La vicenda di Passannante è di una drammaticità sconvolgente. Ha assunto risvolti così atroci e degradanti per la vita umana che avrebbe potuto essere molto più verosimile ai tempi dei capricciosi despoti romani di Ben Hur che non a quelli dei nostri Savoia. In questo senso, anche la nuda cronaca biografica, letta su Wikipedia, di come andarono le cose, può far rabbrividire. A 29 anni, abbracciata la causa repubblicana e mazziniana, il giovane cuoco lucano attentò platealmente alla vita del re Umberto I con un coltellino da 4 dita in un atto puramente dimostrativo, sperando che il processo per attentato alla vita del sovrano – allora giudicato da un dibattito discusso in parlamento – potesse almeno scuotere le coscenze dei suoi connazionali sulla questione meridionale. Le disposizioni della Carta costituzionale però potevano essere aggirate anche nel 1880 e così Passannante, sottoposto a torture e, con una semplice procedura ordinaria prima fu condannato a morte e poi graziato e seppellito vivo nel carcere di Portoferraio, sull’isola d’Elba, senza troppi clamori. In una cella priva di latrina, posta sotto il livello del mare, l’attentatore di Salvia rimase in completo isolamento per anni, senza poter mai parlare con nessuno, caricato di diciotto chili di catene, tra i propri escrementi.
« Passannante è rimasto seppellito vivo, nella più completa oscurità, in una fetida cella situata al di sotto del livello dell’acqua, e lì, sotto l’azione combinata dell’umidità e delle tenebre, il suo corpo perdette tutti i peli, si scolorì e gonfiò … il guardiano che lo vigilava a vista aveva avuto l’ordine categorico di non rispondere mai alle sue domande, fossero state anche le più indispensabili e pressanti. Il signor Bertani … poté scorgere quest’uomo, esile, ridotto pelle e ossa, gonfio, scolorito come la creta, costretto immobile sopra un lurido giaciglio, che emetteva rantoli e sollevava con le mani una grossa catena di 18 chili che non poteva più oltre sopportare a causa della debolezza estrema dei suoi reni. Il disgraziato emetteva di tanto in tanto un grido lacerante che i marinai dell’isola udivano, e rimanevano inorriditi ».
Reso completamente pazzo per le condizioni disumane, riuscì ad essere trasferito al manicomio criminale di Montelupo Fiorentino solo grazie all’intervento dell’on. Agostino Bertani. Il suo corpo però non ebbe tregua nemmeno dopo la morte. Il cranio e suo il cervello, in ossequio alle dottrine lombrosiane, furono esposti al Museo del Crimine di Roma fino al 2007. Una sepoltura degna di questo nome, i resti di Passannante la ottennero grazie ad una campagna instancabile porta-a-porta di Ulderico Pesce, Andrea Satta dei Têtes de Bois e Alessandro de Feo de L’Espresso.
Il film dell’esordiente Sergio Colabona comincia proprio da qui, ripercorrendo le vicende centrali della lotta di Passannante per i suoi ideali e alternandole alla battaglia di tre amici – un secolo dopo – per rendere giustizia alla memoria di quella figura dimenticata. Attingendo a piene mani dalle viscere delle performance teatrali di Pesce, Passannante cresce di emozioni così come la schiera di tutti gli astanti che sempre più numerosi accorrevano a quegli spettacoli. Il film mantiene tutto lo slancio vitale e l’impegno radicale dello spettacolo teatrale, combinandolo ad una dura polemica nei confronti degli attuali rappresentanti di casa Savoia, la dinastia forse più inadeguata che potesse capitarci nel traghettamento verso l’Unità. La produzione e la memoria del personaggio a cui l’opera è dedicata avrebbe benissimo potuto meritare i mezzi di un grande kolossal in costume. Va assolutamente apprezzato come, nonostante le ristrettezze del budget, Colabona, Pesce e Satta siano riusciti a rendere onore con forza a queste vicende. Siamo sicuri che il film ha anche tutte le possibilità per sopravvivere al massacro di una distribuzione nelle sale ad inizio luglio.