la musica classica di Traude che appartiene alla sua formazione autobiografica (Bach, Beethoven, Schumann, poi anche la musica ebraica Klezmer) e la “musica nera” di Jenny (Hip hop, rock, suoni nordafricani) rappresenta anche la collisione tra due generazioni e due personaggi traumatizzati: da dove viene tutta questa rabbia e distruttività da parte di Jenny? Che c’entra il passato di Traude con la sua decisione di portare la musica in prigione? Questa dimensione storica e autobiografica non è abbastanza risolta: scarsi e stilizzati sono i riferimenti al passato delle due protagoniste (Jenny, figlia e vittima di un padre ambizioso e violento; Traude, infermiera con sensi di colpa e con un cuore infranto per l’amante che non ha potuto salvare dalle SS) che avrebbero richiesto forse maggiori spiegazioni. La mancanza di immagini in qualche modo non rende autentiche le motivazioni del loro comportamento. La conseguenza è che il comportamento di Jenny, per esempio, arriva quasi a essere giustificato grazie alla vaghezza del suo passato e al suo talento meraviglioso. La sua violenza, vera e distruttiva (mai visto che una ragazza quasi decapiti un uomo con un pianoforte o picchi un’anziana direttamente in faccia) non è messa in nessuna relazione con la violenza fascista che appare nei flashback del passato di Traude. Così Quattro Minuti non osserva le dinamiche della furia, ma si limita a mettere in scena gli eccessi di un talento che fa “musica violenta”.
è un film importante, fa capire quante persone pur facendo delle scelte di vita sbagliate, si salvano per volontà di altre persone particolarmente sensibili .