Ho incontrato e brevemente intervistato Farhadi nel febbraio del 2009 alla Berlinale; da allora ad oggi molte cose sono successe in Iran. Ho avuto l’opportunità di incontrare Farhadi una seconda volta lo scorso novembre alla Viennale, dove About Elly ha ottenuto il premio del pubblico.
Mi è parso inevitabile riprendere la nostra conversazione, approfondire alcune cose e rivederle sotto una luce nuova. Asghar Farhadi è un uomo di grande sensibilità, rigore e serietà che sa accogliere con un profondo rispetto il suo interlocutore.
About Elly è un film complesso che ben si presta ad una lettura metaforica, come lo definiresti?
Non potrei definire il film con una parola sola: About Elly può essere letto come un film a sfondo sociale, come un film politico o un film morale. Direi che la morale è il suo soggetto principale e parlando di morale si parla inevitabilmente anche del significato della verità.
Il titolo del film (All about Elly titolo intern.) crea un’aspettativa che non verrà mai soddisfatta: di fatto la personalità di Elly rimarrà un mistero fino alla fine.
In effetti tutti i personaggi del film parlano molto di Elly però noi ci rendiamo conto che più loro ne parlano meno veniamo realmente a saperne di lei. Per questo alla fine nell’obitorio vediamo il volto di Elly solo a metà. Credo che gli spettatori debbano immaginarsi l’altra metà e ricostituire per conto proprio un’immagine d’insieme. In questo senso se dovessi immaginare un altro titolo per il film questo sarebbe: “ E voi che ne pensate di Elly?”
In realtà la vera protagonista del film è Sepideh, è lei la vera forza motrice di tutta la vicenda.
Sono d’accordo con te: Sepideh è senza dubbio una figura molto complessa che si trova a dovere prendere delle decisioni difficili anche per conto degli altri. É presa in una sorta di bivio e deve decidere in che modo reagire: in un primo tempo cerca di nascondere tutto ma ben presto perde il controllo della situazione e si trova coinvolta personalmente.
Una sequenza molto suggestiva è quella della ricerca in mare del bimbo scomparso fra le onde. Hai incontrato delle difficoltà nelle riprese?
Ho sempre pensato che annegare fosse meno angosciante rispetto a tutto ciò che si prova vedendo qualcun altro annegare. Perlomeno questa è la mia esperienza personale per essere stato una volta sul punto di morire fra le onde. A mia volta mi è capitato di assistere alla morte di qualcuno in acqua ed è stato veramente spaventoso. Volevo cercare di trasmettere questa sensazione, quest’angoscia. Le riprese non sono state facili; avevamo costruito noi stessi un sistema che ci permetteva di spostare la cinepresa fuori e dentro l’acqua ma il mare era spesso molto agitato e c’erano molti scogli. Durante le riprese uno dei nostri attori ha rischiato di annegare, è andata a finire bene per fortuna, ma il mio terrore è stato enorme.
Nel tuo film preferisci i piani medi non solo negli interni ma anche all’esterno, perché?
Questa prospettiva mi permette di mostrare i miei personaggi senza pregiudizi. Se avessi fatto dei close up avrei in qualche modo forzato un giudizio, una presa di posizione, lo stesso sarebbe successo anche utilizzando dei campi lunghi. Ho cercato di mantenere per ciascuno dei miei personaggi questa distanza nelle riprese e penso di avere optato per la soluzione giusta.
Osservando i movimenti e gli spostamenti dei diversi personaggi nello spazio della casa si ha quasi l’impressione di assistere ad una coreografia.
Come hai lavorato questo aspetto della messa in scena?
Il motivo per cui i movimenti dei personaggi sembrano il risultato di una coreografia è che io provengo originariamente dal teatro. Prima di iniziare a girare abbiamo fatto varie prove nello spazio, da queste prove sono risultati i movimenti che vedi; abbiamo cercato di svilupparli in modo armonico, senza falsare lo stile naturalista del film. Nonostante i movimenti degli attori seguano una sorta di disegno, il pubblico non dovrebbe notare che sono il frutto di una riflessione. Amo molto anche la disposizione triangolare dei personaggi nello spazio: cioè due personaggi in primo piano ed un personaggio in secondo piano, o, al contrario, un personaggio in primo piano e due in secondo piano. Questa disposizione genera, a mio avviso, un certo equilibrio; nel corso del film però si trasforma seguendo lo sviluppo della trama, così, quando la coesione interna del gruppo si sgretola l’inquadratura è occupata unicamente da due personaggi che si scontrano o da un personaggio completamente solo.
Nell’ultima scena però vediamo, in uno dei rari piani lunghi del film, i superstiti del gruppo riuniti per l’ultima volta intorno alla macchina mentre tentano invano di liberarla dalla sabbia…
L’impressione di unità è fallace; in realtà Ahmad continua ad andare avanti e indietro, ad avvicinarsi e ad allontanarsi dagli altri mentre Sepideh è completamente separata dal gruppo.
Il punto di volta del film è la sequenza in cui vediamo Elly correre sulla spiaggia con un cervo volante; il mare dapprima calmo si degrada progressivamente ma tutta quest’evoluzione è affidata principalmente al suono.
Nella scena del cervo volante il suono gioca effettivamente il ruolo principale: le grida di Elly e il rumore del mare sono connessi. Sulla banda sonora ad un grido di Elly si alterna il rumore delle onde e così di seguito in un crescendo continuo. In questa sequenza volevo cambiare l’intera atmosfera del film; l’ho fatto servendomi del suono perché il suono è molto più efficace.
Il film inizia con molta luce e diventa man mano sempre più buio…
La storia si svolge nell’arco di tre giorni; un giorno e mezzo c’è il sole e poi il tempo diventa nuvoloso. Abbiamo cercato di attenerci scrupolosamente a questo piano, cosa che non è stata semplice. Il cambio della luminosità va di pari passo con il cambio dei colori; nella prima parte del film dominano le tonalità calde, il rosso, il giallo, mentre nella seconda parte, dopo la scena del cervo volante, prevalgono le tonalità fredde come il blu e il grigio. Questa stessa logica determina anche il modo di usare la cinepresa: le prime scene sono state girate tutte con una cinepresa fissa, dal momento però in cui il bambino cade in acqua in poi la cinepresa è portata a mano fino quasi alla fine del film. Dalla scena dell’obitorio in poi – quando l’enigma della scomparsa di Elly è ormai risolto – la cinepresa ritrova la sua posizione fissa. Per accentuare il passaggio da una tecnica all’altra ho filmato l’entrata del fidanzato di Elly nell’obitorio servendomi di una carrellata.
Conoscendo la trama ci si rende conto che, fin dall’inizio, hai incluso nella sceneggiatura dei presagi nefasti.
Volevo instaurare subito una sensazione d’ansietà e di pericolo. Nella prima scena del film i protagonisti, prima di partire, fanno delle offerte votive per scongiurare
i pericoli del viaggio; questa è una tradizione molto antica in Iran. La casa in riva al mare dove sono costretti ad alloggiare a causa di un equivoco è scalcinata, sporca, le finestre sono rotte. I bambini, come impazziti, corrono sempre verso l’acqua in un crescendo continuo che culminerà con la scomparsa di Elly. Il modo in cui ho scritto la sceneggiatura del film riflette molto probabilmente una particolarità culturale del mio paese: la gente vive con la sensazione che la felicità e la fortuna siano effimere e fugaci. Nel momento stesso in cui ci si sente felici, si ha paura che possa succedere qualcosa di male, si pensa già al peggio. Questa attitudine ha senza dubbio a che vedere con la nostra storia: l’Iran non ha mai conosciuto una fase di pace e di serenità di lunga durata.
Il film traccia un ritratto oscuro, pessimista della natura umana. Perché?
Sono sempre stato un pessimista fin da quando ero bambino, ho sempre avuto dei pensieri cupi; è proprio per questo che faccio dei film! L’essere umano vive con la certezza dell’ineluttabilità della morte. Nessuno è mai riuscito a sfuggire alla morte; questo pensiero mi annichilisce. Ovviamente questo è il mio modo di sentire e di vedere le cose e mi guardo bene dal prescriverlo agli altri. Chissà, forse quest’ attitudine l’ho semplicemente ereditata da mio padre che era un pessimista. Molti pensano che io debba essere un uomo felice perché ho avuto l’opportunità di fare dei film, purtroppo, tendo sempre a vedere gli aspetti tristi ed amari della vita.
A mio avviso il tuo film è un film politico nella vasta accezione del termine.
Mi fa molto piacere che tu dica questo: raramente viene compreso che il film ha una dimensione politica, anche se espressa in maniera sottile. Dal momento in cui si parla di un individuo e del suo rapporto con un gruppo si è già nell’ambito del politico. Ci si aspetta che un film politico debba per forza esprimere un messaggio, una rivendicazione in modo esplicito come una sorta di manifesto. A mio avviso un film più che affermare, imporre un sistema di pensiero deve essere uno spazio che invita lo spettatore ad intraprendere un cammino intellettuale proprio, a porsi delle domande, a riflettere. É in questo spirito che ho creato About Elly.
Pensi che gli eventi politici degli ultimi mesi possano influenzare il cinema iraniano e in che modo?
Il bene in ciò che è successo in questi ultimi mesi, mi riferisco in special modo a noi registi iraniani, è che abbiamo acquisito una nuova immagine del nostro popolo. Adesso guardiamo la gente sotto un’altra luce; prima dei fatti non sapevamo assolutamente che nel paese esistessero delle persone di questo tipo. Non lo sapevamo neanche di noi stessi! É stata una sorpresa in tutti i sensi; non mi riferisco solo al fatto che la gente sia scesa per strada a dimostrare unita ma anche al fatto che lo abbia fatto in maniera civilizzata. Finora avevamo sempre creduto che la popolazione si fosse semplicemente adattata, per forza maggiore, al governo e alla situazione in Iran. Abbiamo capito che non è così: la gente ha dimostrato di essere molto più avanti rispetto a noi artisti, i suoi problemi sono molto più seri e gravi dei nostri e la sua volontà di cambiare le cose molto più tangibile. Personalmente negli ultimi mesi ho cercato di scusarmi – dappertutto dove ho potuto – per avere avuto in passato un’opinione negativa sulla popolazione iraniana. I registi iraniani, se agiscono in modo onesto, dovrebbero mostrare d’ora in avanti nei loro film un’immagine nuova del popolo iraniano. Il popolo si è veramente mostrato sotto una luce nuova, con un volto nuovo e noi abbiamo il dovere di riflettere in maniera adeguata questa realtà nei nostri lavori.
Riferendoti alla posizione delle donne nella società iraniana hai detto, durante la discussione con il pubblico, che in questi ultimi mesi le donne hanno dimostrato di possedere un’enorme forza e un coraggio straordinario.
É vero: non avrei mai potuto credere quanto è successo in Iran in questi ultimi mesi, non sarei mai riuscito ad immaginarmi qualcosa del genere se non lo avessi visto con i miei stessi occhi. Per farti un esempio banale: oggi, quando parlo di attualità politica iraniana con mia figlia che ha dodici anni non solo è informata ma é in grado di discutere con me ed ha una sua propria opinione ben fondata su tutto!
Quali sono i tuoi progetti futuri?
In questo momento sto riflettendo su due progetti di film; uno dovrebbe avere luogo in Iran e l’altro all’estero. Non saprei ancora dirti quale dei due realizzerò per primo, so però per certo che resterò fedele alla mia linea e che continuerò a lavorare seguendo gli stessi principi.
Cosa ti auguri per il tuo futuro come regista?
Di avere delle nuove idee, dei nuovi progetti di film e di vivere assai a lungo per poterli realizzare! Per il futuro dei registi iraniani mi auguro che non siano più costretti a conquistarsi il favore dei festival ad ogni prezzo, ma che siano i festival a cercarli e per quanto riguarda tutti i registi del mondo mi auguro abbiano fiducia, con tutta la loro forza interiore, nell’intelligenza del pubblico!