Dodici anni dopo il viaggio di sola andata da Palermo a Milano il maestro del cinema di genere Claudio Fragasso torna a narrare per immagini le vicende del pentito di mafia Turi Arcangelo Leofonte e del questore Nino Venanzio.
Prodotto da Globe Film e Sanmarco Film, scritto come il precedente dalla fedelissima Rossella Drudi, il film inizialmente indugia sulla mappa delle relazioni sentimentali e affettive dei protagonisti, in una vera e propria carrellata di presentazione di tutti gli attori della storia. Subito dopo viene posto in primo piano l’unico vero oggetto della visione: l’azione.
La catena delle emozioni è scontata, ma scorre a un ritmo sostenuto e quasi senza tirare il fiato. Sfilano una dopo l’altra le migliori figure retoriche del genere: sparatorie coreografiche in luoghi affollati, sequestri di familiari cari, uccisioni di amici e colleghi, inseguimenti di auto, moto e motoscafi. Le musiche accompagnano costantemente le azioni e rimangono silenti solo per lasciare campo a colpi di pistola e dialoghi intimi. Le scenografie variano dal barocco della sparatoria in un albergo di Montecatini Terme, alle scarne infrastrutture di autogrill e caselli autostradali.
Nonostante le sue sequenze dinamiche il film incanta ma non sorprende. Quando si parla di film d’azione è impossibile sottrarsi al confronto con l’action movie americano: non tanto per desiderio del pubblico quanto (e non sappiamo quanto costruttivamente) per volere delle produzioni. Rispetto a questi, comunque, Milano Palermo – il ritorno si distingue per le contenute enfatizzazioni drammatiche (eccezion fatta per il finale) e per l’assenza di realismo. La mafia è presa a pretesto, sfruttata solo in quanto epifenomeno, affrontata in maniera amorale, senza alcun discorso sociale. Sul versante opposto, il film non professa nessuna apologia delle istituzioni (Stato, Polizia, Magistratura) e risolve sbrigativamente le implicazioni relative alle figure dei poliziotti. Certe connotazioni rimandano in qualche modo ai film di Hong Kong, vera scuola madre del genere: così la teatrale scena finale che raccoglie in un unico luogo tutti i protagonisti pronti alla resa dei conti. Ciò di cui si continua ad avvertire la carenza, in Milano Palermo come in molti film di genere italiani, è il culto dell’immagine cinematografica. Non credo si tratti di una incapacità artistica del singolo regista, del singolo scenografo o del singolo direttore della fotografia nel sapersi esprimere con creatività. Credo (e lo si può verificare) che si tratti piuttosto di una costante sistemica.
Destinato a molteplici passaggi televisivi, proprio con il mondo della televisione questa produzione ha il suo legame più forte: dalla sfera televisiva provengono tre dei volti nuovi del sequel. A parte Libero De Rienzo – il quale però interpreta un ruolo da caratterista – Romina Mondello, Gabriella Pession e Simone Corrente sono invece figli delle fiction di Rai e Mediaset e la loro recitazione trasposta al cinema stenta a variare tonalità. La differenza di spessore tra Giancarlo Giannini e lo stesso Raoul Bova e gli altri attori è evidente: perfino Enrico Lo Verso nei panni di un caricaturale e gotico boss mafioso (ricorda il Top Dollar de Il corvo) risulta maggiormente calato nella storia.
ma cm si kiama stefano (il bambino)di vero nome …rispondete al piu presto grz …. π