di Fabrizio Funtò/ Netflix è diventato uno dei principali luoghi dove vedere o ri-guardare film “on-demand” in tutto il mondo. I suoi ricavi hanno superato quelli delle televisioni commerciali via cavo negli USA, ed il pubblico mondiale ha espresso un grande apprezzamento soprattutto perché il canale internet investe in nuove produzioni originali.
Impossibile trascurarlo.
Fra il molto ciarpame di moda che va in onda, come le serie “imperdibili” che non finiscono mai, e che qualcuno mi consiglia di vedere tutte insieme in un’unica volta (prendendomi una settimana intera di visione: ma chi ce l’ha ?!?) ― segnalo una perla assoluta.
Il grande linguista, o grammatico “strutturalista”, Noam Chomsky racconta la “sua” America, nella forma dell’avvitamento di una democrazia nelle maglie del potere economico finanziario. Una brutta storia, che è diventata presto l’incubo del mondo.
Ed un po’ racconta insieme se stesso, ed il senso della ribellione dei ragazzi di mezzo secolo fa, nel momento di forse massima espansione della partecipazione popolare alle sorti dello Stato americano.
Per un ragazzo non è facile da capire. Gli difettano le emozioni, gli difetta l’empatia, la sintonia, ma anche solo la libertà mentale di pensare di scardinare tutte le regole che da per acquisite e metabolizzate.
Ma dovrebbe farlo.
Per chi è più grandicello, si tratta di una disamina ruvida sulle condizioni attuali della democrazia nel mondo (e ce n’è anche e soprattutto per noi italiani)
Quello che però emerge con prorompente energia è tuttavia il sano, semplice, puro senso della vita, dell’esistenza, in un mondo che una volta si presumeva indirizzato verso il meglio, verso il progresso, verso l’allargamento dei vantaggi e la disponibilità di agi e risorse per sempre più gente.
Ma che adesso ha cambiato completamente segno.
E lo fa, Chomsky, non citando Carl Marx come dovrebbe ― che, ricordiamolo, non sapeva di essere marxista, ma si considerava “solo” un giovane hegeliano che avrebbe sovvertito le regole della Logica ― ma citando Aristotele, Adam Smith, i Padri Fondatori della Costituzione Americana (i quali non erano esattamente degli stichi di santo) e citando finanche Berlusconi.
Il documentario fra ritmo, musica, citazioni, primissimi piani e repertori, è costruito benissimo, quasi un film. Ferse siamo di fronte a un nuovo contenitore, ad un merge fra lungometraggio documentativo e fiction, ma la fattura è notevole.
Le immagini sono crude, e la bonaria, sorniona, pacata prosa di Chomsky, la sua voce tranquilla e gracchiate, non evita di toccare le 10 regole del capitalismo finanziario che hanno ridotto il mondo a pezzi.
Con disarmante semplicità racconta come comprendere il concetto ― per molti arcaico ed obsoleto ― di “lotta di classe”. “Chiedetevi” ― dice il faccione di Chomsky ― “chi dà gli ordini nella nostra società. E chi li esegue. E lo capite subito”. Certo, il concetto è più complesso, ma alla fin fine si riassume proprio in quella domanda.
La popolazione libera e partecipante è sempre stato un brutto problema per la democrazia. Per tutte le democrazie del pianeta e della storia, ma soprattutto per quella americana. Perché i numeri sono grandi, e lo squilibrio è fortissimo, le disuguaglianze dilagano.
Quando una ristretta élite finanziaria ha ricevuto nelle proprie mani una enorme quantità di potere ― con qualunque mezzo ciò sia potuto accadere, lecito o illecito ― la domanda, già preconizzata da Aristotele ed esaminata in dettaglio dagli estensori della Costituzione è la seguente: ma se i poveri sono la maggioranza, e si coalizzano, questo significherà che esproprieranno i ricchi dai loro averi, e li obbligheranno a distribuire la loro ricchezza?
La democrazia consentirebbe questo sulla carta, ma la società democratica è nata per difendere i privilegi dei proprietari e dei ricchi, non per agevolare i poveri. Come la mettiamo?
Tanto più che negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso c’è stato quello scrollone ribellistico, post seconda guerra mondiale ma in piena guerra del Vietnam, che ha portato la società a cambiare attitudini e costumi, ha portato i ragazzi ad essere liberi, troppo liberi, e troppo solidali fra loro.
Ha portato la società civile, la popolazione, a premere sul potere per ottenere diritti e libertà.
Questo non è ammissibile per chi controlla la democrazia. A partire da Ronald Reagan, coi suoi Chicago boys, e passando attraverso una destrutturazione sociale e politica che chiamiamo “deregulation” e in Europa passa sotto il nome di “neo-liberismo” privatistico, la società è stata trasformata, la democrazia è stata rimessa “nelle mani giuste”.
Il cittadino, il lavoratore, il sognatore, sono stati trasformati tutti in consumatori. Cioè in controllati.
E la popolazione è stata sapientemente disabituata a sentire, a provare quegli elementari sentimenti umani di solidarietà, aiuto reciproco, rispetto personale.
Siamo ritornati ad Hobbes, “Homo homini lupus est”.
Ed il linguista più importante del mondo ci spiega perché.
In inglese, con sottotitoli in italiano.