Nell’era della moderazione, il controllo del potere sulla società si ottiene zittendo, facendo piano, in punta di piedi, la società è protetta dalle cose che potrebbero infastidirla, scuoterla, svegliarla. Siamo un paese vecchio, controllato, soggiogato. Non sono sicura che parlare ancora di omosessualità possa interessare a qualcuno in realtà, ma conviene che passi l’idea di essere un paese retrogrado per esserlo veramente. Scrivevo pochi giorni fa in un commento che provo ad ampliare.
Raccontare l’amore tra donne ha sempre destato interesse e attenzione, dalla letteratura al cinema, ma da un po’ di anni a questa parte assistiamo a uno “strano” fenomeno per cui il tema omossesuale, e più in particolare ultimamente quello saffico sembra vada decisamente di moda e diventi quasi propaganda. E’ lampante, lo si constata dalla massiccia proposta cinematografica mondiale dell’ultimo periodo, dapprima dalla più sfuggente e capillare produzione televisiva delle serie tv, (the L word, The Orange is the new black per citarne qualcuna) per poi arrivare al grande schermo con la più recente operazione di Kechiche, la Vie d’Adele e da lì il via a drammi, drammoni e commediole gender tra cui spiccano in ordine sparso i recentissimi Carol e Freeheld, con investimento notevole di grandi nomi e sontuose produzioni e non ultimo seppur in pasta italiana Io e lei.
Ad una prima lettura ingenua e romantica, la risposta a questa offerta potrebbe ascriversi al fatto che in un panorama sociale di assenza di modelli rappresentativi della differenza, purtroppo e ancor più femminili (come cultura vuole daltronde da sempre, nostro malgrado) questo fenomeno può senz’altro essere interpretato in una chiave positiva, in quanto per la prima volta si raggiungono con un messaggio progressista regioni geografiche e sociali che assai raramente avrebbero potuto essere raggiunte, ma poi in seconda istanza si sente l’esigenza di riflettere sulla motivazione più subdola e sulla qualità dei modelli proposti.
Giochiamo in casa e prendiamo il film della Tognazzi che ho trovato un’operazione fastidiosa finta patinata, nazional-popolare, per niente coraggiosa, in cui la tv, altro che cinema (perché se ci metti la Ferilli è un film per tv e la Buy per quanto intensa da sola non regge un impianto già misero e in più farlocco) fa ingoiare al pubblico medio ancora una volta la pillolina “e vissero felici e contenti”.
L’immagine che mostra il film è fortemente omologata e stereotipata al modello eterosessuale prima, gay maschio poi (già sdoganato e rappresentato a suo tempo), (e qui si svilisce ancora una volta una possibile identità rappresentativa autonoma della donna, in questo caso omossesuale rispetto a una visione pur sempre maschile) : borghese, ricca, con una bella casa, uno status, una professionalità ben definita, in coppia (ovviamente in crisi come tutte le coppie) esigenza che nasce naturalmente dalla società, dal proporre una surroga del modello eterosessuale per rassicurare, legittimare la coppia, (discriminando a sua volta chi si pone al di fuori di questo modello relazionale prestabilito, per scelta o per scarso potere economico).
In quest’ottica non mi stupisce il fatto che recenti sondaggi dimostrino che il soggetto interessante a cui si rivolge l’economia dopo il surclassato gay maschio sia la donna gay che ha un lavoro, nessun vincolo familiare, (pochi o nessun figlio- ma si tiene a bada anche la fecondazione assistita) una buona posizione, guadagna tanto e soprattutto ora, diversamente dal passato, consuma.
Capite quindi che l’ambiguità del messaggio che dovrebbe essere di apertura, di libertà e di giustizia e favorire un diritto attraverso una legge uguale per tutti (ma non perché si è tutti uguali) il messaggio che si insinua potrebbe invece essere: non ce ne frega nulla con chi tu vada a letto e quali siano le tue reali esigenze ma puoi avere il diritto (di esistere, attraverso la rappresentabilità) ed effettivo solo se rispecchi e ti omologhi alle caratteristiche date. E più fuori dai denti, a condizione che tu produca profitto.
Il tentativo quindi mi sembra sia quello di annullare completamente ogni differenza con operazioni finto-lusinghiere e mortificare il dissenso, formare gay-consumatori repliche dello stesso stereotipo, in modo da poter indurre e dedurre i loro bisogni con estrema facilità, per un migliore sfruttamento commerciale.
Vogliamo parlare ancora del romaticismo dei diritti uguali per tutti? Di quanto è fico che si parli di omosessualità e diritti a tutti i livelli della società anche con la vecchietta sul pianerottolo?Io e lei asseconda questa politica scorretta, dove l’essere omossessuale, e ancora una volta la donna, attraverso il suo corpo viene manipolata, abusata, prestando il fianco a una bieca operazione commerciale che approfitta ruffianamente di un tema appunto mondano e ancora ‘caldo’.
Per fortuna c’è l’America che pur con tutte le sue contraddizioni ha sulla questione degli omosessuali e dei diritti molta più esperienza di noi (pur non nascondendo le sue magagne, ricordiamo tutto il marciume dell’orrenda storia dell’Aids spiegata in maniera esaustiva nel dolorossissimo Dallas Buyers Club) ma perlomeno i film americani proposti, pur assecondando la logica neoliberista hanno comunque un respiro più ampio, si sente di essere oltreoceano, in un paese che ha già fatto molta strada e le cui esigenze stilistiche non sono più quelle di rappresentazione di uno status, ma vertono veramente su temi più reali e tangibili, quelle dei diritti di uguaglianza, di giustizia e di valorizzazione della differenza come Freeheld di Peter Sollet, pur essendo un film decisamente sotto tono, poco originale nonostante i grandi nomi di Julianne Moore e Ellen Page (dalla quale per altro siamo riusciti a farci dire, senza nemmeno il Diritto di replica “spero presto nelle unioni civili anche in Italia) e un meno riuscito remake di quell’impegnato e appassionato dramma che era Philadelphia.
Per Carol invece ho un occhio di riguardo, anche perché è fuori contesto rispetto ad un’analisi sociologica attuale ed è un film talmente bello, esteticamente impeccabile, chirurgico, letale nella sua sensualità filologica anni ’50, dove la narrazione è lasciata più che altro all’immagine sapiente, alla recitazione, all’esitazione, alla velatura della fotografia come una calza 8den, agli sguardi intensi delle attrici bravissime, che quasi avrei voluto una sbavatura, un’imperfezione forse perché a tanta finezza quasi non si riesce a credere. Si perdono tracce ideologiche, connotati, sessi e ci si abbandona al linguaggio dei corpi, intraepidermide oppiaceo, che solo un certo cinema riesce a regalare. E allora si sogna.
Forse chiedere l’uguaglianza è un primo passo necessario, considerato che, e tanto più nel nostro stato, l’omosessuale viene ancora costantemente discriminato, di fatto è giuridicamente (con buona pace dei sondaggi liberisti che ne vedono solo gli aspetti “positivi” in quanto papabili e ricchi consumatori). Non possiamo, ancor prima, dimenticare come esso formi la sua personalità in un contesto sociale che discrimina la diversità, che lo esclude. Rivendicare diritti e´ dunque il primo passo “obbligato” verso la liberazione, il riconoscimento e l´affermazione. Il passo successivo dovrebbe invece portare, come accaduto in altri contesti discriminati, si pensi alla storia delle donne, alla contrapposizione tra l’universale (norma) Eterosessuale e l’universale Gay (Universale che infatti in parte e´ proprio del pensiero della differenza). Il passo ancora successivo dovrebbe infine condurre all´agognato riconoscimento della singolarità, fatta non solo di teorie ma soprattutto di storie, pratiche e desideri. Comunque è bene dire che non ho visto i film di cui parli eccetto La vita di Adele, che ho trovato splendido e profondo sia per come si situa nella storia e nel desiderio delle due protagoniste sia per come rappresenta quello dello stesso regista. Ecco, forse quello che in effetti non può non chiedersi a un regista, a un artista che si esprime per immagini, è che rinunci al suo sguardo desiderante e rivelatore
Grazie, sono assolutamente daccordo e a favore di una legge contro la discriminazione specifica e che avvalori il principio di uguaglianza che in realtà esiste in costituzione. Poi per come dovrebbe essere conseguentemente, chi è uguale deve godere degli stessi diritti, e qui secondo me nasce l’equivoco. In Freeheld per esempio, si fa il percorso un po’ inverso in cui viene stereotipata la comunità gay sempre un po’ baraccona e per alcuni versi ottusa, che prende il pretesto della causa della Moore (sta per morire e vuole lasciare la sua casa alla compagna e non le permettono di farlo) per ribadire il ‘matrimonio gay’ mentre lei fino alla morte proclama: non è per il matrimonio (di cui non gliene frega nulla) ma per il diritto (delle coppie di fatto)