In un festival delle dimensioni di quello di Locarno, il compito di scegliere quali pellicole vedere diventa spesso un gioco d’azzardo. Una volta assolto il dovere professionale di assistere ai film in competizione internazionale, l’itinerario si fa più libero ma anche più incerto ed aleatorio. In quest’ottica, verso la fine della manifestazione, già a corto di tempo, ho chiesto consiglio ad un amico cineasta, Raya Martin; è a lui che devo la scoperta di L’estate di Giacomo e gliene sono riconoscente. L’incontro con il film di Alessandro Comodin, inatteso ed insperato, è stato un vero momento di grazia.
Opera prima del giovane regista friulano, questo lavoro, che spazia liberamente nell’interregno fecondo fra realtà e finzione, è un ode poetica e spensierata all’estate, un addio dolce e struggente all’adolescenza. La giuria della sezione “Cineasti del presente” è stata sedotta dal film ricompensandolo con l’ambito Pardo d’Oro.
La trama di L’estate di Giacomo si snoda sul filo dell’osservazione: la cinepresa accompagna i due protagonisti, Giacomo e Stefania, in maniera discreta, accordandosi alla cadenza dei loro passi, al ritmo della loro respirazione, avvicinandosi quanto basta per coglierne l’intimità senza mai violarla. Penetriamo nell’universo del film sulle orme di Giacomo; lo seguiamo di spalle mentre si addentra con la sua amica d’infanzia, Stefania, fra i sentieri di un bosco alla ricerca di una via per arrivare al fiume. I due ragazzi camminano e camminano; s’intuisce il caldo, i raggi del sole filtrano fra la vegetazione creando zone di ombra e di luce. Stefania avanza paziente e fiduciosa, Giacomo, invece, si innervosisce. Insofferente ed indispettito, si lamenta tutto il tempo, sembra completamente sperduto ed intimorito in mezzo alla vegetazione del sottobosco. Finalmente i due raggiungono le sponde del Tagliamento; davanti a loro si apre una specie di piccolo paradiso terrestre. Una spiaggia sabbiosa dà su un’ansa del fiume; l’acqua è tersa, un vecchio tronco d’albero spunta nel mezzo della corrente. I ragazzi si buttano in acqua, nuotano, giocano, scherzano, si fanno dei piccoli dispetti, poi escono e, sotto le fronde di un albero, fanno un pic-nic con quanto si sono portati dietro. La bellezza semplice e disarmante di queste immagini che abbracciano con empatia la natura, i volti intensi dei due ragazzi ed i loro corpi in movimento, ha un forte potere evocativo.
Senza compiacimento e senza cercare l’effetto, con un lirismo spontaneo ed un po’ rude Alessandro Comodin capta l’essenza di un’estate e di quel momento tanto unico e speciale che è il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. L’entusiasmo e la sensibilità artistica del regista si riflettono pienamente nella splendida qualità della fotografia di questo film auto-prodotto – in un primo tempo- e girato coraggiosamente in pellicola.
Ma il vero fascino di L’estate di Giacomo sono i suoi protagonisti ed in primo luogo Giacomo stesso, un ragazzo fuori dal comune. Ipersensibile, a volte stizzoso ed irritabile, ma anche molto dolce, pieno di voglia di vivere e di energia, Giacomo é sordo dalla nascita e questa sua condizione ne fa un essere a parte. L’handicap di Giacomo è costantemente presente, ma non diventa mai il perno della vicenda. Alessandro Comodin filma Giacomo senza falsi pudori; il suo ritratto é reale, cioé fatto di angoli e spigoli come il suo carattere. Le reazioni di Giacomo sono spesso, ai nostri occhi, eccessive, a volte aggressive senza motivo apparente; i suoi movimenti sono talvolta convulsi e spasmodici come se il suo corpo fosse perennemente esposto ad un pericolo, ad una minaccia esterna, eppure, nonostante tutto ciò l’immagine che Comodin ci offre del ragazzo è piena di affetto e di tenerezza. Giorno dopo giorno l’estate passa lenta, letargica, in un reiterarsi di gesti e di attività: le gite al fiume, i pomeriggi passati in casa a suonare la batteria e a cantare, le passeggiate in due su una bicicletta. Giacomo e Stefania sono inseparabili: una serata passata ad una festa popolare sembra un evento eccezionale. Queste scene notturne sono fra le più gioiose del film: la cinepresa osserva i due ragazzi mentre si muovono fra la folla, giocando al tiro a segno, ridendo, ed avventurandosi in fine sulla pista da ballo. Fra coppie di veterani che ballano il liscio, i due si cimentano in una timida danza; ed è Giacomo che, con molta premura, cerca di insegnare i passi ad un’impacciata e goffa Stefania.
Osservando Giacomo e Stefania inconsciamente ci aspettiamo che fra i due sorga una storia d’amore, ma la nostra attesa è destinata a restare vana. Pur ad un soffio dal succedere, qualcosa li ferma, li blocca e tutto resta in nuce. I grandi cambiamenti a quest’età sono inappariscenti, sotterranei, misteriosi ed imprevedibili. L’ultima parte della pellicola ci riserva una sorpresa. L’estate di Giacomo ha qualcosa della lievità e della spensieratezza di Une partie de campagne di Renoir e poi ancora, a tratti, qualcosa del mistero sensuale dei film di Apitchatpong Weerasethakul, sopratutto di Blissfully yours. Un leggero velo di malinconia emana, involontariamente, da questa storia che sfiora il mistero della vita: la scena finale del film é un momento magico.