Inevitabile il terzo episodio dei pirati della Disney… grande successo di pubblico, per ora in USA ed Europa, prossimamente nei paesi Asiatici. Insomma, successo planetario.
Il film è lunghissimo (quasi tre ore) e questo potrebbe essere un limite importante – chi scrive proprio non ama le pellicole troppo prolisse – ma in un film complesso e ricco come questo, dove le ambientazioni si susseguono incalzanti e sempre diverse e dove veramente per contenerle tutte non bastano i confini del mondo, la durata diviene un valore importante. Il divertente delirio di Jack Sparrow, solo in un bianco deserto sulla sua nave bloccata tra le sabbie senza vento, deve necessariamente trovare spazio in un mondo fantastico per uscire dal quale dovrà capovolgere la nave e navigare all’alba a testa in giù. Questa è solo una delle trovate narrative del film. C’è da dire che tutte sono ben legate con il senso della storia ed anche la sceneggiatura, con i suoi siparietti da commedia, è ben scritta e asseconda questo avvincente pellegrinaggio tra mari e luoghi fantastici. A proposito di siparietti, ma in questo caso parlerei proprio di un vero e proprio cameo, nel pieno di una divertente riunione tra i nove pirati della Fratellanza appare, come custode del libro delle “regole” di detta fratellanza, Keith Richards in qualità di padre di Jack (e credo che per apparire un pirata logoro e sfregiato dagli anni e dalle “avventure” a lui non sia occorso molto lavoro di trucco), il quale, dopo aver ricordato a tutti le originali regole di voto dei pirati in conclave si appoggia tra i barili di rhum, prende una vecchia chitarra sfondata ed accenna un paio di accordi mentre aspetta che i pirati votino.
Ecco, il film sarà pure popolare ed orientato ad un pubblico giovane, ma questa scena ci regala veramente attimi di magia. Infatti, come tutti gli appassionati della serie sanno, Johnny Deep, per caratterizzare il suo personaggio, si è ispirato proprio al tenebroso Keith Richards con il suo passo sbilenco e il volto segnato.Aldilà delle immagini, della storia e dei bei personaggi, c’è proprio poco ed una lettura un minimo “decostruzionista” dell’opera, che provi a forzare il senso della vicenda oltre la superficie, non ci porta da nessuna parte. Quello che c’è riempie solo la superficie dei 168 minuti di pellicola che si digeriscono d’un fiato, come una bella bibita fresca in un afoso pomeriggio.
Ad essere molto attenti, però, un passaggio chiave possiamo trovarlo nelle parole di lord Beckett (uomo della Compagnia delle Indie e nemico giurato di Jack) quando definisce il suo scontro con Sparrow, nel momento in cui si appresta ad ucciderlo, “una questione di affari”, salvo poi ripetere ossessivamente la stessa frase durante la propria drammatica sconfitta sotto i colpi dei cannoni della Perla Nera. Le cannonate per un po’ non sembrano neppure sfiorarlo lasciandolo solo con la sua idea che si tratta solamente di affari (come uno spietato manager che ordina licenziamenti a sangue freddo), ma i pirati non considerano la partita solo affari e lo scontro per loro assume il valore della sopravvivenza (carne e sangue) riempiendo di senso la loro esistenza. Così, forzando lo scontro tra la Compagnia delle Indie (ovvero la prima multinazionale della storia) ed i pirati, anche se solo per un attimo, si parla di due modi diversi di intendere la vita sul pianeta: modi che nel nostro mondo si confrontano/scontrano quotidianamente in relazione allo sfruttamento delle risorse del pianeta stesso.