Mammuth%2C Gérard Depardieu%2C Isabelle Adjani[****] – Quando ci occupammo di Benoît Delépine e Gustave Kervern, in occasione dell’uscita della loro penultima fatica – quel Louise Michel che, rincorrendosi con i coevi fatti di cronaca di boss-napping, come il Cuneo rosso di Lisitskij, si ficcava nella materia adiposa dell’allora appena deflagrata crisi globale delle economie tardo-capitaliste – circolava già l’indiscrezione secondo cui nientedimeno che due pesi massimi come Gerard Depardieu e Isabelle Adjani si fossero entusiasticamente proposti per il futuro progetto del duo di cineasti provos. Allora (vedi la recensione Louise-Michel – Una risata ci seppellirà su questi schermi) ci lasciammo con un dubbio e un motivo di apprensione: vuoi vedere che i nostri si siano fatti furbi e che, tradendo la loro causa anti-professionistica e no-budget (No Money Production si chiama la loro casa di produzione) abbiano ceduto infine, partecipando al banchetto decadente del tanto snobbato “cinema dei padri”?

Una perplessità più che legittima, per una coppia di autori anarcoidi e spavaldi che fino a quel momento ci avevano deliziato con una coerente poetica dell’imperfezione, facendo della rinuncia ai grandi budget e alle lusinghe dello star-system, il cuore stesso del loro originale corpus espressivo e narrativo. Adesso possiamo anche dirlo: le nostre preoccupazioni sono state spazzate via dal nuovo episodio della gioia feroce e dissacratoria della coppia. Perché Delépine e Kervern restano le allegre carogne dei cascami della civiltà turbo-finanziaria. E perché Mammuth è Depardieu, non un divo X qualsiasi. Infine, perché Depardieu è Mammuth: il delicato processo d’identificazione uomo/attore/personaggio difficilmente è arrivato a tale livello di zelo (processo che Brecht avrebbe definito reazionario, ma Brecht non poteva immaginarsi che, nei nostri anni azzerati, sarebbero state le narrazioni individuali, più che le epiche collettive, a favorire percorsi rivoluzionari e di liberazione). Mammuth, infine, è il modello della vecchia moto che Mammuth-Depardieu, macellaio stakanovista, raggiunti i limiti d’età, riesuma dal garage per compiere la sua impresa impossibile: recuperare dai suoi precedenti datori di lavoro quei documenti che, attestando il versamento dei contributi previdenziali, gli consentirebbero l’ammissione nella cerchia di privilegiati che il diritto a una pensione ancora l’hanno. Mammuth%2C Gérard Depardieu%2C Yolande Moreau%2C Isabelle AdjaniQuesta la molla dell’azione che, come in ogni film di Delèpine e Kervern, sgancia la narrazione dalla trappola borghese dell’unità di luogo per lanciare i donchisciotteschi personaggi on the road, in viaggio verso la ri-conquista della propria dignità calpestata.
Nei film precedenti, Aaltra e Louise Michel, si aveva l’impressione che il viaggio, tuttavia, fosse destinato invariabilmente ad avvitarsi su se stesso, in una declinazione surreale e cinica del falso movimento caro al road-movie postmoderno, più che dispiegarsi nel solco della tradizione libertaria della frontiera, alla Kerouac o Easy Rider per intenderci. Qui no. C’è uno scatto importante e un plusvalore di speranza. Non che il cinismo sia venuto improvvisamente a mancare, ma è stato in parte riassorbito e metabolizzato, in primo luogo dalla capacità dei personaggi protagonisti, di detournare – ahinoi il vocabolario del situazionismo, a volte così snob, qui calza a pennello – da un percorso comune alla classe degli sfruttati, che sembra obbligato, il classico nasci/lavori/invecchi/muori, sempre ammesso poi che un lavoro si abbia!

Ovvio che gli ex-principali, rintracciati con tante difficoltà da Mammuth, non ne vogliano proprio sapere di aiutarlo. Essendosi “dimenticati” di versargli i contributi a suo tempo, non avrebbero nessun interesse a rischiare oggi guai col fisco, mettendolo in regola.  C’è chi tra loro non ricorda o finge di non ricordare. Altri lo ricordano benissimo, quel bestione tutto lavoro e niente svago. E si permettono anche di deriderlo e umiliarlo. Già, probabilmente perché mammuth appartiene a una specie in via d’estinzione (di quelle che non possono contare neanche su uno straccio di comitato che le tuteli, come le balene), la specie dei non-furbi, della pecora tra i lupi, per restare a metafore zoologiche. Un candido gigante voltairiano che, dopo aver sgobbato tutta una vita, ignorando che ogni mese gli veniva sottratta indebitamente una parte della busta paga, prova a sciogliere ciò che ritiene ingenuamente solo un intoppo burocratico, con la stessa ottusa ostinazione con cui nella vita si è abituato ad affrontare tutto, dal lavoro alla vita affettiva.
Mammuth%2C Gérard Depardieu%2C Isabelle AdjaniLa struttura narrativa, lineare nei film precedenti, si fa sincronica. Le strade dei due coniugi protagonisti si separano, dopo appena qualche assaggio d’irresistibile comicità, scaturita dalla totale inadeguatezza di lui a organizzare il proprio tempo finalmente liberato dal lavoro salariato, e per l’atteggiamento di crescente insofferenza della moglie Catherine – una Yolande Moreau meno illetterata e con qualche ambizione in più rispetto alla Louise  del film precedente – a gestire la nuova ingombrante presenza nel ménage domestico.

Mammuth-Depardieu, macina adagio chilometri, solo e testardo come un residuo jurassico dell’era della modernità, collezionando fallimenti e confermando il disprezzo con cui i suoi sfruttatori di un tempo lo avevano già marchiato. Una solitudine resa ancora più “rumorosa” dalle ripetute apparizioni di una fiamma perduta tragicamente in gioventù, fantasma della colpa segnata dalle cicatrici, un’Adjani il cui violetto degli occhi sembra invadere ogni volta l’intero schermo,  restituendo tenerissimi sguardi in super 8 del vecchio amante. 

Tutto sembra destinato a prendere le strade, già rodate altre volte dai due registi, dell’atto di ribellione anarco-individuale, dove la momentanea catarsi sembra la sola rivalsa possibile contro il moloch di un sistema di potere assunto come permanente e indistruttibile (lo spirito di vendetta contro l’inumanità dei padroni animava sia i due meschini disabili in Aaltra che la strana coppia Louise e Michel).

Mammuth%2C Gérard Depardieu%2C Yolande Moreau%2C Isabelle AdjaniE invece, In Mammuth, la palese inadeguatezza del protagonista al conformismo dell’inumano, la sottile crepa di consapevolezza che comincia a solcare il corpo del buon gigante, in apparenza paziente e distaccato di fronte ai torti subiti e alla miseria dei rapporti umani,  si allarga in una voragine che inghiotte il senso comune, senza trasformarsi mai nell’atto auto-distruttivo e suicida che ci si sarebbe potuti attendere. Un coagulo di sensibilità che Mammuth-Depardieu dimostra di saper mettere a frutto, aiutato in questo dalla straordinariet&a
grave; degli incontri che lo attendono sul ciglio della strada, a cominciare dalla nipotina artista Miss Ming, folle e saggiamente disadattata. C’entra sicuramente la gioventù, la poesia, l'eros innocente, la bellezza dove pochi la vedono. E c’entra la follia, l’incoscienza fatta dispositivo creativo. C’entra l’arte, in buona sostanza, art brut (“…creata dalla solitudine e da impulsi creativi puri e autentici – dove le preoccupazioni della concorrenza, l'acclamazione e la promozione sociale non interferiscono” J.Dubuffet), brut come barbari e selvaggi ci appaiono coloro che liberi e ostinati, con grazia di mammuth, percorrono il cammino senza fretta, per non perdere mai più il controllo del mezzo, e per godersi i colori e i profumi lungo la via.

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