Le signorine di Mad
Non è facile per una donna raccontare un’altra donna. Figuriamoci poi disegnarla. Figuriamoci poi se quella donna non è una donna comune, ma una modella. Scatta quello strano meccanismo di sana competizione che rende la lingua biforcuta e la penna avvelenata. Bisognava trovare una donna con la giusta dose di ironia e talento per compiere il miracolo. Maddalena Sisto è riuscita nell’impresa. Ha raccontato la moda attraverso i suoi disegni, ha mostrato gli abiti dei più grandi stilisti indosso alle sue Signorine di carta, ha rappresentato l’evolversi della donna dagli anni ’70 al 2000 con la naturalezza di chi lo fa senza quasi accorgersene.
Da giornalista di moda a disegnatrice di stile, le sue donne rappresentavano ciò che aveva intorno, ciò che vedeva, ciò che viveva. Per questo motivo i suoi primi disegni raffigurano donne schiacciate dalla consuetudine, depresse o immerse nel torpore, perché lei stessa provava sensazioni simili nella sua città natale. Trasferita a Milano “per diventare famosa”, ottiene un lavoro come giornalista da Vogue e da lì tutto ha inizio. Invece di prendere appunti alle sfilate, Maddalena disegnava, per ricordarsi, per visualizzare, perché era ciò che sapeva fare meglio. Piano piano riesce a convincere i suoi datori di lavoro a pubblicare i suoi disegni e da allora non si è mai più fermata. Fino alla scomparsa nel 2000.
Le sue fonti di ispirazione sono state, oltre la moda, le piante, i fiori e anche frutta e verdura. Una creatività dilagante, sviluppata con ironia, eleganza, delicatezza. Una figura longilinea, un portamento da passerella, un sorriso contagioso. Armani, Fiorucci, Missoni, Ferrè, tutti la amavano follemente. “Mad aveva bisogno di pochi segni, veloci, leggeri, un po’ nervosi. I suoi disegni racchiudevano tutto: ironia, eleganza, talento… non c’era solo lo stile dell’abito, ma il carattere del personaggio che rappresentava, i suoi capricci, la sua anima”, la ricorda Gianfranco Ferrè. La giovane regista Anna Di Francisca si è innamorata a prima vista di Maddalena Sisto: vedendo anni fa una mostra alla Triennale di Milano, decide immediatamente che era il soggetto giusto per un documentario.
“Ho deciso di immergermi nel suo mondo e nel suo immenso archivio di disegni… Per un lungo periodo ho lavorato anche sui suoi diari, sui suoi scritti messi generosamente a disposizione da suo marito”, racconta. Ma, oltre a questo interesse cinematografico, c’era qualcosa di più: “c’era qualcosa che ci accomunava molto, sicuramente l’ironia e l’umorismo!”, ecco la vera ragione di tanta passione. Il risultato è un film intriso di animazione, dalle musiche incisive, che alterna momenti reali di interviste sue, del marito e dei grandi della moda, a momenti di puro virtuosismo animato. Le Signorine di Mad invadono lo schermo e raccontano la donna. Ieri e oggi. “Mad con un suo stile molto originale, catturava e ritraeva non soltanto la moda e la società italiana, ma anche i desideri, le paure e le fantasie della donna contemporanea. Il risultato di tutto ciò è un film che racconta attraverso il suo sguardo i momenti fondamentali del trentennio che va dal 1970 al 2000. L’opera di Mad diventa una sorta di prisma attraverso cui capire il mutamento della donna in quegli anni. L’animazione è parte integrante del film e aiuta a esprimere dei concetti, ma anche lo spirito di Mad, una sorta di Amelie della moda”, conclude Anna Di Francisca.
L’urlo della cultura
“Perché è un urlo civile che, attraverso le parole di Gerardo Marotta, ci invita a essere protagonisti e protagoniste di una rivoluzione intesa a recuperare il valore dello Stato come bene comune e non come interesse privato”. Questa la motivazione che ha portato la giuria di Italiana.Doc del Torino Film Festival 2012 ad assegnare una menzione speciale a La Seconda Natura, sorprendente ritratto dell’avvocato Gerardo Marotta, uno dei protagonisti della vita culturale e filosofica italiana dal dopoguerra in poi, che continua ancora oggi a lottare ogni giorno in una città come Napoli – un tempo capitale del pensiero filosofico – per un’altra idea di Meridione e d’Italia. Un’utopia verrebbe da dire. Ma non è questo il modo giusto per prendere coscienza della situazione e agire per cambiarla, per essere i protagonisti della rivoluzione culturale appunto.
“Un giorno gli si darà ragione e più che mai si capirà che, molto prima degli altri, ha visto lontano, in anticipo sui tempi”. Così Jaques Derrida ha descritto, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Filosofia dell’Università di Paris-III Sourbonne-Nouvelle, la singolare figura dell’avvocato Gerardo Marotta, moderno mecenate napoletano e presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Un personaggio quasi sui generis, almeno ai tempi d’oggi: un umanista contemporaneo in lotta da mezzo secolo per la diffusione della cultura come mezzo necessario per l’affermazione della giustizia sociale.
A dirigere il documentario Marcello Sannino, napoletano innamorato della sua città che, dopo aver svolto l’attività di libraio dal 1995 al 2001, decide di dedicarsi a tempo pieno all’attività cinematografica che già da tempo lo appassionava. “Per capire fino in fondo cosa significhi l’opera dell’avvocato sono dovuto andare all’inizio di questa straordinaria storia, cominciare da lontano, dalla sua passione civile di gioventù, in un momento storico determinante per il nostro paese: il dopoguerra”, racconta il regista. Uno studio quindi importante, complicato sicuramente ma che ha dato i suoi frutti, visti i riconoscimenti e visto il risultato, un film di spessore, che vuole arrivare a tutti, non pretenzioso. La caratteristica principale è di sicuro l’attualità degli argomenti trattati, che come erano validi nel dopoguerra, restano validi ora, applicabili alle nostre quotidiane crisi e ai nostri quotidiani tentativi di migliorare le città in cui viviamo. Prodotto da Antonella Di Nocera – oggi assessore alla cultura del Comune di Napoli -, fondatrice e anima della cooperativa Parallelo 41, nata nel 2002 per valorizzare le competenze e il talento di giovani artisti, autori e registi, La Seconda Natura ci lascia con una speranza: “La rivoluzione culturale, una rivoluzione dialettica, concettuale, che costruisca -finalmente- il senso dello stato. Partendo dalle scuole, dalla radice del futuro della società, dalle nuove generazioni. Non c’e’ pace senza cultura”. Questo il lascito di questo straordinario cittadino italiano.
(Il film è stato progra
Tra palco e realtà
Quando un compositore decide di dirigere il suo primo lungometraggio non ci si può che aspettare un’opera musicale in immagini o un racconto in musica (dipende dai punti di vista), di sicuro una commistione fra la narrazione di un mondo surreale, onirico e la realtà. Luigi Cinque, strumentista e compositore di musica classica, folk e jazz di fama internazionale, si posiziona dietro la macchina da presa e inizia a dirigere l’orchestra. Il risultato è Transeuropæ Hotel, un film sui generis e di genere.
Un documentario musicale, ma non solo, un film di narrazione dalla vena trasgressiva pulsante, una dichiarazione d’amore alla musica e ai musicisti, un valzer fra teatro e cinema, a metà strada tra palco e realtà. Forse il termine più giusto per definirlo è melodramma. Ne ha tutte le caratteristiche e la forza narrativa, per volontà dello stesso regista e in accordo con gli altri sceneggiatori, la scrittrice Rossana Campo e il poeta Valerio Magrelli.
Girato tra la Sicilia, Rio de Janeiro e Salvador de Bahia, racconta di un gruppo di jazzisti internazionali che si ritrova per le prove della tournée in un hotel, il Transeuropae Hotel appunto, nella magnifica cornice delle saline di Trapani. Ad un certo punto la progressione narrativa viene rotta dall’arrivo di due donne, provenienti dalle favelas di Rio de Janeiro, che da subito non nascondono la loro preoccupazione per la scomparsa di Darcy, un famoso percussionista brasiliano, fondatore di una scuola musicale, molto odiato dai narcotrafficanti brasiliani per la sua attività pacifista. La notizia colpisce tutti e il direttore d’orchestra decide di spostare la scena altrove, dalla Sicilia al Brasile. Alla ricerca del musicista perduto. Alcuni restano al Transeuropae Hotel – il Coro Tragico – , altri invece si mettono in viaggio per sviluppare la narrazione tragica. Un melodramma in pieno stile dunque, con il valore della magia che entra preponderante nella storia: la figura di un mago candomblé, che le donne indicano come l’unico capace di evocare il musicista scomparso e, l’unico quindi capace di farlo tornare. Si passa dalla realtà delle prove della tournè, al viaggio, alla ricerca, ai riti magici. Una commistione rischiosa se non ben orchestrata e gestita. Soprattutto per la presenza di tanti nomi di grande livello come Pippo Del Bono, Peppe Servillo, Giuseppe Vitiello, Giacomo Verde, oltre allo stesso Luigi Cinque. L’operazione riesce però e lo spettacolo resta in equilibrio, tanto che Transeuropæ Hotel vince il RIFF – Rome Independent Film Festival 2013 e partecipa a tanti altri importanti Festival internazionali. Delicato, leggero, musicale (nel senso di “dal buon sentire”), propone anche una forte riflessione su temi importanti come il traffico di droga in Brasile, la situazione delle favelas e dei suoi abitanti, l’atteggiamento che il mondo ha nei confronti di questa realtà così triste. Perché questa è realtà, anche se sul palco!
(Il mondo di Mad è stato programmato dal 3 al 9 ottobre al Nuovo Cinema Aquila)
(La seconda Natura è stato programmato dal 10 al 16 ottobre al Nuovo Cinema Aquila)
(Transeuropæ Hotel è stato programmato dal 9 al 13 ottobre al Nuovo cinema Aquila)