di Maria Giovanna Vagenas/ Vero e proprio distillato delle opere precedenti del maestro portoghese. Passo ulteriore, di una portata incommensurabile, il film segna il passaggio da una fenomenologia ancora legata a una presa documentaria e documentante sul reale verso il rigore ultimo di una purezza formale assoluta. Tracciata su un canovaccio ellittico e sfuggente, la trama non segue una logica narrativa convenzionale ma si allinea sul filo di una fantasmagoria sontuosamente criptica, punteggiata d’immagini e di suoni, canzoni e conversazioni, oggetti e voci.
La frammentazione delle categorie di spazio e tempo si apre in Cavalho Dinheiro su una composizione che associa alla cartografia di una storia intima- i ricordi ed il vissuto del personaggio chiave di Ventura- le tracce dolorose del passato-presente di una memoria collettiva.
Con Ventura, protagonista del film, attraversiamo i sedimenti di tutti i cataclismi che hanno colpito il Portogallo in questi ultimi decenni: la guerra coloniale, la rivoluzione, la decolonizzazione per arrivare a un oggi ancora più opaco e incerto del passato che lo precede.
Cavalho Dineiro è un lungo viaggio nella notte dei ricordi, sul filo di vite vissute, combattute, sofferte, è uno sguardo a ritroso, un fare i conti con se stessi e con la propria esistenza e, in ultima istanza, è un’apologia.
Proprio in una della prime sequenze un personaggio ingiunge a Ventura: “Confessa!”
Ventura, il doppio, l’alter ego dolente del regista, ripercorrerà il cammino della sua vita a ritroso in una ricostruzione discontinua, fatta di associazioni, a prima vista erratiche ma essenziali se viste nel loro insieme.
A tentoni, nell’oscurità di luoghi sotterranei, di corridoi a perdita d’occhio, di stanze d’ospedale, di colline boscose alla periferia di Lisbona, di crocevia insicuri e di capannoni in disuso, seguendo un fragile filo d’Arianna, Pedro Costa ci trascina sulle orme di Ventura, in un percorso labirintico fatto di salite e discese continue, dove le inquadrature espressionistiche sembrano accrescere una visione verticale del mondo, ordinata secondo i canoni dell’alto e del basso, della superficie e del sottosuolo; il suo ed il nostro viaggio diventa una discesa agli inferi.
Lo spazio è trattato in modo essenzialmente pittorico; sul valore e sulla valenza delle zone di luce e ombra si potrebbe disquisire a lungo -ogni inquadratura meriterebbe di venire studiata con cura- per il momento ci limiteremo a osservare come il gioco marcato del chiaro-scuro illuminando tratti di volti, squarci di corpi e segmenti privilegiati di un luogo trasformi ogni singola immagine in una vera e propria epifania.
Pennellate di luce caravaggesca che infiammano con un bagliore metallico squarci di volti
nell’oscurità si alternano a composizioni rigorosamente geometriche dove accordi di schermi
opachi creano, in controluce, l’effetto di un teatro d’ombre. E anche il giorno non è mai
completamente tale: i raggi del sole filtrano nell’interno dello spazio da aperture circoscritte,
fendendolo e spezzandone l’unità e l’uniformità.
Il culmine di questo tragitto, il centro del labirinto verrà varcato da Ventura verso la fine della
pellicola in una lunghissima e memorabile sequenza filmata all’interno di un ascensore metallico
ultramoderno in cui l’uomo incontrerà ‘la bestia’: un soldato, forse un compagno, avviando con lui
un dialogo de profundis.
Nello spazio minerale dell’ascensore il soldato è quasi un fossile, una statua annerita dal tempo, un
uomo di carbone e d’acciaio con gli occhi perennemente chiusi; Ventura, senza corazza e senza
vestiti, lo affronta fragile e inerme nel suo pigiama rigato da ospedale:“Verrà un giorno in cui
saremo capaci di accettare la nostra sofferenza”, convengono i due alla fine.
Ferite dei corpi, ferite dell’anima: la malattia di Ventura è quella di un vecchiaia prematura dovuta al
duro lavoro e all’indigenza ma è anche quella di un male epocale e sociale, il male di una collettività
intera – quella capoverdiana – in un paese che non ha mai saputo-voluto accoglierla e integrarla.
Ventura trema, è disorientato, perduto, viene ammesso in un fantomatico ospedale; man mano che
si riprende, la trama della sua memoria si riconnette e iniziano ad emergere volti, personaggi,
sentimenti, ricordi.
Tutti i personaggi del film sono degli spettri, fantasmi reali di un percorso memoriale.
La dialettica fra anamnesi ed oblio si trasforma in Cavalo Dinheiro in un movimento liberatorio:
ricordare per potere dimenticare…
E poi nel film ci sono le canzoni e c’é la fierezza di Ventura per il suo lavoro, per quanto ha offerto
alla società attraverso gli edifici che ha costruito, insieme ad altri, nel corso della sua vita.
Ma chi sono o erano questi altri? Nel film emergono a più riprese tutti insieme o uno ad uno, spettri
viventi per raccontare la loro triste storia : come hanno perduto il lavoro perché colpiti da epilessia,
come per disperazione si sono messi a vendere droga, come in un raptus hanno dato fuoco alla loro
casa, bruciando moglie e figli.
E poi c’è una storia d’amore struggente e meravigliosamente incomprensibile fra Vitalina, splendida
e intrepida sacerdotessa della notte -un nuovo, potente, enigmatico personaggio entrato a far parte
dell’universo di Pedro Costa – e Ventura.
Un triangolo amoroso, incerto, oscuro, passionale e violento sembra prendere forma, per poi
dissolversi in modo altrettanto struggente e misterioso.
Ermetico nel suo dolente splendore ma non per questo meno possente e viscerale Cavalo Dinheiro è
un film poetico, un film politico, un film necessario che conferma il suo autore come uno dei creatori
di immagini e di significato più importanti del cinema dei nostri giorni.
Per Cavalo Dinheiro Pedro Costa è stato ricompensato al Festival di Locarno con il Pardo per la
migliore regia.
2 Replies to “Cavalo Dinheiro di Pedro Costa”
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Davvero molto bello e anche poetico , il tuo pezzo. Per me il cinema di Pedro Costa è stato una rivelazione, un innamoramento fulmineo
Grazie Alessia, anche per me il cinema di Pedro Costa é stato- tanti anni fa al festival di Pesaro- una vera rivelazione con La camera di Wanda.
Immagina che alla conferenza stampa di Locarno per Cavalo Dinheiro Pedro Costa era in piena sofferenza, attanagliato dai dubbi sul suo lavoro, sulla sua arte. Poi, vista l’accoglienza entusiasta fatta al film, si é un po’ ripreso….
Aspetto di leggerti!