di Luca M. Spanu/ Absence is presence. (Pius the 13th)
Da giovane, quando il Napoli – la squadra del mio cuore fin da bambino – versava in una crisi profonda, mi ritrovai ad avere una piccolissima simpatia per l’Avellino. (Voiello)
Questo non è il bagno degli uomini e nemmeno delle donne. Questo è il bagno del Papa. (Pio XIII)
Una resistibile parte Terza devo infine ai miei ventiquattro lettori, posto che The Young Pope è alfin giunto alla Decima (forsultima).
Elogerei la implausibilità della serie, innanzitutto, vera virtù del Tutto, sia per un laico commentatore di serial che per un fine teologo : Credo quia absurdum non fu detto da un commediografo qualsiasi, ma dall’Ipponate.
Implausibile la trama, non i tipi umani rappresentati.
Non è verosimile un Papa saggio, ma vendicativo, presuntuoso, narciso elitista fanatico, battutista come Woody Allen, acre quanto Emil Cioran, allegro e spigliato al pari di Torquemada e Mattarella? Che davvero Lenny Belardo-alias XIII impersoni una Santa figura, nei pensieri e nelle azioni, poverello di Assisi rivisto e adattato ai nostri tempi? Esordio da record su Sky per The Young Pope, la serie firmata da Paolo Sorrentino con Jude Law e Diane Keaton che ieri su Sky Atlantic HD e Sky Cinema 1 HD è stata seguita da quasi 1 milione di spettatori (953 mila) per gli episodi 1 e 2, record assoluto per il debutto di una serie tv su Sky. Il +45% rispetto all’esordio di GOmorra – LA serie e +42% rispetto a 1992. Ecco perché ci è piaciuto. Di Fulvia Caprara.
Siamo proprio sicuri che il Mistero della incarnazione ‘sub specie cinematographica’ non contempli tali opposizioni, anzi complementi di carattere?
Siamo certi che la realtà non superi spesso la finzione, in letteratura come al cinema, in Vaticano come a Palazzo Chigi, alla White House, alla Congregazione per la dottrina della fede, alle congreghe coperte o palesi che si aggirano per il globo?
Siamo certi che la via dell’Amore non sia quella poetica dell’assenza-più forte presenza, così come quella della ricerca sposalizio e devozione al principio superiore (presuntivamente) immanente non sia lastricata di oscurità, sofferenza, privazione relazionale e intransigenza verso i simili, proprio in quanto essi loro non praticano in pace l’accoglienza verso l’altro e anzi lo spregiano, opprimono, beneficano a volte con secondi fini?
Amore passa leggero dalle mani tremanti di Titta a quelle annoiate di Jep a quelle del (molto) giovane Lenny che vergano poesie mai spedite eppoi pubblicate sul New Yorker (!sic!). E passa assoluto e fanatico quanto lirico-effusivo e nostalgico, quasi a suggerire che i due aspetti o versanti di esso possono e debbono in fondo incontrarsi e riconoscersi, o per lo meno rispettarsi : amore verso Persona o verso Idea.
Non scenderei quindi verso analisi dettagliate di una pretestuosa figura ficcionale papale, la quale occhiolineggia in copertina, con intento (del registautore) scopertamente provocatorio, ipostatizzata immagine del personaggio ‘ricco’ – variante ‘potente’- ma infelice, santo e diabolico (contro e ultra)rivoluzionario di bianco vestito.
Nel chiuso del Palazzo Apostolico egli riceve i personaggi e personaggètti della sua curia, la sua addetta al merchandising e cura d’immagine (cui elargisce una ispirata tirata sul valore d’assenza), una fascinosa primo ministro groenlandese danzerina (ella gli dona un 45 giri di Caterina Caselli che YP ascolta poi pensoso fumacchiante, musica manifesto di leggera impermanenza, perfetta per una chiusa di episodio ‘a titoli di fondo’ in campo lungo figurinaondeggiante-ritmo-salonvaticano).
Sia fatta incidenter una menzione di lode per la colonna sonora, spesso espressiva, mai invadente, dalla techno metafisica che rimanda alle amorose Conseguenze al grattato-pizzicato di uno Starting Over ai Notwist indimenticati cantori di Freak del familiare Amico.
I personaggi sono sempre esplicativi e introduttivi agli universi chiusi del potere, dell’ossessione, del ricordo e della fascinazione per il Sublime, sia esso fisiognomico o paesaggistica espressione di ‘mondo in capo al mondo’ – spazzato dal vento, dal freddo, dal ghiaccio dalla neve, dove i cardinali e arcivescovi ripudiati celebrano messe surreali all’aperto del Pack.
Dal freddo assoluto che annienta al caldo alla sete che riarde la vicenda si muove. La prima e unica ‘missione papale’ in un’Africa stilizzata e colorata si dipana tra danze, stoffe sgargianti e stracci e uniformi da campo e da parata, UNA confessione ‘incomunicabile’ degna del miglior Pinter (o Ionesco), UN discorso-omelia ‘in absentia’ in cui Pio sembra ammorbidirsi e raggiungere vette di affratellante misticismo mentre le immagini ce lo mostrano in piena rêverie alla perduta infanzia, UNA preghiera-macumba malefico-restitutoria e giustizialista che rinsalda il dialogo privilegiato del Giovane Nostro con lo suo Altissimo (forse) Fattore; dialogo da gran tempo intrattenuto, scopriremo poi grazie a un ennesimo provvidenziale flash-back.
Le sue battaglie Pio le combatte dapprima non tanto contro le sopraffazioni geopolitiche, ma con ferocia e pari indolenza contro la diversità e la debolezza umana (soprattutto laddove esse alberghino in personaggi presunti-superiori-tonacati, poco importa se di ordine minore, presbiterico, episcopale o cardinalizio).
Non apparire in pubblico è una delle forme di suprema albagìa cui Pio ricorre per marcare la differenza con il resto dei fedeli e dei non fedeli, incostanti, frivoli, non si sa se meritevoli di una purezza primigenia che gli agi e il materialismo – di molti, di pochi – hanno contaminato. Solo alla fin fine egli si (anzi ci) redime un poco.
Non (solo/non tanto) i protomartiri egli Pio idealizza, ma i genitori che gli offrono la Pace dei sensi e dell’animo nelle gelide acque di un torrente durante una giornata di sole scampagnato; le sue ‘dirette’ preghiere notturne e diurne verso Lei la Madre e Lui il Padre possono ricordare per estatica intensità quelle sensuali di Bentivoglio diretto da Capuano, ma solo perché estrinsecazione di cattiva coscienza – e di invasato trasporto che si vuole sostituire ai propri stessi dubbi essudanti e raggelanti circa il Vero e il Giusto, prima che un tale gelo tolga all’uomo la energia per fare quel pocotanto che egli si propone fare in nome di un Ideale.
Sembra che nessun tema alto o di rilievo teologico venga lasciato intatto dalla corrosiva ironia e dissacrazione dell’Autore-regista (attraverso lo stranamente pio Pio). Nessun sacramento viene risparmiato, nessuna peccaminosa debolezza perdonata, nessun cedimento dei giovani verso gli anziani per compassione, degli anziani verso i giovani per malcelata stanchezza. Solo verso il termine delle vicende un XIII cresciuto in comprensione dell’Altro matura (inflessibile nel punire ma sensibile nel capire) una distinzione tra fattispecie ben distinte ma spesso strumentalmente confuse da molti : amore consumato e sublimato, omosessualità e pedofilia, stato di orfano per perdita o per abbandono – la perdita più dolorosa e irredimibile.
Sorrentino mantiene ma supera in questo TYP il suo compiacimento estetico verso il Brutto – estremo Sublime a tratti, ovvero verso i lati perversamente attrattivi di chi pensa e vive male ma parla (o veste) bene, nel senso aforismàgico del termine. Domina TYP la rappresentazione sospesa e indifferente di uno Spirito incarnato di grande potenza manipolativa, che si sente in realtà piccolo e inerme come uno qualsiasi dei cadaverini ammucchiati in Piazza San Marco da cui nel sogno Pio scaturisce, quasi non partorito (e comunque non allevato) da madre, ma da figure sostitute di Suora, di Vescovo, di Cardinale (a loro volta sublimanti/sublimate nella ricerca/offerta sofferta di un figlio che li possa eternare e rispecchiare, nello spirito e nelle gesta).
Questo ‘filmone’ pluripartito più che ravvivato di cinismo e brillantezza si dipana e conclude ammantato sì di ‘luciferina santità’, ma anche di malinconia e ricordo di pochi estatici momenti, che da soli basterebbero(?) a racconsolare e intiepidire una vita intera di indeflesso rigore integralista.
Forse davvero, la Noia ci salverà, perché non consente di fare grande male ad alcuno.
Durevole eccezione a ciò resta lo psicopatico Amon Goeht del lager di Spielberg, il quale uccide alle spalle, per noia e per capriccio, subito dopo avere solennemente detto : “Ti perdono”. Ma solo perché sobillato da Schindler.
Iconoclasta solo ‘pour épater le bourgeois’, il Nostro Paolo Assai Borghese sfoggia Cattelan scultore ai titoli di testa, con il suo sulfureo meteorite che atterra il dolorante PapaViaggiatore.
Lo spettatore medio resta in generale per nulla atterrato. Spesso incuriosito, talvolta mosso a (sor)riso, probabilmente vieppiù avverso al regista Paolo (VII distopico), qualora già lo fosse stato.
Non mi sento di rimproverare Sorrentino per l’ambizioso disegno e realizzazione, in parte riusciti. Qualcuno potrebbe ritenere kolossaleggianti inessenziali le ricostruzioni in studio della Sistina, delle piazze dei santi Pietro e Marco riempite di folle al digitale, di Castel Gandolfo forse anche; maniacale la cura dei costumi e paramenti sacri esibiti (non fanno rimpiangere le grottesche parate felliniane di Roma, anzi danno vita a una convincente pinacoteca di cere animate nella scena del ‘convegno dei predecessori al Soglio’ davanti a un interrogante XIII); e ritenere sensazionalista o melò il finale, con la vertiginosa contreplongée satellitare inversa, o artificioso il denouement del dilemma santo-diavolo uomo-angelo. Non io e non qui, ora. Tutto direi che è funzionale alla raffigurazione di un Mistero, anzi di una serie di La psiche umana, la sessualità statisticamente prevalente e quella diversa o deviata, le relazioni di amore, di amicizia, di comunanza, di paternità e maternità – carnale e spirituale, quelle di potere, di compassione e di sopraffazione. La umana tragedia, la ‘divina’ ironia.
Infondinfo’ il perdono – come il buon cinema – è senza dubbio impresa ardua da praticare, da ricercare, da trovare alfine. Come il buon umore, che il ‘buon’ cardinale Aguirre ricorda non ci cambia (in peggio) – contrariamente a quanto fa l’afflizione.
Non bisogna esserne degni, ma sperare in esso, sempre.
Con questo abuso del perdono siamo diventati una barzelletta, Eminenza, affidabili al pari di qualsiasi paesello da terzo mondo. (Pio XIII)
Con la NòìA .. mi sono dètto ci fàccio quaccòsa di BùonO..
(Maurizio Crozza alias Paolo Sonlentino)