Un gran libro che si legge tutto d’un fiato, perché la conversazione con Luca Bigazzi oltre a raccontare una vita e un mestiere, lascia emergere il cinema italiano dagli Ottanta ad oggi, in quelle che sono le opere maggiormente rappresentative quali segnali di un’epoca, con autori quali Martone e Capuano, Mazzacurati e Piccioni, Soldini e Sorrentino, Andrea e Daniele Segre, Ciprì e Maresco, e gli attori: Bentivoglio, Buonaiuto, Buy, Golino. Ognuno di loro – senza dimenticare Amelio e Kiarostami (l’unico non italiano) – testimonia alla fine del volume che cosa ha significato lavorare con l’operatore di macchina e direttore della fotografica che più di ogni altro ha tracciato con il suo lavoro un percorso ideale di rinnovamento della nostra cinematografia sotto il profilo estetico e al tempo stesso etico e politico.
In La luce necessaria. Conversazione con Luca Bigazzi (edito da artdigiland.com, pag 229) non mancano sfiziose rivelazioni, un dietro le quinte che è il lavoro sul set, dove si intrecciano questione tecniche e caratteri, quindi non stiamo parlando di gossip ma di relazioni, per fare un esempio: non è facile seguire le idee di Sorrentino (il primo incontro con Bigazzi finisce in lite), eppure poi la soluzione esce fuori. Bisogna dire che come nella migliore tradizione del nostro cinema d’autore, i limiti produttivi, le poche risorse economiche, i tempi stretti, diventano per Bigazzi occasione d’invenzioni originali, fuori dagli schemi (si pensi alla vasellina sull’obiettivo utilizzata in Fuori dal mondo o alla piccola lampada collegata ad un dimmer – serve a variare l’intensità luminosa – posizionata sopra la macchina da presa per illuminare Sean Penn in This Must Be the Place). Una povertà di mezzi che diviene velocità d’esecuzione, che privilegia “la leggerezza”, che ha rispetto della natura mutevole del film, che si lascia ispirare dalle fonti di luce naturale, per risultati che sono originalissimi.
Ecco, per capire che cosa è stato fare i film in Italia in questi anni, possiamo leggere il libro di Alberto Spadafora come una sorta di insider, uno sguardo dal di dentro, che ci permette di mettere a fuoco alcuni aspetti. Lontano da Roma, ripiegata verso un passato cinematografico che non esiste più, Bigazzi non segue l’apprendistato canonico dei direttori di fotografia. Ha dalla sua tanta passione cinefila, quella che affina il gusto ed educa a delle convinzioni etiche (per capirci sull’impronta della nouvelle vague, Godard docet: i movimenti macchina sono una questione morale) e voglia di fare. Dunque indipendenza: non importa chi c’è nel cast, non importa se i soldi sono pochi, quello che conta è il progetto, l’idea che lo sostiene. C’è un’adesione professionale al film la cui base è principalmente artistica, prima che economica. Bigazzi è il tipo che chiede a Kiarostami di slittare i tempi di ripresa per andare a girare un documentario con Andrea Segre o rinuncia di lavorare con Meryl Streep in The Iron Lady perché impegnato in Io sono lì, sempre di Segre.
Insomma, il cinema italiano sopravvissuto al napalm gettato a dosi massicce sul mondo della cultura in questi ultimi trent’anni, bruciando qualsiasi principio gerarchico e azzerando differenze e gioiosamente sottoponendo il tutto sul piano di una stupida uguaglianza, è accomunato da caratteristiche tra loro simili e che in Bigazzi trovano un caso esemplare. È una strategia di resistenza, che prevede quale prima mossa l’allontanamento dal pianeta Cinema-Roma, per favorire la nascita di produzioni e professioni in altri luoghi, così da liberarsi dal peso di una tradizione tecnico-espressiva ingombrante e dalla burocratizzazione del mestiere. La seconda mossa decisiva è quella di sostenere una silenziosa coerenza, un operare artistico che spesso non trova una sponda seria nella critica di professione ma nemmeno in quella moltitudine di critici ombelicali diffusi in Internet, malati di estetismo.
Il presupposto per Bigazzi è di muoversi in libertà. Poter scegliere. Mettere da parte compromessi impossibili. Amare il proprio lavoro e alla fine dire:
“Io spero di dare un contributo politico con il mio lavoro di direttore della fotografia. Scegliere di lavorare in Italia per un film di un giovane regista italiano, cercando di illuminarlo come richiede una storia di immigrazione e di rapporti umani possibili in una nazione come la nostra, devastata culturalmente ed economicamente, con un budget praticamente inesistente e mezzi tecnici pressoché minimi…, tutto questo è molto più interessante che girare un film con cinque gruppi elettrogeni e superstar americane. E lo dico senza rimpianti. Questo è il mio modo di fare politica oggi”.
La casa editrice Artdigiland non ha ancora un anno di vita. La sua prima pubblicazione è stata La luce necessaria, la cui distribuzione è on line in formato cartaceo ed ebook, su Amazon.it, Amazon.com, Artdgiland.com. La seconda pubblicazione è Marc Scialom Impasse du cinema che verrà presentato il 19 novembre alle ore 18.30 presso la Casa del Cinema, sala Kodak – Villa Borghese, Roma. Artdigiland è anche un sito e una comunity web che offre videointerviste esclusive ad artisti internazionali. Per informazioni e per collaborare: info@artdigiland.com; per iscriversi alla newsletter: htpp://artdigiland.com.